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Gli anziani non autosufficienti si meritano un progetto

Nel Pnrr manca un progetto complessivo per l’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Eppure, le evidenti difficoltà del settore e l’invecchiamento della popolazione suggeriscono di colmare la lacuna. Ecco una proposta per farlo.

La domanda che manca

La bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza non contiene un progetto per il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Gli interventi previsti, infatti, sono disseminati tra diverse filiere istituzionali (sociale e sanità) e ricondotti a una pluralità di obiettivi eterogenei, senza mai affrontare la domanda chiave: “quale progetto potrebbe essere utile per gli anziani e le loro famiglie?”. Le evidenti difficoltà delle politiche di welfare coinvolte e la tendenza al continuo aumento della popolazione interessata suggeriscono, invece, di porsela. È ciò che fa la proposta (qui) del Network Non Autosufficienza, coordinato da chi scrive, che riprende le azioni già stabilite dal Piano, modificandole, integrandole con altre e provando a collocarle in un progetto unitario.

La frammentazione e i modelli d’intervento

Il punto di partenza è stata l’individuazione dei problemi di fondo dell’assistenza agli anziani in Italia, sulla base delle ricerche e delle informazioni disponibili. Uno consiste nella frammentazione degli interventi pubblici, erogati da diversi soggetti non coordinati tra loro (Asl, comuni, Inps). Si propone pertanto di unificare i passaggi da svolgere per accedere all’insieme delle misure – ricomponendo così l’attuale caotica molteplicità di enti, sedi e percorsi differenti – e di far confluire le diverse prestazioni ricevute in progetti personalizzati unitari. Le condizioni favorevoli a un simile cambiamento nell’organizzazione del welfare locale sono create grazie a un processo analogo compiuto a livello istituzionale. Si vuole, infatti, collocare in un sistema di governance unitario le diverse linee di responsabilità, frammentate tra tre livelli di governo (stato, regioni, comuni) e tre filiere (prestazioni monetarie, servizi sociali e servizi sociosanitari).

Un altro problema risiede in modelli d’intervento solo in parte confacenti alla condizione di non autosufficienza. La proposta lo affronta nell’ambito dei servizi domiciliari, il cui sviluppo è prioritario. Il più diffuso, l’assistenza domiciliare integrata (Adi) delle Asl, fornisce in prevalenza specifiche prestazioni medico-infermieristiche per rispondere a singole patologie (paradigma del curequi). La riforma delineata, invece, assume il paradigma proprio della non autosufficienza, quello del care multidimensionale: si tratta di costruire progetti personalizzati che partano da uno sguardo globale sulla condizione dell’anziano, sui suoi molteplici fattori di fragilità, sul suo contesto di vita e di relazioni per organizzare di conseguenza le risposte. In concreto, ciò significa offrire non solo gli interventi di natura medico-infermieristica, ma anche quelli – oggi marginali – di aiuto nelle attività fondamentali della vita quotidiana, che la non autosufficienza impedisce all’anziano di compiere. Allargare lo sguardo vuol dire anche, naturalmente, riconoscere le esigenze delle reti informali di supporto: si prevedono la presenza di operatori che rappresentino per i soggetti coinvolti un punto di riferimento certo nel tempo e azioni di affiancamento e sostegno dedicate a caregiver familiari e badanti.

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Il ridotto finanziamento dei servizi

L’ultima questione di fondo consiste nell’insufficiente finanziamento dei servizi alla persona, testimoniato dalle basse percentuali di anziani seguiti. Il Pnrr non permette di utilizzare la leva decisiva in proposito – l’incremento della spesa corrente. Però, quella disponibile in termini di risorse – gli investimenti una tantum – consente comunque alcune azioni significative. Si dispone, quindi, un investimento straordinario nella domiciliarità per accompagnarne la riforma complessiva. Infatti, non è possibile operare una profonda rivisitazione di servizi così sotto-finanziati, ampliandone le responsabilità, senza incrementarne i fondi.

La proposta include anche un investimento nella riqualificazione delle strutture residenziali, per assicurarne il necessario ammodernamento. Quest’esigenza, nota da tempo, è stata confermata dalle vicende della pandemia. Basti pensare, ad esempio, che una maggiore disponibilità di stanze singole – oggi in minoranza – avrebbe aiutato il contenimento dei contagi. In generale, è dimostrato che migliorare la dotazione infrastrutturale influisce positivamente sulla qualità della vita degli anziani residenti (qui).

Infine, un’azione trasversale. Perseguire il miglioramento delle politiche richiede fonti conoscitive adeguate. Si stabilisce, dunque, l’attivazione di un sistema nazionale di monitoraggio dell’assistenza agli anziani, che oggi – a differenza della sanità – non esiste.

Le ragioni della proposta

Quali sono le ragioni alla base della proposta? Primo, avvia quel percorso di riforma del settore atteso dalla fine degli anni Novanta, quando si cominciò a discuterne in sede tecnica e politica, senza alcun esito finora (qui). Intanto, negli ultimi tre decenni, riforme nazionali di ampia portata sono state attuate in numerosi altri paesi del Centro-Sud Europa, dalla Francia alla Spagna, dall’Austria alla Germania. Ecco, dunque, l’intenzione alla base della proposta: sfruttare l’occasione offerta dal Pnrr per iniziare il percorso di riforma attraverso un primo pacchetto di azioni necessarie, concepite a partire dall’analisi delle criticità esistenti.

Secondo, la proposta non è originale. Il documento di Network Non Autosufficienza non inventa nulla poiché sulla necessità del nucleo d’interventi suggeriti vi è da tempo una larga concordanza nel mondo della non autosufficienza, nella ricerca così come nella pratica e nella politica. Le idee esposte non esauriscono le questioni da affrontare, ma hanno alcuni pregi: sono condivise, sono realizzabili con gli strumenti previsti dal Piano e rappresentano un’ottima base sulla quale fondare gli ulteriori, auspicabili, cambiamenti.

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Terzo, la proposta parte da “cosa” e non da “quanto”. Sono previsti 7 miliardi per la non autosufficienza, 5 dei quali destinati alla riforma della domiciliarità nel periodo 2022-2026. Secondo i nostri calcoli, è la cifra giusta per accompagnare una riforma importante; a ogni modo, il finanziamento potrebbe anche essere minore. La proposta, infatti, non parte da “quanti” stanziamenti dedicare, ma da “cosa” fare. Il vero pericolo non è che i fondi siano inferiori a quelli auspicati, ma che il Piano per l’Italia di domani resti privo di un progetto riformatore per un settore tanto fragile.

Quarto, rispetta le indicazioni della Commissione europea, che giudica il Piano italiano troppo sbilanciato verso gli investimenti e suggerisce, dunque, di “rafforzarlo dal punto di vista delle riforme” (qui). La gran parte degli interventi individuati ha natura di riforma, cioè modifica in modo strutturale il profilo delle politiche pubbliche.

Quinto, valorizza il territorio. Si prevede di non chiedere inutili cambiamenti a quelle realtà territoriali dove già si va (in tutto o in parte) nella direzione indicata. Infatti, solo valorizzando quanto di buono viene fatto (poco o tanto che sia) è possibile realizzare efficaci politiche di sviluppo del welfare locale.

Sesto, la proposta si ricorda l’origine del Pnrr. Sarebbe paradossale che un Piano nato per rispondere alla tragedia della pandemia dimenticasse proprio coloro i quali ne sono stati le principali vittime, cioè gli anziani non autosufficienti.

La necessità di un confronto pubblico

La proposta di Network Non Autosufficienza rappresenta solo un primo passo ed è aperta a idee di miglioramento, correzioni e ipotesi di sviluppo. L’auspicio è che possa concorrere – nelle prossime settimane – ad avviare un vasto confronto pubblico (qui), che sfrutti al meglio il patrimonio di esperienze e di competenze esistente in materia, per definire il contributo del Pnrr nel costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia.

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  1. Savino

    Rifare il welfare significa anche rifare la previdenza e l’assistenza sociale e trattare le materie per quelle che sono.Un ex generale di 90 anni e oltre non è necessario che abbia un trattamento economico per il ruolo che aveva molti anni fa, ma è indispensabile che abbia un’assistenza adeguata sul piano umano e professionale.

  2. giuseppe brunetti

    Buona sera. Apprezzo molto l’articolo scritto dal prof. Gori. Molto interessante. Argomento che merita di essere commentato almeno dai lettori più attenti. Speriamo che la sua proposta sia presa in seria considerazione così da poterci trovare allineati almeno ai paesi europei che hanno già adottato tali provvedimenti. Come ricordava spesso un noto giornalista, recentemente scomparso, viviamo nel presente come se non dovessimo mai invecchiare. Cordialmente, Giuseppe

  3. L’iniziativa è sicuramente lodevole, così come lo sono state tante altre in questi ultimi decenni.
    L’esito purtroppo, non è stato adeguato alle necessità e il confronto si è limitato al finanziamento o meno del fondo per la non autosufficienza. Fondo che è stato utilizzato prevalentemente per la copertura dei costi di struttura e solo marginalmente alle persone N.A.
    Il dibattito infinito sembra limitarsi sulla riunificazione o meno degli interventi sanitari con quelli socio-assistenziali, come a dire che non sono interdipendenti.
    Il documento citato ha il pregio di mettere in evidenza l’aspetto del badantato, parte prevalente dell’attività assistenziale.
    La riforma dovrebbe quindi sciogliere il nodo se lo Stato abdichi alle badanti la funzione di assistenza o colga l’occasione per soluzioni organizzate e accreditate dei servizi di ausilio familiare, non ultima la fase consulenziale verso le famiglie per orientarsi nella giusta forma di assistenza domiciliare.

  4. umberto scaccabarozzi

    Nel rapporto sulla non autosufficienza in Italia-2010,alla fine,nelle questioni aperte,leggo:Quale ruolo deve esercitare il pubblico nel garantire qualità e certezza dei servizi in ogni Regione d’Italia ai cittadini anziani fragili …?Vediamo come è andata in Lombardia con la Riforma sanitaria Maroni del 2015.In Lombardia l’assistenza di un milione e mezzo di pazienti cronici è stata data in appalto a un nucleo ristretto di gestori per lo più privati,con l’arretramento dell’organizzazione diretta delle cure primarie,in particolare del MMG,da parte della struttura pubblica.Speriamo in un Progetto almeno coerente. Umberto Scaccabarozzi

  5. Giuseppe D'Angelo

    Premesso che “gli anziani malati cronici non autosufficienti e le persone colpite da demenza senile sono soggetti colpiti da gravi patologie che hanno avuto come esito la devastante compromissione della loro autosufficienza e pertanto hanno in tutti i casi esigenze sanitarie e socio-sanitarie indifferibili in relazione ai loro quadri clinici e patologici” (OMCEOTo), ergo è la Sanità che DEVE, in base alle norme vigenti, intervenire a tutela del DIRITTO alle cure. La Salute (art.32 Cost.) è un concetto molto più ampio di malattia.

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