Il confucianesimo non ha ostacolato lo sviluppo economico cinese, come aveva ipotizzato Max Weber. Oggi rimane una lente importante per capire i punti di forza e debolezza di Pechino. E perché è un punto di forza del programma “Made in China 2025”.

Il saggio di Weber

Quando Max Weber, nel 1915, scrisse Confucianesimo e taoismo, non poteva certo immaginare ciò che sarebbe accaduto in Cina – e, più in generale, nell’Estremo Oriente – nel secolo successivo. In quel lungo saggio attribuiva l’arretratezza cinese alla cultura confuciana, che aveva profondamente plasmato le istituzioni e la società.

Weber ipotizzava che “la grande divergenza”, apertasi con la rivoluzione industriale in Occidente, potesse essere attribuita all’etica e al pensiero dominante in Cina, i quali promuovevano l’armonia, l’educazione morale, la conformità all’ordine stabilito e il rispetto delle gerarchie, più che il cambiamento. L’organizzazione sociale era fortemente incentrata sulla famiglia, sugli anziani, sugli antenati e sul clan: riferimenti che potevano ostacolare lo sviluppo di istituzioni impersonali, del mercato e, in definitiva, del capitalismo.

Contribuivano a questa ipotesi anche il disprezzo per il profitto, la totale ignoranza della specializzazione del lavoro e la discriminazione nei confronti dei mercanti, che erano stati uno dei pilastri della rivoluzione borghese. Le scoperte scientifiche e le innovazioni tecniche, inoltre, non venivano integrate nel sistema di prestigio e potere. Weber ammirava la burocrazia cinese, basata sulla meritocrazia, ma osservava come fosse statica, in quanto governata da norme etiche confuciane e non da regole tecniche di tipo occidentale. Il taoismo, infine, più mistico, era del tutto antitetico alla razionalità occidentale.

In sostanza, il pensiero confuciano, secondo il grande sociologo tedesco, ostacolava lo sviluppo economico e forse anche il processo democratico.

La tesi è stata contestata da numerosi altri autori. Da un lato, alcuni studi hanno sostenuto che il ritardo nello sviluppo potesse dipendere da altre cause, come l’assenza di materie prime (ad esempio il carbone), il forte accentramento istituzionale o altri accidenti della storia. Dall’altro, è stato messo in evidenza come il confucianesimo, essendo una tradizione multidimensionale e astratta, consenta diverse interpretazioni e adattamenti istituzionali, variabili nel tempo. In altri termini la cultura confuciana ha natura fluida, per usare le parole di Daron Acemoglu e James Robinson, che si adatta a diversi contesti istituzionali.

La rivincita di Confucio

L’enorme sviluppo economico registrato dalla Cina nell’ultimo quarto di secolo, così come la democrazia – più o meno compiuta – raggiunta in paesi come il Giappone, la Corea del Sud o Taiwan, pongono certamente una sfida senza precedenti alle ipotesi di Weber.

Oggi, la Cina – come gran parte dell’Estremo Oriente – appare una delle aree più laiche al mondo, eppure Confucio sembra aver preso la sua rivincita. Dopo gli anni della Rivoluzione Culturale (1966-1976) di Mao Zedong, durante i quali il confucianesimo era considerato un retaggio feudale e simbolo dell’autoritarismo premoderno, a partire dai primi anni Ottanta ha conosciuto una progressiva riabilitazione. In particolare, il governo di Xi Jinping considera la dottrina di Confucio parte integrante del progetto di “rinascita nazionale cinese”.

L’armonia sociale giustifica l’ordine e la stabilità; il rispetto per l’autorità e la gerarchia rafforza il ruolo centrale del Partito; i doveri morali e il collettivismo familiare sostengono i valori tradizionali e patriottici. In sintesi, le idee di Confucio sono oggi presentate come un’alternativa morale al materialismo e all’individualismo occidentale

Così, gli Istituti Confucio, presenti in tutto il mondo, promuovono la lingua e la cultura cinese come simboli di civiltà, pace e saggezza. Nelle scuole si studiano i testi confuciani come parte dell’“educazione morale” e lo stato spesso sponsorizza cerimonie in onore di Confucio. La dilagante corruzione politica è letta come antitetica all’idea di un “governo dei giusti”. L’ossessione per lo studio e la meritocrazia è considerata uno strumento indispensabile per conquistare il primato tecnologico ed economico. In altri termini, la lezione del grande pensatore è vista come uno strumento di soft power per governare la Cina e rafforzarne la posizione internazionale.

Inoltre, attraverso la lente del confucianesimo è possibile comprendere meglio alcuni tratti della realtà cinese: la strutturale debolezza dei consumi privati (dal momento che fattori culturali come la parsimonia, associati a un orientamento al collettivismo familiare favoriscono il risparmio), le invadenti politiche industriali, il desiderio di primeggiare in campo scientifico e tecnico come prova di meritocrazia e la diffidenza verso l’Occidente, percepito come un’entità estranea al “clan”.

Solo in questa luce si può comprendere il programma “Made in China 2025”, varato dieci anni fa con l’obiettivo di trasformare la Cina da fabbrica del mondo a basso costo in potenza industriale leader e indipendente in dieci settori chiave: dalla robotica all’automazione avanzata, dai veicoli ibridi ed elettrici all’ingegneria navale, dalle tecnologie informatiche all’aerospazio, dal biomedicale ai nuovi materiali. Oggi, almeno sette dei dieci obiettivi sono stati raggiunti, anche se al prezzo di ingenti sprechi e sovrapproduzione (si pensi all’auto elettrica). Fanno eccezione l’aviazione civile, ancora fortemente dipendente dall’estero, il settore biomedicale e quello dei semiconduttori più avanzati.

L’ultimo paragrafo del saggio di Weber è intitolato “Il carattere pacifista del confucianesimo”. Dopo aver ricordato la natura essenzialmente benevola e razionale del pensiero di Confucio, vi si richiama quanto affermato dall’imperatore Ch’ien Lung (1711-1799): «Solo chi si sforza di non spargere sangue umano può tenere unito l’impero».

Speriamo che, in questo caso, Weber abbia ragione e che la benevolenza – virtù cardine del confucianesimo – prevalga nei rapporti con Taiwan e con l’Occidente.     

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