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Relazioni industriali: la paralisi e i rimedi

Sono quasi otto milioni i lavoratori dipendenti con contratto collettivo scaduto. E tra breve altre importanti categorie si aggiungeranno all’elenco. Le difficoltà di funzionamento del sistema di relazioni industriali dipendono essenzialmente dal difetto di una visione comune tra le parti del contesto economico in cui la contrattazione si colloca, dei vincoli da rispettare e degli obiettivi da raggiungere. Ad aggravarle contribuisce poi la centralizzazione del sistema contrattuale. E non sarà certo la triennalizzazione a risolvere la situazione.

Un sistema di relazioni industriali inceppato

Pubblichiamo qui di seguito la tabella delle categorie sindacali i cui contratti collettivi nazionali sono scaduti e verranno pertanto rinnovati in più o meno grave ritardo.

Principali contratti scaduti alla data del 13 giugno 2007 e in scadenza nel corso del 2007 (a)

Contratto

Scadenza

Dipendenti

QUADRIENNIO NORMATIVO

INDUSTRIA

228.000

Giornalisti

28/02/2005

10.000

Alimentari – Industria

31/05/2007

211.000

Olearia e margariniera

31/05/2007

7.000

SERVIZI DESTINABILI ALLA VENDITA

3.001.000

Commercio – Confcommercio

31/12/2006

1.796.000

Attività ferroviarie

31/12/2006

105.000

Poste

31/12/2006

172.000

Servizio smaltimento rifiuti – Fise

31/12/2006

28.000

Servizio smaltimento rifiuti – Federambiente

31/12/2006

35.000

Turismo

31/12/2005

403.000

Assicurazioni

31/12/2005

42.000

Pulizia locali

31/05/2005

186.000

Istruzione privata – Scuole laiche

31/12/2005

45.000

Servizi socio assistenziali

31/12/2005

84.000

Case di cura e istituti privati – Aiop

31/12/2005

105.000

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

2.981.600

Ministeri

31/12/2005

200.000

Presidenza del consiglio dei ministri

31/12/2005

3.000

Regioni ed autonomie locali

31/12/2005

526.000

Enti pubblici non economici

31/12/2005

57.000

Ricerca

31/12/2005

10.000

Scuola

31/12/2005

910.000

Università

31/12/2005

55.000

Servizio sanitario nazionale

31/12/2005

545.000

Agenzie fiscali

31/12/2005

62.000

Forze di polizia (ordinamento civile e militare)

31/12/2005

310.000

Militari

31/12/2005

119.000

Attività dei vigili del fuoco

31/12/2005

30.000

Dirigenza Area (1-2-3-4-5-6-8) (b)

31/12/2005

154.400

Dirigenza Area 7

31/12/2001

200

ARTIGIANI

1.039.000

Acconciatura ed estetica

31/12/2003

57.000

Alimentari e panificazione

30/06/2001

81.000

Ceramica

30/09/2000

6.000

Chimica gomma e vetro

31/12/2004

43.000

Lavanderie

31/12/2000

12.000

Lapidei

30/09/2003

28.000

Legno e arredamento

31/12/2000

97.000

Metalmeccanica

30/06/2000

461.000

Oreficeria

31/12/2000

18.000

Servizi di pulizia

30/06/2003

31.000

Tessili e abbigliamento

31/12/2000

205.000

BIENNIO ECONOMICO

SERVIZI DESTINABILI ALLA VENDITA

733.000

Trasporto merci su strada

31/12/2005

173.000

Servizi di magazzinaggio

31/12/2005

89.000

Credito – ABI

31/12/2005

349.000

Telecomunicazioni

31/12/2006

122.000

 

 

 

(a) Elaborazioni su dati Istat

QUADRIENNIO NORMATIVO

7.249.600

INDUSTRIA

228.000

SERVIZI DESTINABILI ALLA VENDITA

3.001.000

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

2.981.600

ARTIGIANI

1.039.000

BIENNIO ECONOMICO

733.000

INDUSTRIA

SERVIZI DESTINABILI ALLA VENDITA

733.000

TOTALE DIPENDENTI

7.982.600

63,92

Totale dipendenti Indagine sulle retribuzioni contrattuali base dicembre 2000

12.488.479

Alcuni importanti contratti nazionali, come quello dei metalmeccanici, scadranno tra pochi giorni, il 30 giugno 2007, e dovranno pertanto tra breve essere aggiunti in questa tabella.
Spiccano nell’elenco, oltre al caso clamoroso dei giornalisti, i casi della gran maggior parte delle categorie del settore pubblico; e a queste vanno aggiunte quasi tutte le categorie del trasporto pubblico, dove pure è normale che i contratti vengano rinnovati con rilevante e sistematico ritardo. La cosa può apparire strana: i settori pubblico e dei trasporti sono quelli in cui le organizzazioni produttive operano più sovente in regime di monopolio; si potrebbe dunque pensare che gestori e sindacati potessero qui accordarsi più facilmente, essendo esentati dal morso della concorrenza e disponendo quindi di margini più ampi (la rendita monopolistica da spartirsi tra imprenditore e lavoratori). Proprio in questi settori, invece, si registrano i ritardi più gravi e più diffusi; e, nei trasporti pubblici, si registrano tassi di conflittualità abnormi, al punto che qualificarli come assurdi non è un’esagerazione: nei trasporti municipali, nel trasporto aereo e in quello ferroviario da anni si proclamano scioperi mediamente una volta al mese, senza alcuna sosta; è normale che si scioperi anche subito dopo il rinnovo del contratto nazionale, stipulato in grave ritardo, per il rinnovo successivo. La spiegazione va probabilmente cercata nel fenomeno della frammentazione sindacale, che colpisce i settori pubblico e dei trasporti in misura nettamente superiore rispetto agli altri: è vero che il contratto nazionale può essere stipulato anche dai soli sindacati confederali maggiori, ma è anche vero che questi sono messi in grave difficoltà dalla concorrenza dei sindacati autonomi, che praticano una politica rivendicativa più aggressiva e considerano esclusivamente gli interessi dei loro rappresentati insider, non quelli di outsider e utenti.

Triennalizzare i contratti non risolve il problema, anzi lo aggrava

Governo e sindacati confederali del settore statale hanno ritenuto, nel pre-accordo stipulato alcuni giorni fa per il rinnovo dei contratti nazionali del settore, di correggere questa disfunzione aumentando da due a tre anni la durata delle pattuizioni economiche “per dare più tempo alle parti per elaborare l’accordo”. Questo rimedio – come ha rilevato anche Innocenzo Cipolletta sul Sole 24Ore del 15 giugno – è a dir poco assai discutibile: per un verso, non sembra davvero che i ritardi nei rinnovi dei contratti dipendano dalla scarsità di tempo disponibile per la negoziazione; per altro verso, è prevedibile che l’allungamento dell’intervallo tra un rinnovo e l’altro, con il conseguente aumento della posta in gioco, aggravi le tensioni che appesantiscono le negoziazioni invece che attenuarle.
Le difficoltà attuali di funzionamento del nostro sistema di relazioni industriali dipendono essenzialmente dal difetto di una visione comune tra le parti del contesto economico in cui la contrattazione si colloca, dei vincoli oggettivi da rispettare e dei risultati da raggiungere nel periodo oggetto di negoziazione; e la questione non si pone soltanto nel settore pubblico e in quello dei trasporti. Nei Paesi dove il sistema appare meglio in grado di produrre accordi in modo continuativo e puntuale – penso soprattutto ai Paesi scandinavi, ma anche a Olanda, Germania, Austria, Svizzera – le trattative per il rinnovo del contratto sono solitamente precedute e notevolmente facilitate da una sessione nella quale i tecnici delle due parti si accordano sui dati fondamentali e vincoli di contesto; il che implica, da un lato, una disponibilità degli imprenditori a mettere tutte le carte in tavola, una trasparenza integrale che a sud delle Alpi è merce molto rara. Dall’altro lato implica un interesse del sindacato a conoscere quei dati e vincoli obbiettivi e a tenerne conto nella determinazione della propria politica rivendicativa, che è esso pure merce molto rara in Italia.

Spostare il baricentro della contrattazione verso le regioni e le aziende

Ad aggravare le nostre difficoltà contribuisce poi la centralizzazione del sistema della contrattazione collettiva, che, per un verso, affida al contratto nazionale il compito di disciplinare minuziosamente la stratificazione professionale dei lavoratori (quindi in qualche misura anche l’organizzazione del lavoro) e la struttura della retribuzione in tutte le aziende del settore, per altro verso preclude di fatto la deroga alla disciplina nazionale ai livelli inferiori. Ne consegue un evidente sovraccarico di funzioni del contratto collettivo nazionale: è sempre più difficile regolare compiuatamente, rigidamente e inderogabilmente il rapporto di lavoro allo stesso modo per migliaia o addirittura decine di migliaia di aziende di diverse regioni, diverse dimensioni, diverse collocazioni nel mercato.
Sono passati ormai quasi tre anni da quando Guglielmo Epifani abbandonò clamorosamente il tavolo della trattativa interconfederale, per protestare contro il presidente di Confindustria Montezemolo, il quale aveva posto la questione della riforma della struttura della contrattazione collettiva. Il leader della Cgil allora dichiarò che prima di avviare la negoziazione le tre confederazioni maggiori avrebbero dovuto accordarsi tra loro; ma da allora l’intesa fra Cgil, Cisl e Uil su questo punto non ha fatto un solo passo avanti.
Non sarà certo la triennalizzazione del contratto collettivo nazionale a rimettere il nostro sistema di relazioni industriali in condizione di funzionare bene. O imprenditori e sindacati sono in grado di ritrovare in tempi brevi una visione comune su ciò che va contrattato e il modo per farlo, come quella che ha consentito i grandi accordi del passato – da quello istitutivo della “scala mobile” del 1957 al protocollo Amato del 1992 che la ha abolita, dal protocollo Scotti del 1983 con cui Cgil Cisl e Uil seppero voltar pagina rispetto alle follie degli anni Settanta al protocollo Giugni del 1993 con cui esse scelsero di partecipare da protagoniste alla grande scommessa di Maastricht -, oppure il nostro sistema di relazioni industriali continuerà sempre di più a perdere colpi. E si moltiplicheranno le categorie che dovranno abituarsi a fare a meno di un contratto nazionale troppo difficile da rinnovare.

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  1. rodini carlo

    Alle giuste considerazioni di Ichino credo che vadano aggiunte le motivazioni per cui le parti abbiano un interesse comune a raggiungere un accordo. Mentre i lavoratori perdono denaro a scioperare, e così le aziende, non vedo cosa perde il settore pubblico o dei trasporti dove gli incassi sono già abbastanza garantiti dalle tasse o dagli abbonamenti. Così come stanno le cose i servizi pubblici sembrano risparmiare: perchè dovrebbero essere invogliati a concludere?

  2. Federico Salis

    A volte ritornano. In questo caso il tema di sempre : i contratti collettivi nazionali. Abolirli? rimaneggiarli? quale che sia la soluzione prospettata non si risolve un problema di fondo : l’applicazione dei contratti. Possiamo anche delegare agli accordi collettivi di quartiere, ci sarà sempre qualcuno che, magari dopo un interpello ben assestato, avrà la possibilità di non applicarlo del tutto o non applicarlo parzialmente. Quale sicurezza allora per le aziende in termini di “dumping” ? cosa fare per le aziende che applicano un accordo territoriale che prevede, ad esempio, l’istituzione dell’assistenza sanitaria integrativa, con relativo costo a carico datoriale, rispetto ad aziende che non lo applicano ?
    Prima di “sporzionare” gli accordi collettivi darei priorità ad una norma che ne imponga l’integrale applicazione…

    • La redazione

      La norma c’è già (art. 1372 del codice civile: “Il contratto ha forza di legge tra le parti”). Il problema è che in Italia il tasso di effettività della legge è troppo basso. Ma questo, evidentemente, non è un problema che si possa risolvere con una legge che sancisca… che le leggi si devono rispettare. p.i.

  3. Federico Salis

    E’ corretta l’affermazione di Ichino ma la stessa legge ha creato un istituto “l’interpello” che sistematicamente frammenta le norme contrattuali e di conseguenza inficia lo stesso contratto nazionale nella sua “intera” applicazione : si veda ad esempio gli enti bilaterali e l’assistenza sanitaria integrativa nei settori Commercio e Turismo.
    Per andare oltre condivido la circostanza, e qui mi spoglio da difensore del ruolo della contrattazione di primo livello, che i contratti nazionali potrebbero essere sottoscritti in tempi decisamente più rapidi, ed è vero anche che è controproducente “sovraccaricare” il CCNL di compiti e funzioni.

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