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Nelle filiere globali arriva l’obbligo di due diligence sui diritti umani

Una proposta di direttiva europea obbliga le grandi imprese a introdurre sistemi per identificare e prevenire rischi ambientali e violazioni dei diritti umani dei lavoratori, lungo la catena di fornitura. È una svolta che colma un vuoto normativo.

I limiti del Bangladesh Accord

Il 24 aprile 2022 ricorreva il nono anniversario del crollo, in Bangladesh, del Rana Plaza. L’edificio, progettato per ospitare solo case e uffici, era stato illegittimamente destinato allo svolgimento di attività produttive e soffriva di gravi carenze sul piano del rispetto degli standard di sicurezza sul lavoro. Con più di mille morti e oltre 5 mila feriti è considerato uno dei più gravi incidenti industriali al mondo. Le fabbriche presenti nell’edificio crollato producevano per grandi marchi internazionali e, dopo la tragedia, sindacati e fornitori locali hanno negoziato con queste società un accordo sulla sicurezza delle fabbriche e degli edifici in Bangladesh. Il cosiddetto Bangladesh Accord è al terzo rinnovo e rappresenta un importante passo in avanti rispetto a simili iniziative multistakeholder, dal momento che ha carattere vincolante per i brand che vi aderiscono.

Anche se l’ultima versione dell’Accordo promette di espandere l’ambito di applicazione ai diritti umani e di ampliare il numero dei paesi coinvolti, molti sono ancora i nodi irrisolti. Primo fra tutti, la natura volontaria dello strumento. Seppur vincolante una volta firmato, le imprese non hanno un obbligo di aderirvi e molti brand che operano in Bangladesh non l’hanno mai fatto. Ulteriori criticità riguardano il sistema di controlli, l’ambito di applicazione, i paesi coinvolti e il fatto che i destinatari siano esclusivamente le imprese del settore tessile.

Di fronte all’inadeguatezza degli strumenti volontari, il 23 febbraio 2022 la Commissione europea ha pubblicato l’attesa proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence. La proposta risponde a una crescente esigenza di regolamentare le catene del valore a livello globale, con particolare riguardo ai loro impatti negativi sull’ambiente e sulle persone. L’esigenza è emersa anche dalla consultazione pubblica che ha preceduto la proposta di direttiva in cui oltre l’80 per cento di coloro i quali hanno risposto (comprese le imprese) si sono espressi a favore di un simile strumento. Tra le principali motivazioni sono emerse le seguenti:

  • dare un contributo effettivo agli obiettivi di sviluppo sostenibile (76,5 per cento);
  • favorire una maggiore parità di condizioni tra le imprese (75,5 per cento);
  • promuovere una maggiore certezza del diritto (70,2 per cento).
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La proposta europea

La proposta di direttiva ha un ambito di applicazione piuttosto limitato, perché riguarda solo le grandi imprese (inclusi gli enti assicurativi e finanziari), e più precisamente:

  • imprese con più di 500 dipendenti (inclusi quelli part-time e altri collaboratori temporanei) e un fatturato globale netto di più di 150 milioni di euro;
  • imprese con più di 250 dipendenti e un fatturato globale netto di 40 milioni di euro, a patto che almeno il 50 per cento del fatturato derivi da uno o più settori identificati come ad alto rischio dalla proposta (per esempio il tessile, l’agricoltura, l’estrazione di minerali).

Nell’ambito di applicazione sono indicate anche le grandi imprese con sede al di fuori dell’Unione europea, rispetto alle quali si applicano le medesime soglie di fatturato previste per quelle con sede nel territorio comunitario.

Le imprese così definite saranno obbligate a effettuare una due diligence sui rischi di impatti negativi potenziali ed effettivi sui diritti umani e sull’ambiente in riferimento “alle proprie operazioni, le operazioni delle proprie controllate, e le operazioni all’interno della propria catena del valore svolte da soggetti con cui l’azienda ha una relazione commerciale stabile”. Le aziende saranno anche chiamate a redigere un piano d’azione di prevenzione, nel quale dovranno chiarire le misure che intendono adottare per prevenire i rischi evidenziati, nonché gli indicatori per misurare l’impatto delle misure.

La proposta di direttiva prevede inoltre un sistema di controlli interni da parte delle aziende, che dovranno introdurre procedure di reclamo e un monitoraggio esterno da parte di autorità di vigilanza nazionali. Queste ultime dovrebbero essere dotate di poteri sanzionatori, compresa la possibilità di adottare misure provvisorie al fine di scongiurare il rischio di danni gravi e irreparabili. È inoltre prevista una responsabilità civile, al fine di risarcire le vittime in caso di danni e una responsabilità degli amministratori rispetto alla corretta attuazione della due diligence e alla sua integrazione nella strategia aziendale.

Le critiche

Le norme hanno ricevuto critiche che vanno in due direzioni opposte. Da un lato, si lamenta l’eccessiva timidezza della proposta di direttiva, in particolar modo rispetto al campo di applicazione. Se venissero confermate le soglie attualmente individuate, i destinatari diretti della norma rappresenterebbero appena lo 0,2 per cento delle imprese europee, anche se le piccole aziende verrebbero comunque coinvolte, in quanto attori all’interno della filiera.

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Dal lato opposto, si schierano coloro i quali temono una eccessiva burocratizzazione dell’attività d’impresa e una perdita di competitività a danno di tutta l’Unione. Tra i motivi di maggiore preoccupazione, c’è il timore di una proliferazione di cause civili contro le imprese e gli amministratori. La proposta di direttiva, però, contiene un’esplicita esenzione dalla responsabilità per le imprese, qualora siano in grado di dimostrare di aver investito in modo adeguato nella due diligence per la sostenibilità. Al fine di promuovere la certezza del diritto, è inoltre prevista la pubblicazione, da parte della Commissione europea, di linee guida settoriali per chiarire in che termini questi requisiti possano dirsi soddisfatti.

Perché è una svolta

La proposta di direttiva rappresenta un punto di svolta fondamentale per colmare il vuoto normativo che ha fatto seguito alla globalizzazione, in cui i mercati si sono evoluti molto più velocemente dei diritti. Parte delle critiche sollevate sono condivisibili e auspichiamo che vengano affrontate dal legislatore europeo in sede di approvazione.

Tuttavia, la proposta è il frutto di decenni di faticose negoziazioni a livello internazionale. Un punto di svolta nel percorso è arrivato con i Principi guida delle Nazioni Unite per le imprese e i diritti umani, approvati all’unanimità da parte del Consiglio per i diritti umani nel giugno del 2001.

Tali principi hanno influenzato le iniziative volontarie e vincolanti che si sono moltiplicate nell’ultimo decennio (ivi compresa la proposta di direttiva) e si sono ispirate al convincimento che “se non facciamo in modo che la globalizzazione funzioni per tutti, alla fine non funzionerà per nessuno”(Kofi Annan). Mai come in questo momento, dopo oltre due anni di pandemia, tra i rischi legati al cambiamento climatico e un nuovo conflitto nel cuore dell’Europa, tale esigenza appare in tutta la sua urgenza.

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  1. Davide de Caro

    Una riflessione. Si collega generalmente la proposta di direttiva in esame alla violazione dei diritti umani dei lavoratori, lungo la catena di fornitura (e sub fornitura). Il caso Rana Plaza citato lo rappresenta icasticamente.
    Mi pare però opportuno evidenziare che la copertura della proposta sia più ampia poiché il tema diritti umani in generale non viene circoscritto in senso oggettivo (lavoratori, che certo sono i primi esposti)  ma soggettivo (cioè per le operazioni svolte dalle società, loro controllate e dai partner delle catene del valore). Quindi la valutazione di due diligence riguarda ogni ambito in cui una violazione possa avvenire, oltre la categoria dei lavoratori, ovvero popolazione locale. Impatto negativo sull’ambiente, altro tema direttiva, poi riveste pari importanza e amplia ulteriormente contesto applicativo. Grazie di un riscontro

    • Gent.mo, la ringraziamo per la precisazione. Come infatti evidenziato nell’articolo, la proposta di direttiva riguarda gli impatti negativi sull’ambiente e sulle persone. Dal punto di vista delle persone, confermiamo che la direttiva non solo andrebbe a toccare le violazioni che riguardano i lavoratori, ma anche quelle che hanno un impatto sulle comunità locali e la società civile in senso più ampio. Dal punto di vista ambientale, è opportuno sottolineare che la proposta di direttiva inserisce anche degli obblighi per quanto riguarda aspetti legati al cambiamento climatico. Nel nostro articolo, ci siamo concentrate su un esempio concreto per sottolineare come l’introduzione della proposta di direttiva potrebbe impattare simili situazioni. Rimangono naturalmente altri ambiti da analizzare che potremo sviscerare in futuro. Grazie per il suo commento. Natalia Bagnato, Maria Pia Sacco

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