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Con il bonus rafforzato prove di riforma dell’Irpef

Per la riduzione del cuneo fiscale, il governo ha scelto per ora un sistema misto: estensione del bonus Renzi e ulteriore detrazione Irpef per i dipendenti. Il potenziamento del bonus rischia però di rendere più ardua la riforma organica dell’imposta.

Effetti delle tre misure

Dopo le prime indiscrezioni sulla riduzione del cuneo fiscale, sembrano ora delinearsi i dettagli definitivi (si fa riferimento al testo del decreto uscito dal Consiglio dei ministri il 23 gennaio) per i cambiamenti prospettati per la seconda metà del 2020. Dal 2021, invece, dovrebbe vedere la luce una riforma più organica dell’Irpef, ormai fortemente attesa, dopo ritocchi parziali che stanno solo procrastinando nel tempo una revisione che appare sempre più ineludibile.

Probabilmente, però, queste misure tampone influenzeranno le scelte future, perché, una volta introdotti specifici benefici per i contribuenti, sarà politicamente difficile fare marcia indietro.

Concentriamoci sugli aspetti finora certi. Col decreto del 23 gennaio si è scelto, forse impropriamente, un sistema misto, basato sull’ampliamento e sull’estensione del bonus Renzi fino a 28 mila euro (quindi un trasferimento monetario) e una ulteriore e specifica detrazione Irpef per i dipendenti tra 28 e 40 mila euro.

La scelta sembra prettamente politica. Una parte della coalizione di governo guarderebbe con favore all’estensione del bonus, mentre un’altra parte vorrebbe subito una riforma più strutturale all’interno della sola Irpef.

Vediamo i punti di forza e di debolezza di questo approccio. Consideriamo, per semplicità, un lavoratore dipendente single e applichiamo le misure per l’intero anno (senza considerare le addizionali). Per il solo 2020, la misura proposta sarà applicata per metà anno; quindi i valori di riferimento sono pari alla metà di quelli qui discussi. Valutare il provvedimento per tutto l’anno rende tuttavia più uniforme il confronto, perché il ragionamento coinvolge anche la detrazione per lavoro dipendente.

Il grafico 1 riporta l’attuale andamento della detrazione per lavoro dipendente (linea nera), il bonus riformato (1.200 euro annui nella fascia 8.145-28.000 euro) e l’ulteriore detrazione (linea verde).

Grafico 1 – Detrazioni e bonus

Sotto un profilo meramente tecnico, bene ha fatto il governo a estendere il bonus fino a 28 mila euro, perché questo valore coincide col secondo limite superiore della scala delle aliquote e, soprattutto, col valore di reddito dal quale la detrazione per lavoro cambia inclinazione.

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La linea rossa e la linea verde appartengono però a uno stesso strumento. Dividerle solo formalmente lascia il tempo che trova. Nella struttura Irpef c’è, come è normale che sia, una sola detrazione per ogni tipologia di lavoro: sdoppiarla non può essere considerato positivo. Anche perché, originariamente, il bonus è nato come un correttivo (forzato) all’Irpef. E questa ulteriore detrazione sarebbe un correttivo del correttivo.

Sembra scontato, a questo punto, sommare le tre misure, in modo da avere una visione d’insieme, ovvero una corrispondente proposta in cui da subito si applica un solo intervento complessivo, incentrato sulla revisione della detrazione Irpef da lavoro dipendente.

Il grafico 2 riporta questo andamento. Il primo aspetto di rilievo è il fatto che la linea verde non è una funzione continua: è pari a 1.880 euro fino a 8.145 euro e poi balza a 3.080 (1.880 più 1.200). Di per sé, non rappresenta un grande problema. Si potrebbe prevedere una detrazione potenziale di 3.080 euro (linea blu), anziché 1.880, che non cambierebbe comunque la situazione per i contribuenti non toccati dalle misure, ovvero coloro che hanno una detrazione per lavoro dipendente maggiore dell’imposta lorda.

Grafico 2 – Detrazioni e bonus sommati

C’è da dire che i motivi che hanno reso preferibile il mantenimento di un doppio canale (bonus e ulteriore detrazione) sono prevalentemente due.

Il primo è che il bonus oggi garantisce di fatto una imposta netta negativa per i redditi bassi dove non si annida il fenomeno dell’incapienza. Ad esempio, un soggetto con reddito lordo pari a 9 mila euro è caratterizzato da una imposta netta pari a 235,1 euro ma beneficia di 960 euro di bonus, quindi l’imposta complessiva è -724,9 euro. Questo aspetto non desta particolari preoccupazioni. Già oggi il nostro ordinamento guarda con favore all’imposta negativa in due casi molto specifici: l’ulteriore detrazione per familiari a carico e la detrazione per i canoni di locazione. Qualora, infatti, a causa di una di queste specifiche misure, il contribuente divenga incapiente, la parte che non ha trovato copertura nell’imposta lorda può essere goduta come trasferimento. Si potrebbe pensare quindi di applicare un ragionamento simile anche all’incapienza da bonus per trovare una soluzione. Certo, la semplificazione del sistema è un’altra cosa, ma da qualche parte occorre pur sempre iniziare.

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Il secondo motivo è il fatto che l’applicazione di una detrazione complessiva amplierebbe il numero dei contribuenti a imposta netta nulla, che sarebbero di conseguenza esentati dal pagamento delle addizionali, proprie di altri livelli di governo. La prospettata revisione organica dell’Irpef dovrà sicuramente entrare nel merito di questo aspetto.

Limiti e rischi

Da queste osservazioni si possono trarre alcune conclusioni. Sicuramente è di rilievo lo sconto concesso ai lavoratori dipendenti, che però ha ripercussioni sulle aliquote effettive. Così si verrebbe a creare troppa disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e pensionati. È una scelta politica, ma è davvero molto forte. I lavoratori autonomi hanno avuto forti sconti con la flat tax; si è deciso di continuare a concentrare la riduzione del cuneo sui dipendenti. Ulteriori risorse saranno probabilmente da destinare ai pensionati. Senza considerare poi che il bonus così riformato garantisce vantaggi alla condizione lavorativa del contribuente, mentre forse il nostro paese avrebbe bisogno di misure più organiche anche per il trattamento fiscale della famiglia.

L’opinione di chi scrive è che il potenziamento del bonus renderà più ardua una riforma organica dell’imposta, che invece dovrebbe vedere la luce subito dopo la sua approvazione. Forse si potrebbe iniziare a pensarci già da adesso.

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13 commenti

  1. Roberto

    Il più grande problema del bonus rimane la non applicabilità per gli incapienti, cioè chi prende meno di 8145 euro.
    Prendendo spunto dall’esempio citato nell’articolo, chi prende 9000 euro di reddito ha diritto ad un bonus di 1200 euro annui mentre chi prende meno di 8145 euro non ha niente, questa è una follia che andrebbe sanata.
    Prima di utilizzare soldi in detrazioni aggiuntive, che l’Italia non può permettersi, per i redditi superiori a 28000 euro bisognava aiutare chi realmente ne ha bisogno.

    • Mahmoud

      Il reddito di cittadinanza permette, a chi ha bisogno, di ricevere senza nemmeno lavorare fino a 780×12=9.360 euro l’anno da parte di chi le tasse le paga (ergo, non evade). Non ci sono più scuse: chi guadagna meno di 8.145 euro l’anno, se davvero quella è la cifra che guadagna e realmente ha bisogno (quindi ISEE ed altri requisiti sotto un minimo) dovrebbe (e per lui sarebbe conveniente) lasciare tale condizione di sfruttamento lavorativo e cercare un impiego vero (a meno che una buona parte non sia corrisposta a nero, come purtroppo spesso succede). Chi guadagna meno di 8.145 euro lordi l’anno, quindi meno di 680 euro lordi al mese per 12 mensilità annue, già non paga alcuna tassazione diretta nonostante usufruisca gratuitamente dei servizi indivisibili, quali scuola e sanità, in una situazione insostenibile ed irrealistica nel medio lungo periodo tra dichiarato e sopravvivenza in Italia. Inoltre la detrazione si annulla completamente a 40mila euro lordi l’anno, che corrispondono a circa 13 stipendi netti da meno di 2mila euro, cifra tutt’altro che folle considerando che si riduce tanto in virtù di aliquote marginali che toccano il 38% oltre ai contributi previdenziali. Se c’è una cosa di cui il Paese non ha bisogno è incentivare ancora di più l’evasione e l’inattività lavorativa, affidarsi al fatalismo e pensare che chi guadagna tanto non lo fa perché si è evidentemente impegnato nella vita di più di chi non riesce a mettere assieme 700 euro lordi al mese.

      • Roberto

        Guarda che chi guadagna meno di 8145 euro annui solitamente è uno precario (stage, contratti di somministrazione e a tempo determinato), spesso anche laureato, che magari prende anche uno stipendio superiore a 1000 euro mensili ma solamente per un certo periodo dell’anno. Sono quelle le prime persone che vanno aiutate, non aumentare le detrazioni a chi prende stipendi netti nell’ordine di 2000 euro mensili. L’italia, con i problemi di deficit e di debito che ha, non può permettersi di regalare soldi a chi non ne ha realmente bisogno. Il reddito di cittadinanza non centra con il confronto che ho fatto perché per avere quello bisogna considerare altri parametri (isee molto basso). L’evasione in Italia riguarda molte categorie di persone quindi è riduttivo pensare che chi prende meno di 8145 euro sia per forza un evasore, naturalmente concordo che chi evade deve essere pesantemente perseguito ma questo non deve colpire per partito preso anche chi è in regola ma purtroppo si trova in una situazione lavorativa precaria. Per questo rimane una follia che 2 persone in situazioni economiche pressoché simili siano trattate in modo diametralmente opposto, nel mio confronto chi prende 8000 euro non ha nulla mentre chi prende 9000 euro ha un bonus di 1200 euro.

    • GiorgioIV

      Lei dice, tra le altre cose: “L’Italia è la nazione che più in proporzione al PIL elargisce in pensioni e le condizioni economiche sono peggiorate negli ultimi 10 anni per la forza lavoro ed invece migliorate per i pensionati”. .Ma lei in che Paese vive per fare queste affermazioni? Lo sa che il 15,6% del PIL destinato alla Previdenza ìn buona parte copre in maniera impropria prestazioni di tipo assistenziale, cosa che non succede altrove? Lo sa che in questo Paese sulle pensioni vengono applicate aliquote Irpef pari a quelle dei lavoratori attivi, fino al 43%, mentre negli altri principali Paesi europei sono molto più basse (in Germania l’aliquota max sulle pensioni è circa 11%)? Lo sa che negi ultimi dieci anni, a causa anche delle mancate o ridotte perequazioni annuali, sganciate anche dal rapporto con i contratti di lavoro rinnovati, il potere d’acquisto delle pensioni è sceso almeno del 15 o 20%? Se tutto ciò la porta a fare certe affermazioni, credo che ci siano proprio due visioni diverse della realtà (e della matematica). Auguri.

      • Gaetano Proto

        Visioni diverse della realtà sono legittime, ma la matematica non è un’opinione, e può smentire visioni unilaterali e interessate. E’ un fatto che tra 2000 e 2018 i redditi pensionistici sono cresciuti il doppio delle retribuzioni, il 70% in termini nominali contro il 35% (Istat, “Condizioni di vita dei pensionati – Anni 2017-2018”, 15 gennaio 2020, citato da giornali e agenzie). La questione della tassazione delle pensioni in Germania è molto tecnica. Storicamente quel paese non consente di dedurre i contributi pensionistici dall’imponibile, come avviene da noi, mentre esclude dall’imponibile una percentuale della pensione (maggiore tassazione a monte e minore tassazione a valle). Attualmente questo modello è in via di abbandono in Germania: fino al 2005, in base alle vecchie regole solo il 50% della pensione era imponibile, percentuale salita al 75% circa nel 2018 e destinata a raggiungere il 100% nel 2040 (informazioni reperibili in rete). Da noi, applicare aliquote inferiori ai redditi da pensione in quanto tali a parità di capacità contributiva sarebbe incostituzionale, e in generale questo non avviene neanche altrove. Il confronto va fatto comunque tra aliquote effettive a parità di condizioni, invece che tra un’aliquota effettiva e una formale, come lo è la nostra massima del 43% — peraltro in Germania l’aliquota corrispondente è del 45%.

        • GiorgioIV

          Egr.sig.Proto, proprio vero che la matematica è un’opinione. Lei afferma, prendendo per buono un dato grezzo pubblicato dall’istat, che i redditi pensionistici sarebbero aumentati del 70% nel periodo 2000-2018 prendendo per buoni i dati piuttosto scorretti pubblicati dal medesimo Istituto che poi ha precisato (anche al sottoscritto, in risposta a una mia richiesta di chiarimento) che i dati si riferiscono all’aumento globale della spesa pensionistica (cioè tenendo conto anche dell’utilizzo improprio delle risorse per altre tipologie di prestazioni, vecchie e nuove).
          A riprova di ciò la faccio presente che la mia pensione (certo retributiva, ma con perequazione sostanzialmente bloccata o ridotta nel periodo considerato) è aumentata esattamente del 19% sul nominale lordo (meno dell’inflazione ufficiale già di per sé inferiore all’aumento reale del costo della vita), altro che 70% come suggerirebbe l’accettazione acritica di quel dato grezzo e ambiguo dell’Istat. Farmi passare per privilegiato è troppo. Resta il fatto che basta poco far passare nell’opinione pubblica convinzioni errat e distorte, che poi è difficile sradicare..

        • GiorgioIV

          Aggiunta: per quanto riguarda la tassazione delle pensioni, la invietrei ad andare su questo sito:
          https://www.manageritalia.it/it/previdenza/tassazione-pensioni-nella-ue.
          Poi ne riparliamo.

        • toninoc

          @@Gaetano Proto. La matematica non è un’ opinione ma la realtà dei risultati può apparire ed essere molto diversa da quella da Lei descritta. Come ho scritto in un post precedente la mia pensione è aumentata, dal 2006 al 2020, di 71 euro NETTI. Se il lordo della mia pensione è aumentato di 150euro dei quali mi sono rimasti solo 71 euro, tutti i calcoli percentuali e gli articoli degli economisti di giornali ed agenzie che lei cita si scontrano con la realtà. I lavoratori dipendenti, con il solo bonus ricevuto dal governo Renzi hanno superato i miei 71 euro. Se a questi si aggiunge la misera rivalutazione dell’inflazione, “programmata” non reale, vanno anche oltre. Non sono un economista ma quando percepisco la pensione e quando vado a spenderla per vivere mi rendo conto se il valore reale è minore o maggiore dei periodi passati. I pensionati non hanno i rinnovi contrattuali, ogni 3 o 4 anni come i dipendenti , che si sono aggiunti agli 80 euro di bonus Renzi per cui anche se la matematica è una scienza esatta, se si fanno calcoli diversi con fattori ed addendi e sottraendi e percentuali diversi, i risultati, quelli del contadino, sono diversi. Cordialità.

  2. GiorgioIV

    Come peraltro si legge anche nell’articolo, si è creata con il bonus ulteriormente rafforzato solo ai dipendenti (le partite iva hanno già una flat tax generosissima) una forte disparità di trattamento con la terza componente della società, quelli che (in gran parte…non tutti) hanno già lavorato e ora si chiamano pensionati. Era necessario agevolare una coppia magari di due dipendenti con 30000 o 35000 euro lordi ciascuno e dimenticare un pensionato magari con moglie a carico con 20000 o 25000 o 30000? Scelta ancora più miope e punitiva, se si pensa che solo in Italia le pensioni sono tassate con aliquote Irpef pari a quelle dei lavoratori attivi (e detrazioni inferiori) mentre in quasi tutti i Paesi Europei sono presenti aliquote fiscali massime largamente inferiori (tra il 10 e il 18% nei principali Paesi). Oltre a mancate o ridotte perequazioni annuali (calcolate solo su inflazione ufficiale, dimenticando il rapporto con i contratti di lavoro), anche quindi una imposizione fiscale elevatissima. E qualcuno osa ancora parlare di vantaggio del calcolo retributivo. E’ stato ormai ampiamente riassorbito da queste anomalie pluriennali, ma viene ancora utilmente sfruttato per confondere le acque.
    P.S.: senza contare che una futura diminuzione delle aliquote per tutti si tradurrebbe ovviamente in una più forte riduzione di imposte per chi ora non viene agevolato da queste misure rispetto a chi già ne usufruisce: prevedibili le solite litanie sui privilegi dei pensionati che sarebbero come sempre (sic!) avvantaggiati (dimenticando ovviamente la storia pregressa prima riassunta).

    • Mahmoud

      Sì, era necessario, perché il lavoro e la sua remunerazione sono meritocratici allorquando individuali ed ogni studio economico a riguardo rimarca come il cumulo dei redditi familiari per determinare le agevolazioni disincentiva il lavoro di uno dei due componenti, ergo ghettizza ancora di più la (potenziale) forza lavoro femminile. L’Italia è la nazione che più in proporzione al PIL elargisce in pensioni e le condizioni economiche sono peggiorate negli ultimi 10 anni per la forza lavoro ed invece migliorate per i pensionati. I pensionati non sarebbero in generale come sempre avvantaggiati, sono in generale come sempre avvantaggiati senza dubbio alcuno e ancora molta strada occorre percorrere.

      • GiorgioIV

        Mahmoud, a parte che il dato del 15,6% del PIL per la Previdenza è anomalo perché contiene una quota rilevante e impropria dovuta all’assistenza, cosa che non succede altrove, fare affermazioni come le sue in un Paese in cui sulle pensioni si applicano aliquote fiscali del 38-41-43% quando ad esempio in Germania sono al massimo 11%, fanno pensare di trovarsi su Zelig. Completerei quindi il suo pensiero immaginando che la soluzione ottimale finale sarà l’abolozione dei pensionati, cghe finalmente non saranno più avvantaggiati perchè scomparsi.

      • toninoc

        @@@Mahmoud. Sono in pensione dal 2006 ed a distanza di 14 anni, dopo 38,5 anni di versamenti contributivi la mia pensione è stata rivalutata con 71 (ha letto bene, settantuno) euro netti mensili dopo 16 anni. Dove Lei abbia consolidato le Sue convinzioni non lo so, ma certamente su un’informazione assolutamente errata. Sono sufficienti secono Lei 71 euro per rivalutare l’inflazione degli ultimi 16 anni . Provi ad andare al market o a raffrontare i costi delle vari bollette tra il 2006 ed il 2020 per vedere quanto sono cresciute e la confronti con le pensioni nello stesso arco di tempo. Si renderà conto di aver sbagliato le valutazioni in merito ai suoi supposti miglioramenti dati ai pensionati.Il problema non si risolve contrapponendo pensionati e dipendenti, due categorie che pagano il 70% dell’irpef totale ed i servizi pubblici agli evasori fiscali. La soluzione è la lotta senza quartiere e senza tentennamenti agli evasori fiscali e contributivi. 100 e più miliardi di evasione fiscale avrebbero consentito ai governanti di diminuire le tasse a tutti ed evitare che i pensionati fuggano in Portogallo o in Tunisia per vivere una pensione più tranquilla. Cordialmente Toninoc.

    • toninoc

      Si potrebbe aggiungere che per via della crisi occupazionale molti pensionati devono assistere economicamente i figli e la tvolta anche i nipoti. Per questo credo che prima di ridurre ulteriormente l’irpef ai lavoratori dipendenti, sarebbe giusto riequilibrare quella dei pensionati che con le misere rivalutazioni annuali non ricuperano neanche la minima inflazione. Chissà che sull’esempio delle “Sardine” non nasca anche il movimento dei “DIMENTICATI”.

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