Lavoce.info

UNIVERSITÀ, LA CHIAVE È IL DIPARTIMENTO

Con il potere di chiamata dei docenti spostato dalle facoltà ai dipartimenti, la riforma dell’università può davvero portare a un miglioramento della produttività scientifica e didattica degli atenei. Ecco due suggerimenti per trarre il meglio dalla riforma: creare dipartimenti effettivamente ampi e omogenei. E conservare la complementarietà degli apporti didattici, privilegiando la creazione di strutture di coordinamento interdipartimentali. L’auspicio è che anche il loro nome – facoltà o scuole – sia lo stesso.

 

Le università stanno modificando la loro struttura organizzativa e decisionale in ossequio alla legge Gelmini, legge 240/2010: accorpamento dei dipartimenti su base disciplinare e affidamento agli stessi dipartimenti del potere di chiamata dei docenti nonché delle responsabilità didattiche, salvo che non si preferisca costruire strutture di coordinamento interdipartimentali, comunque denominate, che non potranno essere più di dodici nell’ateneo.

VALUTAZIONE E PREMI

È una riforma che promette un aumento di produttività scientifica e didattica. In particolare è positivo che il potere di chiamata passi ai dipartimenti, soprattutto se si svilupperà il sistema di valutazione di ateneo e nazionale, con connessa erogazione di premi e penalità. Tutto è discutibile, ma la valutazione dei dipartimenti può essere molto più attendibile di quello delle facoltà, dove è difficile accertare la qualità del prodotto, ossia del laureato, e si rischia, premiando le facoltà con minori tassi di abbandono e minori ritardi di laurea, di stimolare la permissività e punire il rigore. Nel nuovo contesto c’è un interesse collettivo a ricevere più risorse grazie a una buona valutazione: quest’anno, la quota del Ffo erogata su base premiale, introdotta da Tommaso Padoa-Schioppa nella Finanziaria 2008 e cresciuta fino al 10 per cento dell’anno scorso, si annuncia del 13,5 per cento. Dovrebbero perciò diminuire i voti di scambio che in certe facoltà hanno introdotto troppi parenti e affini e troppi allievi locali.
Al contempo, attenzione a non passare da un estremo all’altro. Il pericolo di autoreferenzialità dei dipartimenti è elevato e potrebbe portare a percorsi didattici su misura, dove si sacrifica la complementarietà dei saperi e si ingessa la ripartizione degli apporti didattici rispetto all’evoluzione delle esigenze formative della società. Due suggerimenti, allora, per cercare di evitare il peggio e trarre il meglio dalla riforma.

COME DEVE ESSERE IL DIPARTIMENTO

Primo: attenzione alle manovre gattopardesche, alcune già note, che si limitano a chiamare dipartimento la vecchia facoltà. Che i dipartimenti, dunque, siano davvero ampi e omogenei, tranne rari casi di dipartimenti tematici dove la complementarietà prevale sull’affinità. Il fenomeno dei gruppi di studiosi dello stesso settore ferocemente nemici o che comunque non stanno bene insieme è limitato, ma non eccezionale, qualche volta ha pure stimolato una proficua competizione, in ogni caso non si trova solo in Italia. Ma solo qui, per quanto a mia conoscenza, si fanno le strutture a misura di chi c’è oggi. Superfluo ricordare che le persone passano mentre le strutture rimangono e che le duplicazioni costano alla collettività. Non è invece superfluo ricordare che gli atteggiamenti cambiano se si crea il contesto per un loro positivo cambiamento: da un lato, nel dipartimento ampio ognuno si interfaccia con chi vuole e si colloca dove vuole, sicché scompare la conflittuale convivenza forzata dei piccoli gruppi in spazi ristretti; dall’altro lato, la valutazione sistematica di ateneo e nazionale riduce la necessità di affermarsi attraverso continui scontri interni. Non consentire quindi che si formino piccoli dipartimenti affini o che gruppi di studiosi afferiscano a dipartimenti diversi da quello di logica pertinenza, oltretutto inquinando l’omogeneità dei dipartimenti che li accolgono.

CREARE STRUTTURE INTERDIPARTIMENTALI

Secondo suggerimento: privilegiare la creazione di strutture interdipartimentali per la didattica, magari conferendo voto ponderato ai diversi dipartimenti quando il loro ruolo nel percorso formativo sia differenziato. Il sistema gestionale degli atenei sul fronte della formazione dovrebbe quindi configurare un sistema a matrice, con i dipartimenti che formano e conferiscono gli input alle “strutture” che li assemblano per costruire e vendere l’output: schema pienamente applicabile senza eccessivi sforzi, soprattutto se si tiene alto il potere di autorizzazione, controllo e intervento degli organi centrali di ateneo.
Last and least
, ma non irrilevante, sarebbe bello se queste “strutture” e i loro responsabili si  chiamassero allo stesso modo in tutta Italia. Purtroppo pare che la Crui non sia riuscita a svolgere alcun coordinamento in materia, sicché avremo scuole e facoltà, rette da presidi, presidenti, direttori e coordinatori. Non sarà la fine del mondo, ma non è un buon inizio di fronte all’opinione pubblica.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tirocini in cerca di qualità*
Leggi anche:  Sulle residenze universitarie il governo non cambia strategia

Precedente

SHOCK, PAURA E RECESSIONE*

Successivo

QUANDO LA COSTITUZIONE FA A PUGNI COL FEDERALISMO

  1. Martino

    In teoria il Suo articolo e’ convincente. In pratica, non sottovaluta forse un po’ troppo la rigidita’ della riforma? Io ho studiato alla Statale di Milano (Scienze Politiche). Li’ le ecellenze erano date, in parte, da piccoli dipartimenti multidisciplinari, come il dipartimento di Studi del Lavoro, e da corsi di laurea ancorati a piu’ dipartimenti. Per esempio Amministrazioni e Politiche Pubbliche, che spaziava tra economia, diritto e scienze sociali, ma con un indirizzo didattico chiarissimo ed omogeneo. Tutto questo non rischia di essere travolto o almeno ridimensionato da una riforma erga omnes che non tiene in conto le specificita’ delle diverse aree disciplinari?

  2. Giovanni Semi

    Gentile Muraro, a me sembra che ragionare di assetti istituzionali “a babbo morto” non serva a granché. I nuovi Dipartimenti funzioneranno se il Ministero deciderà di erogare risorse, invece di strozzare gli atenei come ha fatto negli ultimi tre, regressivi, anni. Le lobbies che governavano le Facoltà e i meccanismi di reclutamento sono in piedi ora, come lo erano nel passato. Anzi, la nuova disciplina dei concorsi garantisce ai soli professori ordinari di fare gatekeeping come e meglio di prima. Con assenza di finanziamenti e con i soliti “quattro gatti” a gestire una torta di cui sono rimaste solo le briciole non ci saranno Anvur o altisonanti meccanismi premiali a garantire un bel nulla. La concorrenza tra Dipartimenti? Se si tratta della stessa concorrenza che vige ora per i finanziamenti PRIN….stiamo freschi. Un caro saluto

  3. Tiziano Tempesta

    Ho più di una perplessità sull’abolizione delle Facoltà. Probabilmente in Italia pensiamo che cambiamenti di tale entità si possano realizzare dalla sera alla mattina senza nessun problema organizzativo. In realtà si tratta di un cambiamento che potrà avere esiti pesanti sulla capacità dei nostri atenei di erogare servizi agli studenti. Ho anche un secondo tipo di peplessità inerente il trasferimento di competenze relative alla didattica a strutture che si occupano di ricerca. L’idea di fondo che sembra farsi strada è che buona ricerca equivale a buona didattica il che non è assolutamente vero e realistico. La didattica deve necessariamente formare dei laureati in grado di operare nel mondo di oggi. La ricerca deve affrontare problemi di lungo periodo e può essere del tutto fine a se stessa (almeno nel breve periodo). Che senso ha gestire il budget della docenza (il tipo di cattedre) facendo riferimento alla produttività scientifica dei docenti e non alla domanda di professionalità che viene dal mondo del lavoro?

  4. comero romano

    Leggendo il suo articolo mi sono chiesto: sono disponibili i bilanci delle università? E qualora lo fossero vi sono indicatori (semplici) di lettura delle diverse performance? Grazie RC

  5. Ezio

    La buona ricerca non ha necessità dei Dipartimenti. Chi l’ha voluta fare, l’ha fatta anche dentro le vituperate Facoltà. Ciò mi porta a prevedere che l’introduzione dei Dipartimenti non produrrà, di per sè, migliore ricerca. E’ invece certo che la didattica di corsi di laurea complessi, come Medicina, in cui convivono discipline molto diverse (dalla Fisica alla Dermatologia) sarà messa in seria difficoltà dalle strutture dipartimentali. Per il semplice motivo che nessuno si sentirà responsabile della coerenza di questi corsi di Laurea. Con la conseguenza che non saranno governati e tenderanno ad andare alla deriva.

  6. Mauro Vecchietti

    Si, il Dipartimento ci mette sulla buona strada. Non bisogna dimenticare che la legge stessa lascia ampio margine sulla ristrutturazione della governance accademica, ergo risulta facile immergersi in delicate manovre gattopardesche. Inoltre quello che realmente riuscirà a scuotere gli atenei e i dipartimenti saranno le valutazioni scientifiche e la loro pubblicizzazione! da cui dipenderanno i fondi (spero). Come palesa un altro commento precedente la qualità della didattica non dipenderà molto dalla strutturazione dipartimentale, anche se nessun corso di laurea (secondo me) rischia di rimanere sguarnito da responsabilità di governo. Come già detto l’omogeneità è molto importante e il Ministro dovrebbe battere molto su tale questione se non vuole vedere sopravvivere minuscoli dipartimenti che riescono a tenersi a galla recuperando docenti ovunque senza un minimo di logica e coerenza scientifica..parola di consigliere nazionale degli studenti nonché membro della commissione che sta riscrivendo lo statuto alla Carlo Bo di Urbino. Saluti

  7. andrej drosghig

    Sarebbe interessante vedere un esempio pratico, ovvero un’Università che Lei conosce, esplicandone la situazione attuale e spiegando come Lei la riorganizzerebbe secondo quanto esposto in questo Suo contributo.

  8. Gustavo GESUALDO

    L’Università come laureificio baronale e di casta, famigliare e parentale di dottori inutili ovvero come centro di ricerca a disposizione delle imprese del territorio in cui insiste? A quando una Università dell’Olio e dell’Olivo? A quando una Università della Pasta e del Pane? A quando una Università delle Mozzarelle e dei Formaggi? Pare sia arrivata l’ora di uscire dalla convegnistica ed entrare nel vivo della produzione agro-alimentare supportata e garantita dalla ricerca universitaria. Altrimenti, questi laureifici baronali possiamo anche chiuderli e risparmiare un sacco di denari dei contribuenti.  Gustavo Gesualdo alias Il Cittadino X

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén