L’attuale disciplina delle sanzioni amministrative previste dal Testo unico della finanza, ma anche dal Testo unico bancario, è al tempo stesso iniqua e inefficiente, come del resto è stato riconosciuto in più occasioni dalla stessa Consob. E’ lodevole quindi che il progetto di riforma della tutela del risparmio affronti la questione. Tuttavia, le innovazioni risolvono solo alcuni dei problemi, mentre per certi aspetti ne aggravano altri. La materia merita un ampio e organico ripensamento, cui si potrebbe provvedere con apposita delega al Governo.

L’attuale disciplina delle sanzioni amministrative previste dal Testo unico della finanza (ma, per la verità, anche di quelle previste dal Testo unico bancario) è al tempo stesso iniqua e inefficiente, come del resto è stato riconosciuto in più occasioni dalla stessa Consob. È lodevole quindi che il progetto di riforma della tutela del risparmio ora all’esame del Senato affronti la questione. Tuttavia, le innovazioni ivi contenute risolvono solo alcuni dei problemi e, per certi aspetti, ne aggravano altri.

L’individuazione dei comportamenti vietati è del tutto generica

In contrasto con il generale principio di determinatezza e tassatività degli illeciti sanzionati, l’attuale disciplina, anziché descrivere i comportamenti vietati, elenca una lunga serie di articoli del medesimo Testo unico la cui violazione è sanzionata (articolo 190 del Tuf) e inoltre punisce la violazione delle “disposizioni generali e particolari emanate dalla Banca d’Italia o dalla Consob in base ai medesimi articoli”.
In questo modo non solo viene punita la violazione di norme di legge assolutamente generiche, (1) ma viene anche adottata la tecnica del “rinvio in bianco“: il comportamento vietato non è indicato dal legislatore, bensì dalla Banca d’Italia e dalla Consob in sede di “disposizioni generali e particolari”. Addirittura, l’articolo 58 del regolamento Consob n. 11522 impone agli intermediari di rispettare “i codici di autodisciplina adottati dalle associazioni di categoria alle quali aderiscono”: è come se l’obbligo, connesso all’adesione a un circolo privato, di indossare giacca e cravatta per la cena fosse sanzionato non con la riprovazione dei consoci, ed eventualmente l’espulsione dal club, ma desse luogo all’intervento dei carabinieri. Si aggiunga che i regolamenti della Consob e della Banca d’Italia spesso hanno anch’essi contenuto generico. Per fare un esempio, il comma 3 del già citato articolo 58 stabilisce che gli intermediari “si astengono dal porre in essere e controllano che i propri dipendenti, collaboratori e promotori finanziari non pongano in essere comportamenti pericolosi, ritenuti pericolosi o indicativi di situazioni di pericolo per il pubblico risparmio e per il mercato”.
In definitiva, qualunque comportamento che la Consob ritenga incongruo, per qualche profilo o motivo, può agevolmente essere ricondotto a una delle tante norme di legge o regolamentari a contenuto generico.  Questo è esattamente il contrario di ciò che la civiltà giuridica richiede in materia di sanzioni. Malgrado la gravità della descritta situazione, nessun intervento sul punto è previsto nel progetto di legge in esame.

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La platea troppo larga dei destinatari delle sanzioni

Nell’attuale disciplina, destinatari delle sanzioni sono gli amministratori, i sindaci e i dirigenti della società che ha commesso la violazione. Ne consegue che la Consob è costretta a una defatigante attività istruttoria volta ad accertare, oltre al fatto illecito, chi vi abbia avuto parte per averlo commesso, o per non aver controllato che non avvenisse, e inoltre l’esistenza dello stato soggettivo (colpa o dolo ) in capo a ciascuna persona. Si aggiunga che, poiché è sufficiente la colpa lieve e poiché, secondo una sciagurata giurisprudenza della Cassazione, la colpa è presunta per gli amministratori e per i sindaci, la sanzione finisce per colpire tutti gli amministratori e tutti i sindaci in carica all’epoca dei fatti, dando luogo a una sorta di responsabilità oggettiva. La complessità dell’istruttoria si riverbera sui tempi del procedimento e accresce a dismisura il contenzioso.

L’intervento del disegno di legge

Molto opportunamente il progetto di legge in esame risolve radicalmente il problema stabilendo che – al pari di quanto avviene nel settore dell’antitrust – le sanzioni sono irrogate direttamente alla società. (2) Ma poi, imponendo alla società sanzionata di esercitare il regresso nei confronti degli amministratori, sindaci e dirigenti “ai quali siano imputabili le violazioni” ovvero “che non abbiano vigilato”, si crea una situazione ingestibile: la società, in persona dei propri amministratori e sotto il controllo dei propri sindaci, dovrebbe effettuare un accertamento strutturalmente viziato da conflitto di interessi e che potrebbe condurre a una situazione di conflittualità interna con conseguenze negative sulla stabilità dell’intermediario. Nulla impedisce naturalmente alla società di far valere un diritto risarcitorio nei confronti dei propri amministratori e sindaci; ma ciò è già previsto dal codice civile, il quale anzi attribuisce il potere di iniziativa anche a una minoranza dei soci, che possiedano in complesso una percentuale del capitale che proprio il progetto in esame riduce al 2,5 per cento (articolo 3 ). La previsione relativa all’obbligo del regresso dovrebbe senz’altro cadere.

Le sanzioni e il procedimento

Il progetto moltiplica per cinque l’ammontare massimo delle sanzioni. La previsione può essere condivisa, dato che la sanzione, una volta posta a carico della società e non dei singoli esponenti, diviene unica. Appare invece inaccettabile la previsione di cui all’articolo 38 del progetto di irrogare sanzioni accessorie – che possono andare fino alla sospensione, decadenza e interdizione dalla cariche – non solo alle sanzioni penali, ma anche a quelle amministrative. Sanzioni del genere, pur essendo formalmente accessorie, sarebbero di gran lunga più gravi di quelle principali.

Il procedimento

L’attuale disciplina prevede che la Consob (o la Banca d’Italia) contesti le violazioni, che i destinatari possano formulare le controdeduzioni, che l’Autorità, esaminate queste ultime, possa formulare una proposta di sanzione al ministero dell’Economia e che quest’ultimo provveda con decreto, impugnabile innanzi alla Corte d’Appello.
Il procedimento è per un verso inutilmente complicato, dato che il ministero fa sempre propria la proposta dell’Autorità di vigilanza. Per altro verso, non garantisce il diritto degli interessati a un equo esame delle proprie ragioni, dato che chi effettua l’ispezione, chi la valuta al fine di formulare le contestazioni, chi analizza le controdeduzioni e chi sottopone alla commissione la bozza di proposta al ministero appartengono tutti al medesimo ufficio della Consob. Molto opportunamente l’articolo 26 del progetto concentra nella Consob (o nella Banca d’Italia) il potere di decisione, eliminando l’inutile passaggio presso il ministero. Ancora opportunamente l’articolo 23 del progetto stabilisce che i “procedimenti sanzionatori sono (…) svolti nel rispetto dei principi (…) della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione”. Peraltro, per questo secondo profilo, la distinzione è resa precaria dalla circostanza che il presidente della commissione, alla quale sarà demandata la decisione sull’irrogazione della sanzione, al tempo stesso deve per legge (articolo 1, comma 6 della legge n. 216/1974) sovrintendere all’attività istruttoria.

La materia delle sanzioni amministrative merita un ampio e organico ripensamento, cui si potrebbe provvedere mediante apposita delega al Governo con indicazione dei criteri e principi direttivi, da formularsi nell’ambito del progetto in esame.

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(1) A titolo di esempio, l’articolo 21 del Tuf nella parte in cui impone agli intermediari di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”.

(2) Vedi la modifica dell’articolo 190 del Tuf operata dall’articolo 15 del progetto di legge.

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