Circa un milione di poveri assoluti in più nel 2020. E senza i tanti provvedimenti pubblici di sostegno ai redditi l’aumento sarebbe stato ben più consistente. Ma le ingenti risorse prese a prestito dal futuro potevano essere usate meglio, per la crescita.

Povertà e consumi

Una famiglia è assolutamente povera se i suoi consumi sono inferiori a una soglia di povertà che stabilisce, tenuto conto di alcune caratteristiche di quella famiglia, un valore minimo di spesa per accedere a beni e servizi essenziali. Lo spiegano le note metodologiche dell’Istat, che, detto per inciso, fa un lavoro egregio che altri paesi europei non fanno perché Eurostat non impone, con regolamento adeguato, l’obbligo di valutare la povertà assoluta.

Proviamo a valutare meccanicamente l’andamento della povertà assoluta. Per farlo bisogna guardare soprattutto a livello e dinamica dei consumi visto che, per costruzione, gli individui che vivono in famiglie assolutamente povere sono conteggiati sulla base del confronto tra una soglia di spesa per consumi e il valore del consumo familiare osservato. Poiché vogliamo qui giungere a conclusioni aggregate per il totale Italia, senza riferimenti a territori o fasce sociali, possiamo considerare i consumi della contabilità nazionale, per la precisione i consumi dei residenti.

La Tabella 1 mette a confronto l’evoluzione del numero di poveri assoluti con quella dei consumi per abitante in termini reali dal 2005 (primo anno di rilevazione) a oggi.

La relazione tra le due variazioni dovrebbe essere negativa: se i consumi pro capite crescono, a meno di gravi distorsioni nella distribuzione dei benefici, il numero di poveri assoluti dovrebbe scendere. Al contrario, consumi decrescenti dovrebbero portare un maggior numero di persone sotto la soglia. Poiché nel periodo considerato l’indice del Gini è rimasto piuttosto stabile, possiamo immaginare che maggiori consumi facciano uscire dalla povertà assoluta un numero più o meno grande di persone, probabilmente proporzionale all’intensità della crescita.

Sembra proprio così. Su quindici anni di variazioni gli accoppiamenti sono “sbagliati” solo in sei casi, quelli indicati col segno più nell’ultima colonna, quando al crescere dei consumi crescono i poveri assoluti. Tre di loro sono errori veniali di associazione dovuti all’esiguità della variazione dei consumi. Per esempio, nel 2007 e nel 2010 l’aumento è stato talmente misero che non ha aiutato praticamente nessuno a migliorare la propria condizione. Anzi.

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È un altro modo di vedere il problema della povertà e, più in generale, quello della nostra endemica malattia da bassa crescita. Perché le cose vadano peggio per ampie fasce della popolazione, non c’è bisogno di grandi sconvolgimenti: è sufficiente stare fermi sul piano delle variabili aggregate. Il terzo errore ammissibile è quello del 2014. In questo caso, alla modesta riduzione dei consumi si associa quella della povertà, dopo anni devastanti in cui la stessa è più che raddoppiata.

Gli accoppiamenti “sbagliati” sono quelli del triennio 2015-2017. Le ragioni le conoscono gli esperti. Nella mia analisi avalutativa resta il sospetto che, col passare del tempo, le dinamiche sociali interne a un paese privo di crescita economica tendono a bloccarsi: una volta che sei povero puoi sperare in qualche sussidio, ma non molto di più. E d’altra parte è politicamente più facile fornire sussidi e sostegni piuttosto che rimuovere le cause che determinano condizioni di perdurante deprivazione.

Vale la pena di notare che negli anni peggiori del recente passato per una riduzione dei consumi reali pro capite tra il 3,6 e il 4 per cento (2013 e 2012) la povertà assoluta è cresciuta del 24,4 per cento e del 33,9 per cento. Già nel 2008 a fronte di un calo dei consumi pro capite dell’1,7 per cento la povertà assoluta crebbe del 18 per cento. Quindi, arrivando finalmente al 2020, con una riduzione dei consumi pro capite del 10,3 per cento, di quanto sarebbe dovuta crescere la povertà assoluta (assumendo di non conoscere il dato vero)?

Il calcolo per il 2020

Per formulare una congettura è meglio convogliare tutte le (poche) informazioni della tabella in qualche coefficiente di regressione che esprima quanto si muove la nostra variabile target (povertà assoluta) in risposta a una variazione della variabile esplicativa. Poiché il numero di poveri dipende necessariamente dall’ampiezza della popolazione, è preferibile utilizzare come target l’incidenza della povertà assoluta, cioè il rapporto tra individui assolutamente poveri e popolazione. Su queste basi e dopo qualche prova effettuata, ovviamente non considerando le osservazioni relative all’anno della pandemia, si può concludere che dato il crollo dei consumi pro capite osservato, nel 2020 avremmo dovuto contare un incremento dei poveri assoluti di oltre 1,3 milioni di unità, invece di 1,033 milioni registrato dall’Istat.

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Impossibile non ammettere che i vari provvedimenti legati sia al reddito di emergenza sia all’estensione della cassa integrazione sia alla vigenza del reddito di cittadinanza, abbiano mitigato l’estensione della povertà assoluta, consolidando i risultati già raggiunti con i provvedimenti del 2019. Sulla scorta di questi risultati si può suggerire che le risorse destinate al sostegno al reddito nel corso del 2020 abbiano evitato ad almeno 300mila persone l’entrata nella povertà assoluta (un numero ragionevole, anche se l’approccio è eccezionalmente semplificato).

In conclusione, sebbene negli ultimi anni anche in Italia siano stati fatti importanti passi avanti in termini di contrasto alla povertà assoluta, oggi quasi il 10 per cento della popolazione si trova in tale condizione. La crescita in Italia è assente da una ventina di anni, il 2021 non è cominciato molto bene e il debito pubblico si avvicinerà al 160 per cento del Pil. In queste condizioni, temo sarà molto difficile ridurre significativamente il numero di persone povere. A meno che un grande successo nel processo di riforma, sostenuto da una ripresa degli investimenti, non porti stabilmente la crescita del nostro prodotto potenziale ed effettivo sopra il 2 per cento annuale per un periodo sufficientemente lungo.

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