Perché molte università ricorrono ai test di ingresso? Perché il voto dell’esame di Stato non viene percepito come un valido indicatore. Ma i test non sono uno strumento di selezione efficiente ed efficace. Ignorano totalmente il percorso scolastico dei candidati, non considerano la capacità di organizzare lo studio nelle materie specifiche e devono essere disegnati dalle singole università. Si potrebbe invece introdurre una prova unica nazionale che testi capacità logiche, conoscenze culturali e capacità di apprendimento di ciascun studente.
Settembre, tempo di esami. Per chi è già all’università, ovviamente; ma anche per chi ci vuole entrare. In un precedente articolo ci siamo concentrati sulle modalità di selezione degli studenti iscritti; qui, invece, ci concentriamo sui cosiddetti test all’ingresso (test selettivi).
Per prima cosa va distinto il test attitudinale, pratica diffusa in moltissime facoltà, dal test selettivo, modalità applicata a un numero inferiore di corsi di laurea (ad esempio, Medicina), che risultano dunque a numero chiuso. Il primo è un test che incoraggia (o scoraggia) lo studente a iscriversi al corso di laurea: l’eventuale esito negativo non preclude la possibilità di iscrizione, ma può comportare l’attribuzione di obblighi formativi aggiuntivi. Il secondo è un vero e proprio concorso, in cui è necessario ottenere risultati migliori di altri studenti.
Non interessa, in questo articolo, discutere della bontà o meno del numero chiuso, né tanto meno mettere in evidenza l’inutilità del test attitudinale. Quello che ci interessa è invece capire se lo strumento del test, quando voglia essere selettivo, sia adeguato alla selezione o se invece fornisca incentivi sbagliati.
COSA SUCCEDE IN ITALIA E NEL MONDO
Prima di discutere il punto, però, vediamo più nel dettaglio come funzionano i test in Italia, quali altri strumenti di selezione, o metodi di valutazioni, sono o sono stati presenti nel nostro paese, e cosa succede in un altro paese europeo come il Regno Unito.
I test di ingresso variano da facoltà a facoltà. Da quelli disponibili on-line è possibile capire che le competenze richieste non sono necessariamente specifiche alla materia che si andrà a studiare. (1) Per esempio, per Economia, Giurisprudenza e Scienze politiche i test riguardano generiche capacità matematiche, logiche e di comprensione dei testi. Per altre facoltà più tecniche (per esempio, Ingegneria, Chimica e Biologia), le domande possono vertere sulle eventuali conoscenze ottenute in queste materie durante le scuole superiori, oppure su un mix di tutte queste materie (Medicina). Il test vale per la sola università presso cui lo si sostiene e può essere organizzato dall’università stessa anche in più date, durante l’ultimo anno delle superiori. Alcuni atenei arricchiscono l’informazione così ottenuta con altri elementi. L’università Bocconi, per esempio, considera il curriculum scolastico in quattro insegnamenti comuni a tutte le tipologie di scuole superiori (italiano, lingua inglese, matematica e storia) e due insegnamenti a scelta a partire dal terzo anno. La Liuc di Castellanza richiede invece anche una lettera di auto-presentazione, oltre al curriculum scolastico degli ultimi tre anni delle superiori. Infine, altre università attuano la politica del primo arrivato, indipendentemente da altri requisiti o caratteristiche dello studente.
Fin qui quello che succede in Italia; ma come avviene la scelta dell’università in un paese estero? In Gran Bretagna, il sistema di allocazione degli studenti è fortemente centralizzato. Ogni università mantiene autonomia sulle proprie politiche di ammissione; ciononostante, gli studenti devono registrarsi presso l’University and Colleges Admissions Service (www.ucas.co.uk) e fornire tutte le informazioni necessarie. Queste riguardano le proprie opzioni, in termini di facoltà o di università (fino a un massimo di cinque, senza ordine di preferenza) e le performance scolastiche (da fornire una volta disponibili). Il termine ultimo per la registrazione è generalmente il 15 gennaio, anche se Cambridge e Oxford (più alcune facoltà, come Medicina) fissano una scadenza più anticipata (quest’anno, il 15 ottobre). L’Ucas invia le richieste alle università, che selezionano gli studenti e decidono se fare loro un’offerta oppure no. Le università possono anche scegliere di fare un’offerta diversa da quella indicata dallo studente. Gli esisti sono disponibili durante l’estate, quando lo studente saprà se è stato accettato, se gli è stata offerta un’opzione diversa o se è stato scartato. I criteri di ammissione sono sostanzialmente basati sul curriculum scolastico, anche se alcune università o facoltà utilizzano test, che possono essere nazionali o locali.
L’OTTIMA SELEZIONE
Per quale motivo le università italiane predispongono dei test di ammissione? Probabilmente perché il voto dell’esame di Stato non viene percepito come un valido indicatore. Fatta questa premessa, ci possiamo domandare se i test siano o meno uno strumento di selezione efficiente ed efficace. La risposta è no, per una serie di motivi. Innanzitutto, ignorano totalmente il percorso scolastico dei candidati; inoltre, non considerano la capacità di organizzare lo studio nelle materie specifiche; infine, devono essere disegnati dalle singole università. In altre parole, uno studente che faccia domanda in più di un ateneo, magari in differenti città, trascorre il mese di settembre partecipando a differenti prove di ammissione (a volte per un medesimo corso) con la speranza prima o poi di essere ammesso. La scelta di guardare al solo curriculum scolastico, invece, si scontra con l’estrema eterogeneità nei metodi di valutazione nelle scuole italiane, con differenze anche sensibili tra scuola e scuola o tra aree geografiche.
Per eliminare gli inconvenienti delle due opposte impostazioni si potrebbe pensare di introdurre una prova unica nazionale, che testi le capacità logiche, le conoscenze culturali e la capacità di apprendimento di ciascun studente.
Un test così pensato andrebbe somministrato agli studenti nell’ultimo anno di scuola superiore e la sua correzione dovrebbe essere effettuata da una commissione unica nazionale. Con una tale procedura, lo studente che intende iscriversi all’università dovrà indicare le proprie preferenze sul corso di studi che intende intraprendere. Le facoltà, all’atto dell’iscrizione, richiederanno la presentazione dei risultati conseguiti nella prova e decideranno se ammettere o meno lo studente.
Il meccanismo avrebbe numerosi vantaggi. Per gli studenti il vantaggio è di non doversi sottoporre a differenti prove di ammissione e di sapere tempestivamente (inizio settembre) a quale corso di studi sono stati ammessi. Le scuole medie superiori sarebbero incentivate a ben preparare i propri studenti per costruirsi una solida reputazione con cui attrarne di nuovi. Per le università, il vantaggio è quello di non dover predisporre prove di ammissione e di poter scegliere gli studenti su base uniforme. Il ministero stesso avrebbe un indicatore uniforme di efficienza del sistema scolastico superiore, che potrebbe essere utilizzato per premiare le scuole virtuose. Infine, i risultati del test nazionale dovrebbero essere utilizzati per l’assegnazione di borse di studio che consentano un’effettiva mobilità studentesca.
(1) Vedi http://testammissione.ilsole24ore.com/test-ammissione/simulazione-test-ammissione.aspx.
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Alessandro Spinelli
Mi permetto di dubitare della regolarità di un test gestito, ovvero svolto, nella stessa sede e sotto il controllo degli stessi professori delle scuole superiori la cui istituzione sarebbe “valutata” dagli esiti del test.
V. Asuni
Un articolo interessante e illuminante, circa i vantaggi non economici che ne conseguirebbero. Di fatto il metodo da voi esposto, viene già praticato per i corsi di medicina attivati presso le università pubbliche(per effettuar il test in una università privata, è necessario sostenerlo in altri giorni), ma quel che mi chiedo è: posto il fatto che per le università private tali test rappresentano una ingente fonte di reperimento di denaro, sarebbero, queste, disposte ad accettare un test unico nazionale a fronte di una oggettiva diminuzione di “incasso”?
Giorgio S.
Condivido in pieno. Fortunatamente Marystar si sta muovendo in questa direzione, nonostante le resistenze della solita mentalità di sinistra egalitarista.
Sand
A quale bisogno sociale ed economico rispondono i corsi di studio universitari a numero chiuso? Perché si dovrebbe frequentare un liceo se poi non c’è posto all’Università? Anche i licei dovrebbero essere a numero chiuso. Ma se l’Università è per pochi, perché non la si fa pagare solo a questi pochi? In questo contesto, chi supera il "quiz" è arrivato! Dopo, può anche prendersela comoda, la comunità gli garantirà l’università al modico costo medio di 1.500 euro all’anno. Cosa sono per una famiglia di laureati? Sì perché chi si laurea, in questo paese, generalmente è figlio di laureati. Per non parlare di quali sono le logiche, in questo contesto di caotica autonomia delle università italiane, di scelta della quantità del numero chiuso per ogni corso di laurea e soprattutto perché il numero chiuso non viene adottato per corsi di laurea che moltiplicano in maniera abnorme laureati che non servono al mercato del lavoro. Basterebbe mettere fuori chi non è in regola con gli esami. Ma si dovrebbe costruire un mondo anche per quest’ultimi. Dov’è la politica, dov’è la politica di sinistra? Impantanata, come quella di destra, in una gestione delle spese senza orizzonte.
Alessandro Longoni
Da ex studente in Italia, e attuale studente all’estero, mi sento di aggiungere il mio umile punto di vista. Per quanto in Italia il test di selezione attuale abbia la sua indubbia utilità (quanti studenti con voti di maturità superiori al 90/100 non passano i test? Sarebbe un ottimo dato), molti test non permettono di scremare al modo giusto. L’introduzione di un test come il GMAT, dove le abilità logiche (non matematiche) sia numeriche che verbali contribuiscono per più del 75%, potrebbe solo fare del bene alle nostre accademie. Il fatto che un test simile sia da sostenere in inglese, permetterebbe di aumentare il livello di preparazione degli studenti, che conoscendo tale lingua potrebbero avere accesso a un’infinità di fonti addizionali (papers, articoli vari…), permettendo una esposizione e un livello di conoscenza ben superiore. Non a caso il GMAT è la scelta standard non solo per molte università americane, ma in tutto il mondo.
Marcello Romagnoli
Sono totalmente d’accordo con l’articolo e ho cominciato a dirlo fin da subito, quando il sistema dei test è stato introdotto. E’ un onere economico e organizzativo per le Facoltà che di questi tempi di vacche magrissime sarebbe opportuno eliminare.
giuseppe rallo
"il voto dellesame di Stato non viene percepito come un valido indicatore". Spesso ci sono dei luoghi comuni che pigramente siamo portati a ripetere senza rifletterci. Chi afferma (non mi riferisco a chi ha scritto l’articolo) che il voto degli esami di stato non è un valido indicatore o è in malafede (i test costano e le preparazioni sono un business) o non conosce il sistema di valutazione scolastico. Per raggiungere il 110 e lode uno studente deve avere tutti nove e dieci al terzo, quarto e quinto anno. Poi agli esami di stato deve prendere il massimo in quattro verifiche: test, scritto italiano e materia d’indirizzo, orale. Solo così potrà avere la lode, al limite raggiunge il 100 grazie ai bonus. Se guardiamo alle statistiche, i diplomati con lode sono poco più di 3 mila, i soli candidati ad entrare in Medicina quest’anno erano 90 mila. Prima della Gelmini c’era un bonus fino al 25% che teneva conto dei risultati scolastici, non è più così. Tutti parlano di meritocrazia, ma pensate ad un alunno/a che per tre anni si impegna a studiare, ottiene il massimo e poi gli dicono bravo hai fatto il tuo dovere, adesso sei alla pari degli altri, vi risponderà: "me lo potevi dire prima".
Massimo Parisi
Molti anni fa si lottò per eliminare l’inammissibilità ad alcuni corsi di laurea in dipendenza della provenienza dagli istituiti secondari (un geometra non poteva iscriversi a medicina). Adesso si fanno le gare. Io penso che l’istruzione debba essere consentita a tutti e per tutti gratuita (quasi); fortemente preparatoria. Con docenti e strumenti d’insegnamento flessibili al mutare delle potenziali richieste del futuro mercato (brutto termine) del lavoro che consentano un reale apprendimento teorico e pratico (laboratori, stages, etc.). Penso pure che occorrerebbe dar valore e sbocco lavorativo in dipendenza di un ottima scuola professionale di secondo grado. Non possiamo permetterci tutto questo? Certo che, secondo l’ormai vecchio Maslow, molti troveremmo allocazione parecchio prima di arrivare ad un posto di ricercatore o di Ceo.
Alberto
“Si potrebbe invece introdurre una prova unica nazionale che testi capacità logiche, conoscenze culturali e capacità di apprendimento di ciascun studente”…
Ma questa prova esiste già, è appunto l’Esame di Stato!
Dato che non viene percepita come valida, ogni Ateneo si organizza.
F.CIERI
I test di ingresso alle Facoltà di Medicina sono già uguali in tutta la penisola Dalla loro elaborazione potremmo avere molte risposte in relazione all’area gegrafica, al tipo di scuola superiore frequentata…
Dino Battistuzzo
Visto che si parla tanto che mancano infermieri, fisioterapisti e anche medici, come mai si mettono dei test d’ingresso nelle facoltà in cui è più facile trovare lavoro, come quelle citate pocanzi? In linea teorica è una cosa semplicemente assurda. Io vorrei fare un’indagine sulle persone che hanno superato il test di ingresso a Medicina e vedere quante di loro hanno un famigliare o parente medico. Certo, lavorare in un settore in cui manca la concorrenza è garanzia di guadagno sicuro. Io invece non metterei nessun numero chiuso,poichè in questo modo i migliori, anche se figli di operai, hanno la possibilità di emergere. Ma in Italia, tutti si dichiarano capitalisti, mentre in realtà siamo fermi alle corporazioni medioevali.
Ajna
In un paese dove i dinosauri delle cattedre hanno il culto per il loro potere e dove l’iter scolastico di "privilegiati" è spesso seguito fin dagli inizi, dubito che sarà mai accettato di centralizzare gli esami di ammissione. Inoltre emergerebbero scomode disparità tra certe realtà (e non parlo solo del Sud, penso piuttosto al tracollo palese dei diplomifici, per lo più confessionali, che regalano titoli a chi paga bene) che sarebbe difficile tacere e/o giustificare; inoltre, come sostiene un commentatore prima, di me: come controllare che un istituto poco virtuoso non bari? Pubblici ufficiali agli esami e costi extra? E anche così, che garanzie?
giulio
"Un test così pensato andrebbe somministrato agli studenti nell’ultimo anno di scuola superiore e la sua correzione dovrebbe essere effettuata da una commissione unica nazionale. " Con i professori che, come avviene adesso in certe parti d’Italia (sì, le solite, proprio quelle lì…) in occasione dell’esame di maturità, suggeriscono le risposte ai propri allievi?
massimo lanfranco
Mi piace l’idea del test GMAT anche perché all’ultimo concorso per diventare funzionari dell’Unione Europea la struttura dell prima prova era proprio la stessa, con dei tempi veramente stringenti.
PDC
Il fatto che il voto di maturità abbia un valore relativo mi pare abbastanza grave, anzi direi che in generale la scarsa credibilità dei voti scolastici sia uno dei problemi cruciali della scuola (non solo di quella italiana comunque). Detto ciò, se si ritiene necessario sottoporre i candidati alliscrizione ad una facoltà universitaria ad ulteriori test, mi sembra logico che questi siano effettuati dagli interessati alla selezione, ossia dalle università stesse.
Luca
Sono convinto che Albert Einstein non supererebbe nessuno dei test di qualsiasi facoltà di fisica italiana. E allora, io farei così: a) la prima selezione andrebbe fatta già all’atto dell’iscrizione alla scuola media superiore. Si tratta di scoprire e valorizzare i talenti e orientarli verso poli d’eccellenza, in cui possano coltivarli, tramite borse di studio, ove necessario. E’ quanto fanno a Singapore; b) all’atto dell’accesso agli studi universitari, test d’orientamento che siano in grado di valutare l’effettiva capacità dello studente di sostenere un determinato corso di studi, quantificandola in debiti formativi. Ogni studente avrebbe la percezione chiara delle difficoltà cui sta per andare incontro; d’altra parte nessuno studente sarà mai disposto a spendere anche solo 1/2 anno in più per conseguire un diploma di laurea: piuttosto si auto-orienterà su un altro corso di laurea. c) nessun numero chiuso, ma lasciare che sia la selezione "naturale" (basata sul merito, non sulla disorganizzazione) a scremare gli studenti.
enrico
Paragonare il sistema italiano con quello inglese è come paragonare mele con pere. Noi abbiamo un esame di maturità dal quale si esce con un singolo voto che rappresenta tutte le materie. Gli inglesi decidono su quale materie prepararsi, studiano solo quelle, e ottengono un voto per ogni materia. Per quel che riguarda l’università poi non ci sono mondi più distanti. Riguardo all’ammissione, è vero che gli studenti devono passare attraverso un sistema centralizzato (l’UCAS) , ma la maggior parte delle università prevede un colloquio orale con i candidati. Inoltre le più prestigiose (tipo Cambridge) usano propri test e prove scritte. Per quel che riguarda il cosidetto (italianissimo) diritto allo studio, c’è una sola università inglese che non prevede il numero chiuso,la Open University. In tutte le altre bisogna essere ammessi (e le tasse sono piuttosto alte). Cari autori, mi sfugge proprio il senso del vostro paragone.
bellavita
A me sembra molto ragionevole il sistema francese che è basato sulle medie trimestrali dello studente negli ultimi 3 anni. Se ne fa una graduatoria unica nazionale, i migliori possono andare nelle facoltà e nelle università che vogliono, gli altri in quelle che restano. In Francia però , a parte le grandes écoles, è accettata una graduatoria delle università in 3 fascie. Figuriamoci che fuoco e fiamme farebbero Scajola e la sua banda se Imperia fosse messa in terza fascia…
Alessio Zini
Sono d’accordo con le premesse ma non sulla proposta. Il test a carattere nazionale esiste già e si chiama Maturità. La domanda quindi è: perchè è un esame scaduto? Semplice: perchè esiste il titolo legale. Ovvero i ragazzi, supportati dalle famiglie, pensano solo a conseguire il diploma, per poi in qualche modo andare all’università o nelle facoltà senza numero chiuso o sperando in una botta di fortuna ai test d’ingresso, che più che test sono dei terni al Lotto, per avere il titolo. Il discorso è complesso. Ad ogni modo trovo assurdo che per un test in medicina entrino 300 persone, di cui 100 a Gennaio spariscono… E quei 100 il cui sogno era Medicina ma non sono entrati che fanno? Mica vengono ripescati! In sintesi, per avere una buona università, occorre ripensare totalmente il liceo e la prova di maturità, eliminare il titolo legale di studio per diploma e laurea (la concorrenza deve essere sul percorso scelto e le competenze che si è deciso di acquisire, non su un titolo di studio sulla carta), inserire i test motivazionali e i colloqui con gli studenti. Per il resto Darwin docet.
Ilaria
Tutti siamo concordi sul fatto che il voto di maturità non sia un valido indicatore del merito dello studente, perchè sappiamo che ci sono zone d’Italia o istituti scolastici più generosi. Mi chiedo: perchè non standardizzare? Ogni studente che si iscrive avrà un voto ‘grezzo’ e uno ‘standard’ rispetto a quello dei suoi compagni di scuola (potrebbero bastare media e varianza di tutti i voti nel suo istituto). Aggiungo che al posto del risultato dell’esame di stato ci metterei, come in Francia, una semplice media voti negli ultimi 3 anni di studio.
La redazione
Ringraziamo tutti per i numerosi commenti, che ci hanno indotto a rispondere con questa replica.
Innanzitutto, molti interventi hanno riguardato l’idea della prova unica nazionale, da effettuarsi nell’ultimo anno di scuola superiore. Nella nostra proposta si tratta di una prova tipo GMAT, come peraltro sottolineato in alcuni commenti. Lo studente si siede davanti ad un pc ed effettua il test; i commissari controllano soltanto il regolare svolgimento della prova. Il costo sarebbe minimo, nell’ipotesi che già in tutte le scuole superiori ci sia un’aula dotata di elaboratori e connessione internet.
Il secondo aspetto riguarda la validità del voto di maturità come indicatore della preparazione dello studente. Purtroppo, Utilizzare gli ultimi tre anni di vita scolastica dello studente non eliminerebbe il problema, ossia l’incentivo per i professori a gonfiare i voti dei propri studenti. L’unico modo per valutare allo stesso tempo sia gli alunni sia i docenti è dunque quello di avere una prova corretta non dai medesimi professori. Idealmente, se in una scuola si ottenessero risultati scadenti, la scuola andrebbe chiusa (o i docenti sostituiti) perché questa sta in effetti danneggiando i propri studenti. Vale peraltro la pena di sottolineare che, nel caso una università privata lo ritenga opportuno, potrebbe comunque integrare i risultati della prova unica con ulteriori elementi per selezionare i propri studenti.
Infine, sulla teoria darwiniana (la "selezione naturale") suggerita in alcuni commenti, condividiamo il fatto che l’Università debba effettuare una selezione adeguata (per esempio, eliminando il ricorso a numerosi appelli durante l’anno accademico). Ma accogliere chiunque all’università senza un minimo di selezione comporterebbe anche un enorme spreco di risorse a favore degli studenti più svogliati, iscritti solo in attesa di un’occupazione, e a sfavore invece dei volenterosi che si troverebbero con meno posti in aula e docenti più occupati.
giuseppe
Purtroppo molti scrivono senza conoscere la realtà scolastica: 1) Il voto finale del diploma dipende in larga parte dal curriculum scolastico degli ultimi tre anni, e non dal solo esame di stato per come accadeva diversi anni fa. 2) In Italia abbiamo avuto nell’ultimo anno scolastico poco più di 3 mila diplomati con la lode a fronte di più di 100 mila diplomati; questi hanno il diritto poter scegliere la facoltà migliore, già le scuole private ( vedi Bocconi ) ne tengono conto; 3) Dare per scontato che i docenti delle scuole del Centro Sud danno voti più alti è un’affermazione piena di pregiudizi, non avvalorata da alcuna statistica. Anzi trovo assolutamente coerente che al Centro Sud, cioè dove si ha la più alta percentuale di bocciati ( ecco che diventano cattivi i professori sic! ) ci sia una percentuale di giovani che per emergere si impegna di più nello studio, visto che le possibilità di lavorare sono inferiori. Avviene così in tutto il mondo a partire dagli Stati Uniti.