Milena Petrocelli contesta tre aspetti dell’utilizzo delle prove Invalsi: il fatto che una di queste sia parte dell’esame di terza media, un momento già di per sé “critico” per i ragazzi che vi si sottopongono e che quindi, a suo dire, dovrebbe essere semmai reso meno e non più difficile; il fatto che, in quella sede, la prova Invalsi contribuisca a determinare (per non più di un sesto) il risultato finale dello studente (la critica qui però in parte si amplia, perché tocca la questione se le prove Invalsi, in generale e non solo quelle effettuate alla conclusione del primo ciclo d’istruzione, possano essere sufficienti a “valutare le scuole”, che è questione diversa dal contribuire a valutare gli studenti); il fatto che valutare studenti stranieri sulla base della abilità a destreggiarsi con l’italiano sia “ingiusto”. A supporto delle tre (o forse quattro) osservazioni critiche, Petrocelli propone una serie di considerazioni spesso condivisibili e comunque di sano realismo: l’oggettivo guazzabuglio rappresentato dall’esame di terza media; il rischio di comportamenti scorretti (cheating) nelle prove Invalsi – tanto più grande quanto più studenti e docenti si vedano “valutati” sull’esclusiva base delle stesse; la presenza nelle scuole di una serie di meritorie attività, oltre che di oggettive difficoltà, che andrebbe rilevata e tenuta in conto ove si volessero valutare le scuole e/o gli insegnanti; le oggettive difficoltà che uno studente, magari da poco arrivato in Italia e che a casa non usi correntemente la lingua italiana, ha a destreggiarsi con questa. Non pare però che queste considerazioni abbiano granché a che fare con le tre (quattro) critiche alle prove Invalsi e ai loro usi di cui prima si diceva.

BISOGNA RENDERE GLI ESAMI PIÙ FACILI O PIÙ DIFFICILI?

Si tratta di una domanda senza risposta univoca: lo scopo primario di un esame in un momento di passaggio come quello dal I al II ciclo senz’altro non è quello di impedire l’accesso a quest’ultimo del maggior numero di soggetti. La mistica dell’esame che deve esser facile e non selettivo e tanto più facile in quanto si tratta di ragazzi che non hanno ancora mai sostenuto un esame, è però poco convincente. Con tutta la gradualità del caso, è giusto o non è giusto che i ragazzi di 14 anni capiscano che non sempre tutto nella vita è facile e che invocare l’aiutino (il 6 politico, si sarebbe detto una volta) non è sempre possibile e soprattutto non è la soluzione di tutti i mali? Nello specifico, le prove Invalsi nell’esame di terza media sono frutto di una selezione (il cosiddettopretesting) che, a differenza delle prove tradizionali, che pure sono parte dell’esame e vengono predisposte dalle singole commissioni di esame (composte dagli insegnanti del ragazzo con l’aggiunta di un presidente esterno), consente di evitare domande “troppo facili” o “troppo difficili”. Certamente alcune singole domande sono più difficili delle altre, ma è la naturale conseguenza del fatto che le prove non sono pensate per dire se il candidato abbia o meno superato una data asticella – con un livello arbitrariamente fissato più in alto o più in basso – ma cercano di descrivere più nel continuo (e con riferimento a diversi aspetti e sottoambiti) le competenze dei candidati. I voti derivati dalle prove Invalsi vanno infatti da 4 a 10 ed è perciò naturale che per definire chi possa arrivare a 10 vi debbano essere anche alcuni quesiti più complessi. (1) Ovviamente niente è perfetto, e ben vengano le discussioni sui contenuti concreti delle singole domande al fine di perfezionarle. (2)
Queste caratteristiche delle prove Invalsi – che si affiancano alla natura omogenea dei quesiti, che ne rende irisultati comparabili in tutta Italia, all’orientamento alle competenze e non alle nozioni (magari su un argomento concordato in anticipo tra il docente e il candidato, indotto così a mandar giù a memoria un qualche testo) – a noi paiono un vantaggio più che uno svantaggio.

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LE PROVE INVALSI E LA VALUTAZIONE DEI SINGOLI STUDENTI

L’unica prova Invalsi che viene conteggiata nella valutazione dei singoli studenti è quella che viene effettuata nell’ambito dell’esame di licenza media. Ciò avviene solo in quota parte. Se la frazione a suo tempo scelta sia quella giusta, non spetta a noi dirlo e senz’altro si può discutere della cosa. Senz’altro però sarebbe sbagliato se l’intero esame, o più in generale, anche in altri gradi scolastici, l’intero giudizio e scrutinio dei singoli ragazzi fosse basato sulle prove Invalsi. Queste riguardano due ambiti, esaminati per la loro funzione trasversale oltre che nei loro contenuti disciplinari, ma comunque solo due ambiti. Come tutte le prove, possono essere poi influenzate da avvenimenti particolari del singolo momento (un ragazzo che quel giorno stia meno bene, sia emozionato e così via). È quindi senz’altro da evitare di caricare di eccessivi significati le prove Invalsi per i singoli ragazzi: si rischierebbe tra l’altro di accentuare fenomeni deleteri, come il cheating o l’addestramento alle prove. Ma se le prove Invalsi hanno i vantaggi ricordati sopra, perché sminuirne il significato dicendo che non debbono, in nessun grado scolastico e in nessun caso, essere utilizzate anche per valutare i singoli studenti, sia pur solo in parte e con tutte le cautele del caso? La soluzione oggi esistente nell’esame di licenza media, che combina elementi diversi, pare ragionevole. Si può discutere e meglio precisare i contorni dell’esame di terza media nel suo assieme, ma perché azzerare al suo interno quel ruolo e quella funzione della prova Invalsi? Perché lasciare solo alle prove tradizionali – differenziate tra istituto e istituto e spesso ancora molto nozionistiche – la funzione di chiarire quali siano le competenze a cui le scuole dovrebbero tendere? (3)

LE PROVE INVALSI PER “VALUTARE LE SCUOLE”?

L’Invalsi non ha mai fatto e non intende fare graduatorie pubbliche di scuole sulla base delle prove. La funzione di queste è quella di fornire alla singola scuola, alle diverse componenti che operano al suo interno, uno specchio che possa aiutarle a conoscersi meglio per potersi poi migliorare. Se poi la singola scuola vorrà “farsi pubblicità” sulla base dei risultati Invalsi è libera di farlo (anche adoperando gli strumenti tecnici definiti dal ministero, in primis il cosiddetto “scuola in chiaro”): l’Invalsi intende però prevenire forme di “pubblicità ingannevole”, in cui ad esempio una scuola in cui le prove non vengano svolte correttamente metta poi in bella mostra risultati ottenuti con tecniche quasi truffaldine o in cui una scuola esponga i propri buoni risultati in una classe o in un grado, ma omettendo il fatto che i propri studenti già partivano da una condizione di vantaggio.
I maggiori sforzi dell’Invalsi nei prossimi mesi saranno però indirizzati soprattutto a sostenere le scuole nell’uso dei dati a fini di autovalutazione. Questa, quasi per definizione, non può che essere un’attività libera e che tenga in conto anche altri elementi (la presenza di situazioni di disagio nella compagine dei propri studenti, le difficoltà che possono attanagliare i docenti in servizio in una scuola, eccetera). Indicatori aggiuntivi e strumenti diversi da quelli derivanti dalle prove Invalsi possono e debbono essere costruiti, ma le risultanze di quelle prove – anche e soprattutto nel loro dettaglio e considerando i diversi aspetti e processi cognitivi esaminati dalle prove – possono essere un utile punto di partenza da cui le diverse componenti della singola scuola possono partire per migliorare la propria attività.
A livello di sistema, le risultanze delle prove Invalsi possono però anche essere utilizzate per identificare le scuole ove concentrare le poche risorse esistenti per porre in essere azioni di supporto esterno. È bene sottolineare che un’azione di questo tipo, anche a regime, non potrà mai esser definita, nei suoi contenuti concreti, solo sulla base delle prove Invalsi, dovendosi tener conto anche dei concreti processi posti in essere nelle diverse scuole, del contesto e delle difficoltà in cui operano. Una cosa è infatti identificare le situazioni di maggior bisogno – ove gli aiuti vanno concentrati, perché troppi ragazzi raggiungono risultati insoddisfacenti e che rischiano di pregiudicarne la vita futura – e un’altra è identificare i meriti o i demeriti della scuola e della sua dirigenza e intervenire per porre in essere le dovute correzioni. A tali fini, l’Invalsi porterà avanti il lavoro analitico sulle misure di valore aggiunto (in cui si considera cioè l’evoluzione nel tempo dei risultati degli alunni, tenendo in debito conto del loro livello di partenza e del contesto in cui opera la scuola) e sui processi concreti di funzionamento delle scuole.

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UNA SCALA DIVERSA PER GLI STUDENTI STRANIERI?

Senz’altro gli studenti stranieri hanno maggiori difficoltà nell’uso della lingua italiana. Ma chiudere gli occhi di fronte a questa realtà, esentandoli da una certa prova che cerchi di precisare la natura e l’entità delle difficoltà o dandogli un consolatorio 6 politico, non servirebbe a molto. Rischierebbe anzi di indurre a ritenere che per questi studenti i target debbano essere “diversi”. A noi sembra che la necessaria gradualità nel perseguimento di un certo obiettivo non debba essere confusa con la ghettizzazione insita nella fissazione di una sorta di target di serie B.

(1) Per essere respinti nell’esame di terza media non basta aver sbagliato solo la prova Invalsi, anche perché il voto minimo di ammissione all’esame, che conta anch’esso per un sesto in sede di esame, è pari a sei. La descrizione dei profili di competenza in funzione dei voti, da 4 a 10, della prova nazionale 2012 si trova all’indirizzo http://www.invalsi.it/esamidistato2012/documenti/Prime_evidenze_PN2012.pdf. Nel documento è descritto che cosa sa fare un allievo che abbia conseguito un certo voto e che cosa non sa fare. Inoltre, la suddivisione delle domande in blocchi (A, B, C) in funzione del livello crescente di competenza misurato e di difficoltà, permette di costruire un quadro ricco, e comparabile anche al di fuori della singola classe, dei livelli di preparazione raggiunti in alcuni ambiti fondamentali per la crescita culturale dell’individuo.
(2) L’Invalsi sta cercando di potenziare la propria capacità di costruzione di quesiti rilevanti e ben fatti e sollecita la collaborazione in primo luogo dei docenti. Anche quest’anno, perciò, l’Istituto organizza una “scuola per autori” con oltre 200 docenti per favorire una più ampia partecipazione di chi opera concretamente nel mondo della scuola al processo di creazione delle prove. L’obiettivo è anche quello di pervenire all’aggiornamento del quadro di riferimento delle prove, in vista della costruzione di una banca di domande (item bank) dalla quale di volta in volta poter attingere per la costruzione delle prossime prove del Servizio nazionale di valutazione.
(3) Le enunciazioni degli orientamenti (cfr http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/701c1b68-2184-431a-8e1c-e281acec4ab9/indicazioni_nazionali_bozza_pubblica.pdf) rischiano di essere troppo generali. Ciò impone all’Invalsi uno sforzo di raccordarsi, non solo con le indicazioni ministeriali, ma con il mondo della scuola nel suo assieme, di cui le prove cercano di essere l’espressione. Proprio per questo, la Prova nazionale è costruita a partire da un quadro di riferimento (http://www.invalsi.it/esamidistato2012/) coerente con le predette indicazioni e che trova piena conferma anche nelle recenti proposte di modifica.

 

» lettera da una professoressa sull’Invalsi , Milena Petrocelli  05.07.201

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