Con il discorso di Juncker al Parlamento europeo, cambia radicalmente la politica sull’asilo dell’Unione. Il mutamento di rotta è guidato dalla Germania. Ma se l’Europa finalmente si muove, la partita è tutt’altro che chiusa, con almeno quattro nodi fondamentali che restano ancora da sciogliere.
Emozioni e decisioni politiche
Le proposte presentate dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, annunciano una svolta nelle politiche europee dell’asilo. Permangono ambiguità, come il rafforzamento della sorveglianza ai confini mediante Frontex e una sospensione delle convenzioni di Dublino definita temporanea, ma il cambiamento di approccio è evidente. Ancora a maggio, governi e istituzioni europee non erano riusciti ad accordarsi sulla redistribuzione di 30mila richiedenti asilo e affermavano con enfasi che il mercato del lavoro continentale aveva bisogno soltanto di immigrati qualificati. La Germania ha guidato il cambiamento di rotta, imprimendo un segno nuovo alla sua leadership europea. Le immagini dell’accoglienza dei profughi tra gli applausi, accompagnati dall’Inno alla gioia, danno il senso di una politica che ha saputo finalmente raccogliere la sfida dei diritti umani, sintonizzandosi con la parte migliore della società civile. E questo accade in un paese in cui da gennaio a luglio si sono verificati 330 attacchi a centri di accoglienza per rifugiati. La spinta impressa alle varie fortezze erette dal mondo sviluppato è stata tale che persino l’Australia ha annunciato di voler accogliere un contingente di profughi siriani. Alcune anticipazioni di un nuovo orientamento della Germania erano già trapelate, con l’apertura ai profughi siriani. Ma l’accelerazione del cambiamento rimanda al rapporto tra mass media, emozioni e decisioni politiche. Le immagini del bimbo siriano morto in mare e delle famiglie di profughi in cammino nei Balcani hanno provocato un soprassalto di umanità, e forse di realismo prima in Germania e in Austria, poi nelle politiche europee. L’impressione è che i leader politici del Vecchio Continente abbiano colto il momento favorevole per prendere decisioni ormai mature, forse inevitabili: un raro istante in cui nelle opinioni pubbliche la pietà per le vittime e la solidarietà umana hanno preso il sopravvento sulle ansie xenofobe e sulle chiusure egoistiche. Nella stessa prospettiva può essere collocata l’improvvisa scoperta del deficit demografico europeo e del fabbisogno di forza lavoro. Anche in questo caso, una contingenza emotiva favorevole ha consentito di giustificare una scelta razionale. Il dato singolare è semmai il ricorso ai profughi siriani, tra cui figurano anziani, bambini, casalinghe, adulti istruiti ma non facilmente riconvertibili, per far passare l’idea dell’apertura del mercato del lavoro verso nuovi immigrati. Il fatto è che i profughi, almeno in questo momento, sono più accetti all’opinione pubblica dei normali lavoratori.
Questioni ancora aperte
Certo, i nodi ancora da sciogliere non mancano. Se ne possono individuare almeno quattro. Il primo è politico. Alcuni paesi europei recalcitrano in modo clamoroso di fronte all’accoglienza dei profughi, con stili e motivazioni diverse: dai muri ungherese e bulgaro, all’isolazionismo danese, alle scelte autonome del Regno Unito, che finalmente si piega all’accoglienza, ma non segue Bruxelles. Un’Europa a due o tre velocità in materia di protezione dei diritti umani fondamentali appare un assurdo politico. In secondo luogo, va ribadito che le quote rappresentano un passo avanti, ma hanno un serio limite, antropologico e morale: non tengono conto delle aspirazioni dei richiedenti asilo. I rifugiati sono persone, non scarti imbarazzanti da suddividere in modo più o meno equo. Hanno conoscenze, legami e desideri che non necessariamente collimano con le destinazioni loro assegnate. Una volta inviati forzosamente in un determinato paese, potrebbero decidere di trasferirsi altrove. In questo caso perderebbero il diritto alla protezione umanitaria? Un terzo problema è quello di scongiurare rischiosi viaggi per mare, senza però impedire a chi fugge di raggiungere luoghi sicuri. La Caritas italiana ha già espresso delusione per la mancata apertura di canali umanitari. Le politiche di reinsediamento, di cui David Cameron si è fatto alfiere per non sottostare alle quote decise a Bruxelles, dovrebbero salire di priorità. Bisognerebbe cioè raccogliere le domande di asilo il più vicino possibile alle aree di crisi, esaminarle in tempi rapidi e, quando accette, provvedere a trasferire i profughi con regolari viaggi aerei. Il quarto nodo ci riguarda da vicino. Si riferisce alla prevedibile contropartita delle quote, ossia l’impegno a identificare e registrare i profughi al momento dello sbarco. Qui le incognite sono due: anzitutto, non è detto che gli esuli desiderino essere registrati nei luoghi di sbarco e forzarli appare discutibile. In secondo luogo, non si sa se passeranno e come funzioneranno le quote permanenti promesse: i profughi in eccedenza potrebbero rimanere a carico dei paesi di primo asilo. Insomma, l’Europa finalmente si muove, ma la partita è tutt’altro che chiusa. A questi primi passi, altri ne dovranno seguire.
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Marcello Romagnoli
Ci andrei piano col dire che “La Germania ha guidato il cambiamento di rotta, imprimendo un segno nuovo alla sua leadership europea…”.
Un’altra chiave di lettura potrebbe essere quella per cui la Germania ha bisogno di braccia per le sue aziende, meglio se ben istruite come quelle siriane, e per sostenere il calo demografico che la farebbe diminuire nel suo peso specifico e politico. Una cartina a tornasole la si avrà se la Germania porrà filtri o no all’immigrazione.
Certamente nell’immediato appare come una nazione di grande apertura e umanità, ma forse fa solo il proprio interesse e favorisce il dissanguamento di risorse umane di un paese martoriato da una guerra interna foraggiata da paesi esterni. Molto meglio, e si può dire la stessa cosa anche per altre guerre in Africa, che l’europa (e minuscola non a caso) intervenisse per pacificare, aiutare queste zone così che la migrazione non avvenga per necessità obbligata.
Cesare Sacchi
Ritorno a Tacito: l’ospitalità degli antichi germani
Angela Merkel, figlia di una professoressa di latino, ha certamente mandato a memoria il celebre passo di Tacito sull’ospitalità degli antichi germani:
“Nessun altro popolo ama di più dare banchetti e concedere ospitalità: nessuno può essere respinto da una casa e ciascuno ammette l’ospite alla sua tavola imbandita come le sue possibilità gli consentono. Se i mezzi si esauriscono, colui che era stato padrone di casa diventa compagno e guida alla ricerca di un altro rifugio e, pur non essendo invitati, si presentano tutti e due ad una casa vicina. E non vi è alcuna differenza: entrambi sono accolti con la stessa disponibilità, perché, quanto al diritto di ospitalità, nessuno si mette a sindacare se un ospite è conosciuto o sconosciuto.
E’ usanza concedere a chi si congeda da una casa quanto abbia eventualmente chiesto ed è reciproca la schiettezza nel chiedere: tutti si compiacciono dei doni ma nessuno mette in conto ciò che ha dato o si sente obbligato da ciò che ha ricevuto”. (Tacito, Germania, 21)
Il ‘ritorno a Tacito’ fa bene alla Germania (e pure ai tanti italiani che hanno tra gli antenati gli antichi longobardi).
Consiglio di leggere anche ‘Notizie naturali e civili su la Lombardia’ di Carlo Cattaneo Einaudi, Torino, 1972, pag.469 (l’edizione originale delle ‘Notizie’ si trova facilmente in rete
Cesare Sacchi
Ritorno a Tacito: l’ospitalità degli antichi germani
Angela Merkel, figlia di una professoressa di latino, ha certamente mandato a memoria il celebre passo di Tacito sull’ospitalità degli antichi germani:
“Nessun altro popolo ama di più dare banchetti e concedere ospitalità: nessuno può essere respinto da una casa e ciascuno ammette l’ospite alla sua tavola imbandita come le sue possibilità gli consentono. Se i mezzi si esauriscono, colui che era stato padrone di casa diventa compagno e guida alla ricerca di un altro rifugio e, pur non essendo invitati, si presentano tutti e due ad una casa vicina. E non vi è alcuna differenza: entrambi sono accolti con la stessa disponibilità, perché, quanto al diritto di ospitalità, nessuno si mette a sindacare se un ospite è conosciuto o sconosciuto.
E’ usanza concedere a chi si congeda da una casa quanto abbia eventualmente chiesto ed è reciproca la schiettezza nel chiedere: tutti si compiacciono dei doni ma nessuno mette in conto ciò che ha dato o si sente obbligato da ciò che ha ricevuto”. (Tacito, Germania, 21)
Il ritorno alle buone abitudini tacitiane fa bene ai tedeschi (e anche ai tanti italiani che hanno tra gli antenati gli antichi longobardi).
Consiglio di leggere anche Notizie naturali e civili su la Lombardia (l’edizione originale delle Notizie – Milano, 1844 – si trova facilmente in rete con Googlelibri)
Mauro lepri
Il deficit demografico europeo (ed in particolare quello italiano) ed il fabbisogno di forza lavoro fanno a cazzotti con la disoccupazione esistente. Il lavoro sarà sempre più raro e pensare che saranno gli immigrati a pagare le pensioni degli attuali lavoratori è sbagliato: si dovranno pensare altre soluzioni ora inimmaginabili. Perché pochi lavoratori (dipendente o autonomo) dovrebbero affaticarsi e spremersi per pagare il welfare anche a quelli che non lavorano? Perché non dare meno lavoro a tutti cosicché ognuno si paghi il suo ?
Michele Daves
“I rifugiati sono persone, non scarti imbarazzanti da suddividere in modo più o meno equo. Hanno conoscenze, legami e desideri che non necessariamente collimano con le destinazioni loro assegnate. Una volta inviati forzosamente in un determinato paese, potrebbero decidere di trasferirsi altrove” – io aggiungerei – o restare isolati con scarse possibilità d’integrazione. Conosciamo bene il ruolo positivo che la comunità d’appartenenza (in primis la famiglia) gioca nel processo d’inserimento dei migranti, quindi dovrebbe essere anche interesse dei paesi ricettori non spezzare questi legami forti. Inoltre, la logica delle quote proposta dalla Commissione europea ricorda troppo da vicino quella della suddivisione da parte dei paesi colonizzatori del territorio africano. Spartizione che ha creato confini arbitrari senza tener conto dei popoli e delle differenti etnie presenti in qui territori spesso divise da antichi odi tribali. Questo ha posto le basi a una buona parte degli attuali conflitti che affliggono l’Africa e che contribuiscono alle emigrazioni di massa verso i paesi occidentali.
giovane arrabbiato
Noto che ad Ambrosini i giovani italiani non piacciono proprio. Ci metteremo anche noi sul barcone in mezzo al mare magari le critiche le prende in considerazione.