Il 2020 sembrava un anno promettente per gli enti territoriali, con l’allentamento dei vincoli fiscali e la possibilità di assumere e investire. L’emergenza sanitaria ha creato nuove difficoltà. Ora servono regole chiare per l’utilizzo dei fondi europei.

L’impoverimento della pubblica amministrazione

Il 2020 pre-Covid-19 sembrava un anno promettente per le amministrazioni pubbliche e per gli enti territoriali, per i quali si allentavano i vincoli fiscali e si aprivano possibilità di assumere e di investire. Il sopraggiungere dell’emergenza sanitaria ha creato nuove difficoltà strutturali. Nel frattempo, si è avviata la discussione su quali regole dovranno coordinare le politiche di bilancio dei paesi europei, soprattutto di quelli gravati da un debito particolarmente pesante.

Nel trascorso decennio, l’azione della pubblica amministrazione si è contraddistinta, da un lato, per la necessità di rispondere ai crescenti bisogni di cittadini e imprese colpiti dalla lunga crisi economica e, dall’altro, dalla contemporanea introduzione di nuove regole fiscali che hanno finito con il ridurre e irrigidire le possibilità di intervento degli enti.

La lunga fase di crisi economica si è accompagnata, inevitabilmente, a un impoverimento delle risorse disponibili (sia umane che finanziarie) in tutti i livelli di governo, mentre la pressione fiscale è rimasta pressoché invariata e superiore ad altri paesi europei. Le riforme contabili, degli assetti istituzionali e della spesa pubblica, che pure sono state avviate, hanno avuto per lo più natura episodica e sono risultate alla fine complessivamente incoerenti, se non addirittura conflittuali. Certamente, l’impoverimento del capitale umano delle amministrazioni, nel numero e nell’invecchiamento dei dipendenti pubblici, non ne ha agevolato l’inserimento e l’entrata a regime.

La voce della spesa pubblica più penalizzata è stata quella in conto capitale, perché meno rigida e meno visibile dai cittadini rispetto all’offerta di servizi. Questo ha portato a una riduzione delle risorse destinate all’ammodernamento e alla manutenzione del capitale pubblico del 40 per cento, e cioè di oltre 24 miliardi tra il 2010 e il 2018, e ha rappresentato un fattore di freno alla ripresa del paese (figura 1).

D’altra parte, le difficoltà delle amministrazioni locali non sono state determinate solo da restrizioni di natura finanziaria, ma anche dalla molteplicità di vincoli e tagli che hanno limitano la capacità di spendere risorse già disponibili. Ciò emerge dal fenomeno dell’overshooting, ovvero dall’“eccesso di risparmio” rispetto ai vincoli fiscali, misurato dal saldo finale tra entrate e spese. Si tratta, complessivamente, di circa 5 miliardi di euro, che già nel 2018 avrebbero potuto essere destinati a investimenti per il paese (figura 2).

Il 2020 doveva essere l’anno della svolta

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Dopo un decennio di crescenti difficoltà, nell’ultimo periodo sembrava essersi avviata una fase di lenta ripresa degli investimenti pubblici. Con sempre maggiore decisione, infatti, il governo stava procedendo verso l’abbandono dei vincoli di natura fiscale, da un lato, e verso la semplificazione delle procedure in ambito di lavori pubblici, dall’altro. Nel 2019, in particolare, si intravedevano i segnali di una progressiva ripresa degli investimenti che riguardava più diffusamente le diverse aree del paese. Le variazioni della spesa in conto capitale dei comuni rispetto al 2018, infatti, riportavano un segno positivo in tutte le regioni del Centro-Nord e nella maggioranza di quelle meridionali (grafico 3).

Le prospettive (pre-Covid-19) per il 2020 erano ancora più positive. Solo qualche mese fa, infatti, la legge di bilancio 2020 aveva aperto nuove opportunità per le amministrazioni decentrate, ribadendo e rafforzando molte delle misure che erano state avviate nell’ultimo periodo. Con più decisione aveva previsto il definitivo superamento delle regole del Patto di stabilità; aveva recepito la sentenza della Corte costituzionale che riportava nella disponibilità dei comuni l’uso dell’avanzo accumulato in anni di risparmio (Corte costituzionale sentenze n. 247 del 2017 e n. 101 del 2018); aveva riaperto margini di manovra sulle aliquote fiscali per quanti ne avessero avuta ancora la disponibilità; aveva sbloccato il turn over; aveva agevolato la riscossione, ovvero le attività di contrasto all’evasione e di recupero fiscale; aveva consentito nuovamente il ricorso al debito fino ai limiti previsti dalla norma; aveva semplificato le procedure per l’avvio degli investimenti. Molti degli interventi erano mirati a riattivare la piena funzionalità degli enti dopo anni molto difficili. Ma avevano soprattutto lo specifico intento di sostenere il rilancio degli investimenti (tabella 4), nella convinzione, ormai largamente diffusa, che questa fosse una leva non più rinviabile di ripresa economica.

Il sopraggiungere dell’emergenza sanitaria ha rimesso sotto pressione i bilanci pubblici, tanto di parte corrente quanto in conto capitale, creando nuove difficoltà strutturali per gli enti territoriali, solo in parte compensate dal sostegno dell’amministrazione centrale e dal ricorso a nuovo debito. Ma al di là dell’emergenza, una duratura ripresa della capacità di investire potrà realizzarsi purché si trovi una condivisione politica delle strategie europee, per impedire che il nuovo debito venga utilizzato esclusivamente per tamponare il breve periodo, generando – ancora una volta – nuove criticità in un futuro molto prossimo.

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