L’India, un “non allineato” nel mondo polarizzato

C’era anche l’India all’incontro della Shanghai Cooperation Organization. Ma New Delhi fa parte anche di altri gruppi di cooperazione, come i Brics, in funzione anticinese. Dietro il suo multi-allineamento motivi strategici e necessità tattiche. 

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I molti alleati di New Delhi

Il recente incontro – il venticinquesimo dalla sua fondazione nel 2001 – del Consiglio dei capi di stato dei paesi membri della Shanghai Cooperation Organization a Tianjin nella Repubblica popolare cinese ha suscitato stupore per la partecipazione del presidente russo Vladimir Putin, accolto con grande calore, insieme ai capi di stato dei dieci paesi membri. Tra questi c’è l’India, che al contempo fa parte anche del Dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quadrilateral Security Dialogue), una cooperazione strategica informale tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti che ha lo scopo di contenere l’espansionismo cinese nella regione dell’Indo-Pacifico. Peraltro, New Delhi è anche tra i membri fondatori del gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), noto per volersi porre come potenziale contrappeso all’ordine mondiale dominato dall’Occidente. 

L’obiettivo di riequilibrare i rapporti di forza globali

L’India occupa dunque una posizione singolare nel sistema delle alleanze, dimostrando una spiccata abilità nel “multi-allineamento”. Ciò aiuta a capire le sue scelte nelle relazioni internazionali, in parte dettate da motivazioni strategiche, in parte dovute a necessità tattiche. 

Da un lato, infatti, uno dei motivi fondamentali per cui New Delhi partecipa attivamente ai Brics è la condivisione di una visione multipolare del mondo. L’India – oggi quinta economia più grande del mondo, in forte crescita e destinata a superare presto la Cina – non mira a sostituire l’Occidente, ma a riequilibrare i rapporti di forza globali, favorendo un sistema internazionale più rappresentativo degli interessi del Sud globale. 

In questo senso, i Brics rappresentano una piattaforma strategica per promuovere una riforma delle istituzioni globali (come Onu, Fmi e Banca Mondiale); ridurre la dipendenza dal dollaro attraverso meccanismi alternativi (come il nuovo sistema di pagamenti dei Brics); e consolidare la propria leadership nel cosiddetto Global South (cioè tutte le economie a basso e medio reddito in via di industrializzazione), in concorrenza con la Cina. Paradossalmente, l’India è dentro i Brics per costruire alleanze tattiche con altri membri (come il Brasile o il Sudafrica) che permettano di contrastare l’egemonia cinese del gruppo. Si tratta quindi di un uso tattico dello stesso forum per impedire che si trasformi in uno strumento unilaterale cinese.

La ricerca di nuovi partner commerciali

L’India ha anche un forte interesse a rafforzare i legami con paesi ricchi di risorse (come la Russia, che è il suo maggior fornitore di petrolio, con circa 1,76 milioni di barili al giorno nel 2025, coprendo il 35 per cento delle importazioni totali di petrolio indiane, e il Brasile) e ad accedere a strumenti finanziari alternativi, come la Nuova banca di sviluppo (Ndb), che ha sinora approvato oltre 90 progetti per un valore superiore a 32 miliardi di dollari, inclusi 18 in India del valore di circa 6,9 miliardi. Questo consente all’India di finanziare infrastrutture cruciali senza doversi affidare esclusivamente a istituzioni dominate da Washington o Bruxelles.

In un periodo in cui le relazioni con l’Occidente sono diventate ambivalenti – soprattutto con gli Usa dopo l’introduzione di dazi fino al 50 per cento su alcune merci indiane – l’India sta cercando di diversificare i propri partner, puntando su Qatar, Brasile, Russia e altri paesi con accordi di libero scambio già in corso o pianificati. La partecipazione attiva ai Brics (che rappresentano nell’insieme il 20 per cento del commercio estero indiano) consente al paese di dimostrare la propria autonomia strategica, rafforzando la sua posizione negoziale nei forum multilaterali o nelle trattative bilaterali. Anche perché pesa molto la crescente dipendenza da Pechino: il deficit commerciale con la Cina è cresciuto da 39 miliardi di dollari Usa nel 2020 a 94 miliardi nel 2024.

L’analisi dei voti all’Onu

Il multi-allineamento indiano si può “misurare” attraverso l’analisi della posizione di voto dell’India all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. 

In passato, le nazioni che sarebbero poi diventate note come Brics esprimevano all’Onu posizioni nettamente divergenti. Il notevole cambiamento degli ultimi anni può essere in parte spiegato dalla transizione dei singoli paesi verso sistemi politici più democratici: il Brasile è uscito dalla dittatura militare nel 1985 e ha adottato una costituzione democratica nel 1988; il Sudafrica è stato espulso dall’Onu nel 1974 e poi riammesso nel 1994 dopo la sua transizione alla democrazia. La politica dell’India è però rimasta insolitamente coerente nel corso della storia delle Nazioni Unite. Ciò suggerisce che nella recente convergenza politica tra i paesi Brics, le posizioni dell’India abbiano costituito un filo conduttore. Sebbene il dialogo formale, a lungo termine e istituzionalizzato su questioni di interesse reciproco sia iniziato più tardi, i voti alle Nazioni Unite rivelano posizioni diplomatiche compatibili tra i cinque paesi già nel 2001. La convergenza delle posizioni politiche ha continuato ad aumentare, in particolare dal 2006 in poi, quando si sono tenuti i primi incontri ad alto livello tra i ministri degli esteri dei quattro membri iniziali a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Recentemente, però, l’analisi della strategia di voto dell’India mostra un’evoluzione verso il multi-allineamento o il non-allineamento. Un’analisi condotta dal quotidiano The Hindu su oltre 5.500 diverse risoluzioni delle Nazioni Unite votate tra il 1946 e il giugno 2025 mostra che la percentuale annuale dei voti favorevoli espressi dall’India è scesa al 56 per cento, il livello più basso dal 1955. D’altra parte, la percentuale annuale di astensioni è salita al 44 per cento, la quota più alta nella storia del paese alle Nazioni Unite. Secondo l’ex rappresentante permanente dell’India all’Onu, T.S. Tirumurti, le astensioni danno alle potenze emergenti e medie l’opportunità di esprimersi più liberamente, molto più che limitarsi ad allinearsi al consenso generale o votare contro di esso. 

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Non sarà il turismo a salvare l’Italia

  1. Savino

    Occuparsi troppo e, addirittura, con esclusività, della politica estera fa male. La situazione di politica interna francese dovrebbe farci comprendere che non si può utilizzare la politica estera come arma di distrazione di massa dalle questioni di politica interna e comunitaria. Così come dobbiamo cominciare a capire la differenza tra imperialismo, isolazionismo e non interventismo, dal punto di vista sia militare che economico. Se un Presidente USA rinomina il Pentagono come Dipartimento della guerra è chiaramente interventista e nemmeno istituendo i dazi egli è propriamente isolazionista. In Italia avremmo nell’art. 11 della Costituzione la stella polare per l’atteggiamento da intraprendere, per cui il multilateralismo collaborativo tra le nazioni non può essere bellico, mentre ci sono da risolvere problematiche socio-economiche di politica interna, aggravate dall’effetto delle guerre, che richiedono, insieme ad una diffusa opinione di massa, di non allinearsi alla corrente politica tradizionale degli USA della NATO e dei volenterosi (di cui non si comprende la rappresentatività istituzionale). La Meloni ha in parte compreso ciò e si sta sbilanciando di meno nelle ultime settimane sia con Trump, sia con la UE, sia con la coalizione occidentale pro Ucraina, manca i passaggio più rilevante dello smarcamento, che, invece, continua ad essere accondiscendenza.

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