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IL SUD E LA SPESA IN RICERCA E INNOVAZIONE

Entro il 2013 arriveranno nel Mezzogiorno ingenti finanziamenti per attività di ricerca e sviluppo. Per evitare il disimpegno delle risorse a fine 2009 previsto dalle regole comunitarie, il ministero della Ricerca ha fatto proprie le priorità indicate dalle Regioni. Ma senza un filtro a livello nazionale che imponga criteri di selezione trasparenti e condivisi, gli aspetti politici finiscono per contare più di quelli tecnologici o produttivi. Un punto di partenza è l’analisi fattuale che ha esaminato le prospettive a medio termine di sette aree tecnologiche.

Il Quadro strategico nazionale 2007-2013 prevede un ampio ricorso all’utilizzo dei fondi strutturali per attività di ricerca e innovazione nelle Regioni del Mezzogiorno. Si tratta di oltre 20 miliardi di euro entro il 2013 tra piano operativo nazionale (Pon), piani operativi regionali (Por) e risorse nazionali, in particolare il fondo aree sottoutilizzate (Fas), anche se queste ultime sono di mese in mese ridotte dagli interventi di urgenza del governo. Naturalmente, la preoccupazione è che risorse così ingenti trovino utilizzi razionali e producano effetti di sviluppo. Un auspicio che si scontra però con l’esigenza, di fatto incentivata dalla stessa Commissione Europea, di spingere la spesa in tempi brevi.

I RISCHI DI UNA SCELTA

L’autorità di gestione del Pon, il ministero della Ricerca, ha scelto di lanciare la prima parte di utilizzo (circa il 40 per cento) privilegiando la cantierabilità dei progetti: una scelta necessaria per avviare un primo blocco di interventi e scongiurare così il rischio di disimpegno delle risorse, che secondo le regole comunitarie potrebbe avvenire a fine 2009, se l’impegno di spesa non raggiunge certe percentuali.
Per massimizzare la spesa a breve, si è scelto un percorso di coinvolgimento delle Regioni del Mezzogiorno, in pratica recependo a livello nazionale nel Pon le priorità segnalate dalle singole Regioni.
Non vanno sottaciuti i rischi di un simile approccio.
In primo luogo, il Pon è uno strumento di programmazione nazionale, che risponde a una strategia di respiro nazionale ed europeo, secondo metodologie di fissazione delle priorità. Farsi dettare l’agenda del piano nazionale dalle Regioni significa sì spendere prima, ma anche abdicare a un ruolo di guida.
Secondo, non vi è prova che le Regioni abbiano effettuato le scelte di priorità seguendo metodi trasparenti e rigorosi, sulla base di proiezioni a medio termine e di analisi dei punti di forza e debolezza dei propri sistemi scientifico-tecnologici e produttivi. L’esperienza insegna che se questi metodi non vengono chiesti o imposti dall’amministrazione centrale, non vengono usati e le Regioni trasferiscono a livello nazionale richieste che derivano da esigenze puramente politiche di rappresentanza di singoli territori o settori. Si può decidere di finanziare un settore di una certa Regione perché è il settore di provenienza dell’assessore regionale, o perché è basato su un territorio a cui si sono promessi interventi. Si può anche decidere con “la pistola alla tempia” della occupazione, soprattutto quando con i soldi si sono effettuati programmi di assunzioni a tempo indeterminato del tutto sganciate da realistiche condizioni di finanziamento a regime. Senza un filtro a livello nazionale che imponga criteri di selezione sulla base di metodologie condivise, le priorità risentono eccessivamente di aspetti politici, invece che tecnologici o produttivi. È accaduto così in passato con numerosi distretti tecnologici e con altre iniziative.
Terzo, e non meno grave, accettare progetti cantierabili scelti dalle Regioni significa anche continuare alcune esperienze iniziate nella programmazione 2000-2006 senza che vi sia stata nel frattempo una valutazione accurata e pubblica. È proprio necessario finanziare i distretti tecnologici lanciati dopo il 2000, oppure è meglio effettuare una selezione e premiare quelli virtuosi e chiudere gli altri? Si confronti con quello che ha fatto il governo francese con i poli di competitività: dopo appena due anni di attuazione ha lanciato un grande programma di valutazione, lo ha fatto svolgere a un soggetto indipendente, e come conseguenza della valutazione ha chiuso alcuni poli territoriali che non avevano ottenuto risultati.

APPROCCI DIVERSI

Rispetto alla necessità ineludibile di una valutazione seria ci si trincera talora dietro la previsione di raggiungere la sostenibilità economico-finanziaria entro tre anni, come per esempio nel caso dei centri di competenza, strutture pubblico-private di collaborazione tra ricerca universitaria e imprese. Si somma così all’approssimazione iniziale dell’operatore pubblico, un finto ricorso a criteri di mercato. Non è possibile che stiano sul mercato iniziative che presentano significativi profili di ricerca. È più corretto porre un vincolo di progressiva riduzione del contributo pubblico, come prevede la Commissione Europea nei poli di innovazione.
Con tutt’altro approccio hanno operato il dipartimento per le Politiche di sviluppo e coesione (Dps) e il ministero dello Sviluppo economico. Il primo ha iniziato, a luglio 2008, un percorso di confronto con le Regioni e i ministeri sui metodi con i quali effettuare la selezione delle priorità, svolgere le valutazioni di impatto, garantire la qualità delle scelte. Coadiuvato da un gruppo di esperti, il confronto ha prodotto una serie di raccomandazioni che rischiano di essere completamente disattese se il ministero della Ricerca, con il Pon, non “dà il buon esempio”, imponendo alle Regioni criteri severi. Il secondo ha avviato una analisi fattuale che per la prima volta ha esaminato le prospettive a medio termine di sette aree tecnologiche e le aree di forza e competitività delle otto regioni meridionali, in modo da identificare programmi di rilievo nazionale e di peso strategico. I primi risultati, su quattro settori, dell’analisi sono disponibili dal 19 dicembre: potrebbero essere usati immediatamente dal ministero per aprire i primi bandi, o per avviare in tempi rapidi confronti con le Regioni per le azioni connesse di Industria 2015.
Se non si attivano con forza metodi rigorosi e trasparenti si spendono le risorse, ma poi non si è in grado di spiegare perché e con quali effetti. Alla fine, né la Commissione Europea, né la pubblica opinione ce lo permetteranno più.

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NOTE TECNICHE SULL’ACCORDO INTERCONFEDERALE DEL 22 GENNAIO

  1. teresa

    Lucido articolo. Le risorse dei fondi strutturali, efficacemente spese, possono determinare una più efficiente strutturazione del sistema economico meridionale. Consapevolezza nelle scelte, qualità della spesa, efficacia di risultato devono guidare l’attuale ciclo di programmazione. Ad entrambi i livelli di governo. E’ irresponsabile che il livello centrale assuma, anche in via temporanea, come propria spesa, la domanda locale meno qualificata, almeno per due ordini di motivi. In primo luogo perché è necessario che si sviluppi al centro una politica coerente in grado di costruire un disegno complessivo per i diversi territori, e assicurare connessioni internazionali coerenti e congeniali agli interessi nazionali. Inoltre,una tale scelta risulterebbe spiazzante dei meccanismi che si stanno fornendo alle regioni, di cui si fa cenno nell’articolo, per meglio qualificarne gli investimenti. Le regioni, implicitamente, si sentirebbero legittimate ad operare scelte analoghe, abdicando alle pressioni locali in ragione della necessità di garantire la spesa, piuttosto che la qualità degli investimenti.

  2. Aram Megighian

    Il settore R&D è, a mio parere, il principale settore strategico di una nazione occidentale. Solo attraverso la Ricerca (che passa necessariamente attraverso la ricerca di base prima di arrivare alla ricerca applicativa) è possibile mantenere la competitività della produzione industriale di fronte alla sfida delle nazioni emergenti. Queste ultime, è da ricordare, stanno già investendo ben più di noi in R&D, mettendo quindi già la freccia per il sorpasso futuro. Essendo strategico, sono perfettamente d’accordo che uno stato come l’Italia non si possa permettere di dilapidare le (pochissime) risorse di R&D in mille rivoli regionali di chissà quale importanza. E questo, mentre ovunque si cercano sistemi centrali per ottimizzare la distribuzione delle risorse e dare indipendenza alla valutazione dei progetti: European Research Council o il sito grants.gov del Governo americano. Il livello già basso dell’amministrazione centrale (politica e non) cade, meglio crolla, ai minimi "africani" nelle regioni dove persone prive di un’idea di R&D gestiscono fondi di R&D in modo al meglio "disordinato" con conseguenti finanziamenti a "pioggia", totalmente avulsi da un "progetto nazionale".

  3. salvatore modica

    Timori fondati. Gli autori non hanno probabilmente visto l’articolo di Acemolgu apparso contemporaneamente al loro, perche’ la citazione sarebbe stata quanto mai appropriata. Lo sviluppo e’ fatto da riallocazione e innovazione. E al sud, lo dico da siciliano, la capacita’ di innovazione e’ scarsa sicche’ il trasferimento di 20 mila miliardi per ricerca sarebbe quasi certamente una riallocazione inefficiente. E sarebbe grave. La selezione di cui parlano Bonaccorsi e Calderini sarebbe vitale. Per quanto capisco io, al sud sarebbe molto piu’ proficuo investire nella scuola media inferiore. Giusto per avere un’idea della drammaticita’ della situazione, nel campione rappresentativo delle 403 scuole italiane censite da PISA 2003 quelle del sud est e isole sopra la mediana per competenza media dei suoi studenti sono zero. Non "poche": zero. Ma sono tutti "sarebbe". Quanto conta quello che dicono gli economisti? Poco. In democrazia contano solo i voti, dunque quello che dice chi porta voti. Finche’ non si trova un sistema migliore dobbiamo convivere con questa realta’.

  4. maria

    Si è parlato abbastanza di queste enormi quantità di denaro spese non per rendere queste "Aree" quantomeno simili alle altre del paese e non per coprire debiti pregressi ? Quante volte abbiamo sentito discutere di ferrovie (Palermo-Catania) o Autostrada (?) Salerno-Reggio Calabria, o Metropolitana di Palermo e Catania del Tram di Messina ? Interessa di più il PONTE sul quale farsi fotografare…

  5. giuseppe pucci

    L’articolo è ben strutturato e riassume in modo molto chiaro la situazione del sistema meridionale di allocazione delle risorse. Il problema cruciale è che non essendoci un filtro a livello nazionale, come da voi indicato, è che le risorse vengono distribuite in maniera iniqua e, conseguentemente, non solo ne beneficiano soggetti che non le impiegano in maniera puntuale, ma si crea una sperequazione di risorse che non contribuisce ad uno sviluppo della produttività dettata dalla tecnologia, l’informatizzazione, il capitale umano, che creano e producono innovazione.

  6. Giovanni Rapisarda

    Ritengo l’articolo di Andrea Bonaccorsi e Mario Calderini condivisibile ed appropriato, in particolare laddove rileva la necessità che la gestione dei fondi e la selezione dei progetti venga affidata a Soggetti Competenti in materia di politica industriale ed innovazione e disconnessi da inefficienti "interessi" locali. In Italia esistono? O sarebbe meglio affidarsi a Tecnici di nazioni UE (Germania, Francia) che hanno dimostrato di saper incentivare l’ Innovazione? Questi fondi potrebbero essere una chance seria per lo sviluppo del sistema produttivo del Paese.

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