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UN PATTO DA RILANCIARE

Una seria discussione sulle innovazioni da portare alla gestione degli atenei dovrebbe ripartire dal patto per l’università, in parte riflesso nella Finanziaria 2007. Postula una migliore definizione delle responsabilità, una più estesa programmazione delle assunzioni, la ridefinizione dei vincoli finanziari entro un trasparente bilancio consolidato, la ripartizione delle risorse con finalità di riequilibrio e premio, l’aumento dei fondi per il diritto allo studio anche attraverso una aumento vincolato delle tasse studentesche.

Si spera che la reazione del paese riesca a salvare l’università dai tagli esiziali introdotti con la legge 133/2008 e che si possa presto discutere seriamente di nuove regole per la gestione degli atenei. Potrà essere utile inserire nella discussione anche quel “patto per l’università” che il governo Prodi aveva concordato con la conferenza dei rettori.

I PRINCIPI DEL PATTO

Il patto nasceva dalle proposte della soppressa Commissione tecnica per la finanza pubblica. (1) Eccone in sintesi i punti essenziali.
Definire le responsabilità: lo Stato risponda della dinamica stipendiale, che è al di fuori della capacità decisionale degli atenei, e gli atenei rispondano della politica delle assunzioni e della politica della spesa.
Programmare le spese per il personale: rispetto all’attuale obbligo di una previsione triennale, è possibile e conveniente attuare una programmazione decennale, che darebbe più tranquillità sulle scelte di lungo periodo.
Ridefinire i vincoli entro bilanci consolidati: una volta fotografata esattamente la situazione finanziaria del sistema universitario, attraverso bilanci consolidati che riportino in testa agli atenei i conti delle società e degli enti controllati, si dovrà fissare un nuovo limite all’indebitamento e si potrà anche ridefinire il vincolo gravante sulle spese di personale. Continuare ad ancorarsi semplicemente al fondo di finanziamento ordinario (Ffo) può infatti essere restrittivo rispetto alla odierna varietà delle fonti finanziarie degli atenei. Ma va ribadito che per ora il riferimento al 90 per cento del Ffo va rispettato e riportato velocemente alla più severa versione originaria, e quindi senza le edulcorazioni introdotte con una legge del 2004 che ha tolto le spese per gli incrementi stipendiali e un terzo delle spese per il personale universitario operante nel Servizio sanitario nazionale:
Ripartire le risorse con finalità di riequilibrio e premio, e non più solo sulla base della spesa storica: in attesa di migliorare i criteri di valutazione, usare il modello del comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu) per distribuire almeno il 5 per cento del Ffo, riservando il 20 per cento di tale importo alle università che sono sottofinanziate rispetto al modello stesso, in maniera da accelerare il riequilibrio e premiare le virtuose.
Garantire più servizi e più borse di studio agli studenti, attraverso due interventi. Il primo consiste nella creazione di un nuovo fondo a livello nazionale per borse di studio più ricche di quelle distribuite presso gli atenei, che consentano effettivamente ai vincitori di scegliere la sede preferita. In tal modo si rafforza il diritto allo studio ma si promuove anche una sana competizione tra le università, nella fondata ipotesi che i migliori studenti sceglierebbero gli atenei migliori. Poiché c’è sempre il rovescio della medaglia, ne potrebbe derivare un impoverimento di capitale umano per il Sud; ma appare di maggior peso il rispetto del diritto di ciascun studente meritevole, anche se privo di mezzi, di ottenere il percorso formativo preferito. Il secondo intervento consiste in un aumento limitato del peso delle tasse scolastiche sul Ffo, spostando l’incidenza massima dal 20 al 25 per cento, con il vincolo però che almeno il 50 per cento del gettito addizionale sia riservato ai servizi agli studenti.

INTERVENTI SULL’ORDINAMENTO

I principi proposti dalla Ctfp sono stati parzialmente recepiti dalla Finanziaria 2007 e dal successivo piano programmatico, da cui nasceva il riparto di una quota sia pur lieve di risorse aggiuntive secondo il modello del Cnvsu, si ribadiva l’obbligo, fino ad allora non sempre rispettato, della programmazione triennale e si imponeva il bilancio consolidato, mentre nulla di nuovo era purtroppo previsto sul fronte del diritto allo studio. Il senso di tutto ciò si può rendere con lo slogan “spendere di più ma meglio”, a indicare che il sistema universitario italiano ha bisogno di più risorse e che deve e può essere riformato.
Superfluo sottolineare che le azioni sopra indicate riguardano unicamente gli aspetti gestionali. Ad esse devono accompagnarsi interventi sull’ordinamento, in particolare sui requisiti minimi per i corsi di studio, e sulla valutazione. Ma ha senso parlarne solo se il sistema universitario viene messo in condizioni di sopravvivere e viene sottoposto a una politica selettiva che riconosca i meriti e i demeriti dei vari atenei, dando forti incentivi al miglioramento della didattica, della ricerca, del rigore amministrativo. La manovra di Giulio Tremonti e Maria Stella Gelmini va allora giudicata doppiamente negativa: perché opera tagli oggettivamente insopportabili e perché li impone in modo indiscriminato, mantenendo e semmai accentuando gli squilibri interni al sistema universitario e irridendo la virtù della buona amministrazione anziché premiarla.

(1) Vedi Ctfp, Misure per il risanamento finanziario e l’incentivazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema universitario, doc. 2007/3 bis, Roma, 31 luglio 2007.

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  1. cesare

    La didattica giova principalmente allo studente e la ricerca (si spera) a tutta la società. Anche una stima dei costi potrebbe aiutare a ripartire meglio gli oneri a prescindere che sia università pubblica o privata. Quanto dell’impegno lavorativo di un docente (prima e seconda fascia) è dedicato alla ricerca e quanto alla didattica? Il diritto allo studio è riconosciuto solo se ci sono i soldi per riconoscerlo. In base ai requisiti min di merito (crediti e media) e di reddito (ISEEU), si stabiliscono gli "idonei", poi si fa una graduatoria e si erogano borse di studio fino a quando non si esauriscono i fondi. Quanti sono gli studenti "idonei non vincitori"? E’ vero che al Sud sono intorno al 50%?

  2. Alberto Sdralevich

    D’accordo con entrambi. Ma un piano triennale (o decennale!) presuppone: a) un minimo di prevedibilita’ e sicurezza nelle assegnazioni di fondi; b) una verifica della discrepanza tra risultati e obiettivi; altrimenti è un libro dei sogni. Per i contributi degli studenti, perché non sostituire il vincolo del 20% sul FFO con un vincolo sulla quota minima di studenti esenti, o sulla quota minima dei contributi destinati a esenzioni e borse di studio?

  3. alfie

    E’ questa la frase del suo articolo che più mi ha colpito (sia chiaro che traspare la passione e l’interesse per la sorte dei nostri giovani, che io condivido pienamente): Il senso di tutto ciò si può rendere con lo slogan “spendere di più ma meglio”, a indicare che il sistema universitario italiano ha bisogno di più risorse e che deve e può essere riformato. Il problema, mi pare di capire, è che i soldi bisogna trovarli, magari risparmiando su altro, e (dato che il deficit è elevato) risparmiando molto di più di quello che si vuole spendere. Lei ha qualche proposta?

  4. Paolo Trivellato

    Un aumento dal 20 al 25% delle tasse sul FFO – con il vincolo della metà in servizi per studenti – pare sensato e praticabile. Se lo si dovesse fare, occhio alla comunicazione! L’idea delle borse di studio di importo adeguato e spendibili dove si vuole (praticamente il buono-università) suona molto accattivante: chi ha voglia di pensare a come finanziarle e assegnarle? Ci sono esempi in giro per il mondo?

  5. lucio boattini

    Non conosco abbastanza bene l’Università, per cui non posso dare valutazioni sui singoli aspetti della proposta. E’ chiaro che i tagli indiscriminati favoriscono le università inefficienti (così come l’eliminazione dell’ICI favorisce i Comuni inefficienti, come i tagli al Fondo Sanitario etc…). Le proposte avanzate mi sembrano comunque ragionevoli, spero che la Gelmini ne tenga conto (ma ahimè sono state presentate dal governo Prodi, che è rappresentato come la causa di tutti i mali), casomai dicendo che sono farina del suo sacco.

  6. alias

    Leggo stamane le linee guida del Ministro Gelmini sull’Università (discusse al Consiglio dei Ministri). http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/linee_guida_universita/ Solo un commento; il Governo avrebbe potuto anche tentare di intaccare il sistema delle "baronie,, o dinastie, ma non ne ha avuto il coraggio. Probabilmente, teme di perdere consensi se attacca i potentati di Bari, Palermo e altrove. Ma allora, faccia come la NBA di basket, che dà alle squadre più deboli la prima scelta dei migliori giocatori di college che passano professionisti ! Perchè non rinforzare certi atenei minori (diciamo, alcuni di quelli citati) favorendo i ricercatori (ovviamente non parenti) che scelgono di tentare i conocorsi là? perchè non facilitare anche i meccanismi concorsuali di ibridazione, che troppo spesso portano i ricercatori a studiare nella loro università, a farvi la ricerca, a lavorare col proprio docente, e finalmente a trovarci un posto ? La mobilità dei professori dovrebbe essere almeno altrettanto importante di quella degli studenti.

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