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Se il ministro sale in cattedra

A Mussi basterebbe una riforma a costo zero per rendere più trasparente e concorrenziale il reclutamento dei docenti nelle università italiane: dovrebbe introdurre l’obbligo che i bandi per posti di professore siano aperti a tutti, senza alcuna specificazione riguardo alla tipologia del candidato. Sarebbe un primo passo verso l’internazionalizzazione e l’adozione del principio di eccellenza anche nei nostri atenei. E permetterebbe il rientro di molti “cervelli in fuga”. Le procedure attuali, soprattutto l’idoneità nazionale, contrastano con questi obiettivi.

La principale riforma a costo zero che il ministro dell’Università Fabio Mussi potrebbe fare subito è de-regolamentare il sistema di reclutamento dei docenti universitari, abolire le barriere che limitano la concorrenza sul mercato accademico.

Internazionalizzazione e fuga di cervelli

La regolamentazione e i vincoli legislativi sono contro la qualità e l’internazionalizzazione.
Il numero di professori e studenti stranieri nelle prime dieci università americane e del Nord Europa è elevatissimo e destinato a crescere ancora. L’internazionalizzazione è la conseguenza dell’adozione di un principio di eccellenza (spazio ai migliori) che, a sua volta, richiede la massima concorrenza tra candidati nelle selezioni per il reclutamento di professori e la massima trasparenza delle procedure. Questo è il punto di forza delle migliori università del mondo. In quelle italiane, invece, siamo quasi a zero. Le nostre istituzioni accademiche possono piuttosto vantare un numero elevatissimo di docenti che hanno studiato nello stesso luogo dove ora lavorano.
La mancanza di internazionalizzazione ha provocato una fuga massiccia di cervelli dal nostro paese. Questo fenomeno potrebbe trasformarsi in un fatto positivo se il sistema universitario italiano decidesse di aprire le porte a chi fa ricerca all’estero. Il loro rientro porterebbe nei nostri atenei nuove esperienze e maggiori competenze.
Purtroppo, l’insieme della legislazione universitaria italiana e l’idoneità nazionale introdotta dalla legge Moratti appena trasformata in decreto legge (1) contrastano con questi obiettivi: segmentano artificialmente il mercato dei docenti, rallentano il ricambio dei professori di ruolo sottoponendo i candidati a concorsi di idoneità con cadenza saltuaria e incerta, pongono un limite al numero di idonei basato sulle disponibilità finanziarie degli atenei.

Procedure attuali e interventi possibili

Quando una facoltà decide di reclutare un professore di ruolo, deve compiere due passi distinti e sequenziali. Il primo consiste nella scelta della procedura di reclutamento. Dall’entrata in vigore della legge Moratti , le procedure possibili sono (a) trasferimento di professore di ruolo da altra università (cioè la pubblicazione di un bando rivolto solo ai professori già confermati che abbiano trascorso almeno un triennio presso l’università di provenienza), (b) chiamata diretta di un idoneo (cioè di un candidato che abbia conseguito da non più di quattro anni un’idoneità da una commissione nazionale di concorso).
Perché ostacolano l’obiettivo della massima concorrenza e trasparenza? Per tre ragioni:

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(I) le due procedure sono mutuamente esclusive: la scelta di una esclude la partecipazione dei candidati che potrebbero essere selezionati in base alla procedura alternativa.
(II) la legge esclude dalla partecipazione alle procedure di reclutamento per professori di ruolo tutti gli “esterni“, cioè coloro che non hanno conseguito un’idoneità (i più giovani, coloro che insegnano all’estero e non hanno familiarità con il sistema italiano, eccetera),
(III) al consiglio di facoltà che decide la procedura di chiamata partecipano docenti che possono candidarsi in base a tale procedura (come titolari di un’idoneità), creando un grave conflitto d’interessi.
In pratica, quando una facoltà decide di reclutare un professore di ruolo, i membri del consiglio hanno quasi sempre un’idea precisa su chi vorrebbero chiamare. Generalmente, si tratta di una persona che ha frequentato molto la facoltà o ha acquisito “meriti” e “crediti” (si è laureato o ha insegnato nella medesima facoltà, ha collaborato alla didattica o all’organizzazione di conferenze, e così via). Accade, quindi, che la procedura di reclutamento venga decisa in funzione della persona che si vuole. Ad esempio, se questi è un professore di ruolo in altra università, si decide senz’altro di bandire un posto per trasferimento. Poiché la selezione dei candidati fatta in loco è piuttosto sbrigativa e poco regolamentata, generalmente si presenta un solo candidato per la selezione e i potenziali concorrenti rinunciano volontariamente.
Riguardo al punto II, si deve notare che gli “esterni” sono molto numerosi, e lo diventeranno sempre di più, in considerazione della lentezza dei meccanismi concorsuali e della limitatezza del numero di posti disponibili (la legge prevede che possano trascorrere anche quattro anni tra un concorso e l’altro). Ciò contrasta con l’obiettivo di fornire stesse opportunità a tutti coloro interessati a ricoprire una posizione di ruolo.
Per rimediare a queste distorsioni, il ministro potrebbe abolire i concorsi nazionali, dare completa autonomia alle università e attivare le leve degli incentivi e dei disincentivi (mediante sistemi di valutazione della ricerca). Considerazioni di puro realismo mi convincono, tuttavia, che ciò non avverrà in tempi rapidi.
Il ministro potrebbe allora scegliere un obiettivo legislativo più modesto e veloce.
Basterebbe introdurre l’obbligo che i bandi per posti di professore siano aperti a tutti, senza alcuna specificazione riguardo alla tipologia del candidato: se già professore di ruolo nel sistema universitario italiano o idoneo o nessuna di queste due cose.
Detto in altri termini, la facoltà dovrebbe essere obbligata a scrivere un bando generico, nel quale si specifica solo la disciplina nell’ambito della quale si vuole coprire il posto. Alla scadenza, le domande dei candidati sono vagliate dal consiglio di facoltà, che nomina il vincitore. Se quest’ultimo è professore di ruolo in altra università o è un idoneo (in base al concorso nazionale definito dalla legge Moratti o in base ai concorsi locali della legge precedente) avrà automaticamente una posizione di professore di ruolo nella facoltà che ha bandito il posto. Se, viceversa, il vincitore è un “esterno” (cioè non è né professore di ruolo di altra università italiana, né idoneo), non potrà conseguire (immediatamente) una posizione di ruolo. In questo caso, la facoltà dovrà offrirgli un contratto di diritto privato, i cui termini devono essere specificati preventivamente nel bando. Successivamente, l’ateneo presso il quale ha sede la facoltà comunica al ministero l’intenzione di coprire una posizione di ruolo dando luogo all’attivazione di una procedura selettiva di idoneità nazionale. (2)
Questo stesso risultato potrebbe essere raggiunto autonomamente dagli atenei senza attendere una legislazione specifica. Basterebbe che le facoltà che intendono aprire una procedura selettiva per professore bandiscano simultaneamente un posto per trasferimento, un posto per idoneo, secondo le procedure previste dall’articolo 13 della legge Moratti, e un contratto di diritto privato. Ogni procedura di chiamata in base alla quale il candidato vincitore non ha potuto fare domanda sarebbe annullata per inadeguatezza dei candidati concorrenti.
Penso, tuttavia, che il ministero dell’Università farebbe meglio ad agire di autorità.

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(1) Decreto legge 6/4/06 n. 164.
(2) Secondo l’articolo 4 del Dl 6/4/06 n. 164.

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12 commenti

  1. Gaetano Criscenti

    Caro professore, la Sua proposta non risolve molti problemi, il più importante dei quali è il sistema di valutazione dei candidati: a cosa vale aprire i concorsi(a proposito, la sua idea va allargata a tutte le figure universitarie) a tutti , se poi i criteri di valutazione sono lasciati alla facoltà, che attua , di regola, un attento sistema preventivo di scelta dei criteri di valutazione per aiutare “il candidato” ad essere prescelto? Ci sono infiniti esempi di come tramite questo sistema si siano scelti candidati mediocri, ma con forti radici “familistiche”, a danno di eccezionali, ma non supportati, candidati(vedi Torino,Genova, casi che hanno havuto risonanza Mondiale).
    Bisogna stabilire criteri unici per tutta l’Italia, internazionalmente accettati, per evitare simili imbrogli legali.

    • La redazione

      Sono consapevole dei problemi che lei solleva. Tuttavia, credo che
      l’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza tra candidati servirebbe comunque. In questo modo le facolta’ che adottano criteri familistici avrebbero meno alibi. La scelta di un “interno” mediocre in presenza di molti candidati “esterni” (ai quali non puo’ essere sbattuta la porta in faccia solo per motivi “tecnici”) renderebbe piu’ vistoso lo scandalo e piu’ chiare le responsabilita’.

  2. Alessandro Figà-Talamanca

    La legge Moratti sul reclutamento (L. 230/2005) ed il successivo decreto legislativo sono un modello di confusione normativa. Tuttavia in nessun punto di queste norme si vieta ad un professore di ruolo di partecipare ad un concorso per le chiamate degli idonei. Un simile divieto potrebbe essere previsto dai regolamenti di sede, che tuttavia potrebbero facilmente essere contestati con ricorsi amministrativi. Tra l’altro la legge 230/2005 ha comunque abrogato la disposizione della legge 210/1998 che vietava ai professori di ruolo di partecipare a concorsi per la stessa fascia e lo stesso settore. Io spero che quanto proposto dall’autore sia in effetti già operante.

    • La redazione

      Un professore di ruolo puo’ partecipare ad un concorso per la chiamata di idoneo? Leggo dalla legge Moratti chele “..universita’ disciplinano con propri regolamenti…le procedure …riservate ai possessori dell’idoneita’ nazionale…”. Francamente, non saprei dire come questa disposizione sara’ recepita localmente. Mi auguro che il prof. Figa’ Talamanca abbia ragione. Mi sembra, tuttavia, che le universita’ abbiano ancora la possibilita’ di chiamare per trasferimento (cioe’ di adottare procedure riservate ai soli professori di ruolo).

  3. Gianluca

    Le sembra giusto professore che oggi non siano solo i raccomandati (chiamiamoli col loro nome per cortesia) ad andare avanti negli ambiti universitari, ma anche i più abbienti? Mi spiego. I ricercatori oggi devono avere i soldi in tasca per una serie di attività che devono spesarsi oltre a le spese di vitto e alloggio per i numerosissimi fuorisede.
    Io credo che l’indipendenza degli Atenei abbia fatto solo dei danni. Se una città a bisogno di risorse allora farebbe bene ad aprire una Università, meglio se una facoltà cosidetta nuova come al tempo fu Scienze della Comunicazione. Faccio questo esempio non a caso ma tenendo ben presente che quella scelta fu un business per le città come Perugia e Roma. SEnza stare ad approfondire il mercato degli affitti e degli immobili in genere, gli esercizi commerciali, le banche ecc. Senza contare che chi si è laureato in Sc. della Com. non solo lo ha fatto con tutti i disagi di una facoltà iperaffollata ma ha preso una laurea praticamente inspendibile se non corredata da Master e Scuole. Questo ha significato cambiare città con relativo appartamento e affitto e doversi pagare una specializzazione di alcune migliaia di euro in genere. Ma bisogna provenire da una famiglia abbiente altrimenti si va nel call center, anche col 110 perchè i concorsi sono spesso uno spreco di tempo e fatica.
    Io propongo di rendere le UNiversità dei poli di formazione mirata. Esse devono avere i giusti collegamenti con aziente, enti, società ecc. che abbiano specifiche richieste di studenti pronti per una mansione specifica in quel settore specifico. Succede nelle Università private perchè non farlo succedere nelle UNiversità pubbliche?

    In breve vorrei lanciare un’idea, ovvero fare in modo

  4. Giorgio Forti

    Mi astengo da più lunghi commenti, ma debbo correggere un difetto di informazione dell’autore: i concorsi universitari sono già aperti ai cittadini stranieri, che li possono vincere ed in tal modo entrare nella lista degli idonei, ben prima del decreto Moratti, deleterio per ben altre ragioni. Se l’autonomia universitaria consentisse alle università di fare contratti di diritto privato con chiunque per arruolare i docenti , il disastro sarebbe completo: si può solo pensare con tristezza quali scelte verrebbero fatte in molte università.

    • La redazione

      So bene che i concorsi sono gia’ aperti ai cittadini stranieri. Il problema è che i concorsi nazionali per idoneita’ con numero chiuso (ove il numero viene determinato in base alle richieste delle universita’) renderanno sempre piu’ difficile l’accesso ai giovani e a coloro che non sono già inseriti nel (e protetti dal) sistema universitario italiano. Perché spaventarsi dei contratti di dirtto privato? La trasformazione di questi contratti in posizioni di ruolo sara’ comunque decisa da una commissione
      nazionale con giudizio comparativo. Con cio’ si ottiene l’indubbio vantaggio di rendere piu’ fluido e continuo l’accesso all’università.

  5. Fabrizio Grandi

    Mi sembra che il nuovo ministro Mussi sia un tipo che ha il coraggio di andare controcorrente, a giudicare dalle sue dichiarazioni in tema di ricerca sulle cellule staminali. Peccato però che la maggioranza di cui fa parte abbia provveduto a tarpare le ali all’entusiasmo di Mussi. Per riformare il reclutamento dei docenti sarà necessaria l’azione di autorità, di cui Mussi sarebbe capace: ma siamo sicuri che il Governo lo farebbe agire lasciando carta bianca e trascurando le grida di protesta degli accademici che percepiscono la concorrenza come gli americani percepivano il comunismo ai tempi della Caccia Alle Streghe? Purtroppo temo di no.

  6. Andronico

    Riformare il sistema dei concorsi non è affatto una riforma semplice che si può fare subito. I docenti universitari sono dei dipendenti pubblici e la legge dello Stato (credo anche a livello costituzionale) prevede che i dipendenti pubblici siano assunti con procedura concorsuale. Sarebbe necessario riformare tutta la normativa di reclutamento delle PP.AA. e non credo si faccia con un tratto di penna.
    Sarebbe invece molto più semplice ed efficace riformare i meccanismi di finanziamento legandoli ai risultati scientifici ma anche formativi (premiando chi forma dei buoni laureati). Credo non serva neanche una legge per fare questa riforma (forse basta un regolamento ministeriale). Gli atenei che non assumono docenti di valore verebbero puniti sul finanziamento e via via avrebbero sempre meno risorse per assumere altri docenti scarsi.
    Tale riforma dovrebbe essere accompagnata anche da incentivi economici alla mobilità degli studenti meno abbienti.

  7. Luca Amendola

    Anche io (come Andronico) penso che l’unica maniera di convincere le università (e gli enti di ricerca) a scegliere i migliori sia di premiare i risultati scientifici (e formativi, ma separatamente) finanziando di più chi lavora meglio mediante una valutazione “impietosa e trasparente”. In questo modo tutto il Dipartimento è *direttamente* interessato a una selezione corretta e la commissione non potra’ cosi’ facilmente far passare il nipote di turno (e se lo fa ne paga le conseguenze). Ogni meccanismo concorsuale, sappiamo bene dopo innumerevoli tentativi, puo’ essere facilmente distorto se non c’e’ un incentivo diretto per tutto l’Istituto a selezionare il merito.
    Sara’ a tutti ovvio, ma fatemelo mettere per iscritto: premiare il merito non è una questione morale. E’ una questione di sopravvivenza: mettere in cattedra un incapace significa rovinare generazioni di studenti. Metterci una persona di valore significa creare generazioni di medici, ingegneri etc. che renderanno migliore la societa’. Insomma, senza esagerazione, la selezione del merito è il problema principale della società italiana (non solo nell’ Universita’!). Prima di chiedere nuovi fondi, dovremmo preoccuparci di chi li andra’ a gestire.

  8. matteo

    ragazzi, ma non vi sembra che sia venuto il momento di riformare la legge 264/1999 sugli accessi all’universita’?perche’ non permettiamo a tutti di entrarci? perche’ invece di selezionare con un test, non selezioniamo attraveso esami severi?

  9. Enrico Ansini

    A tutti i precari dell’università che vorrebbero e aspettano concorsi meritocratici che non arrivano mai.

    Il ministro Mussi sembrava fosse partito con il piede giusto ma ora sembra aver tirato i remi in barca, sta pensando ad altro, non certo ai problemi di cui si dovrebbe occupare – cioè principalmente a operare per un’università fondata sul merito e sul lavoro effettivo in cui il 100% dei fondi (e non solo le ciliegine!) vengono distribuiti secondo la produzione scientifica e i risultati didattici. Da questa università chi non lavora e non produce andrebbe cacciato via (anche se ha il posto “fisso”).

    I concorsi andrebbero aboliti, basterebbero delle graduatorie stilate sulla base di criteri oggettivi (pubblicazioni, impact factor, posizione del nome sugli articoli, citazioni, attività didattica valutata dagli studenti). Le graduatorie potrebberi essere messe su internet e aggiornate periodicamente per stabilire i nuovi reclutamenti. Così tutto sarebbe alla luce del sole e veramente (non come oggi…) si saprebbe già chi deve entrare – perchè lo merita! – ogni volta che c’è bisogno di nuovo personale.

    E’ troppo comodo per i baroni ripararsi sotto l’egida dell’ “autonomia universitaria”. Questa situazione va cambiata. Adesso infatti, autonomia universitaria significa poter fare con i soldi dello stato quello che ogni “barone” vuole. Se ci deve essere autonomia questa deve essere anche economica, cioè i finanziamenti devono andare solo là dove si produce (vanno meritati e non ricevuti in regalo!), solo allora l’autonomia sarà autentica.

    La situazione, per ora, è peggiore di quella lasciata dalla Moratti. Non se ne può più, dobbiamo fare uno sciopero in autunno 2007 che interrompa la didattica in modo evidente, faccia vedere veramente quanto peso è sulle nostre spalle e provi a far passare i criteri che ho esposto sopra.

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