L’esame dei flussi del mercato del lavoro può aiutare a comprendere le trasformazioni del sistema produttivo. Per esempio, consente di analizzare gli effetti della crisi dovuta alla pandemia e di evidenziarne le differenze rispetto ad altre recessioni.
Una continua riallocazione dei posti di lavoro
Nella lettura degli andamenti del mercato del lavoro, ci si concentra generalmente sulle variazioni dell’occupazione.Tuttavia, solo con un’attenta analisi dei flussi lordi (ovvero i posti di lavoro creati e distrutti) si è in grado di cogliere le trasformazioni strutturali del sistema produttivo, anche in risposta a shock esterni. Spesso hanno infatti effetti diversi fra settori o tipologie di imprese: anche durante una crisi pervasiva come quella da Covid-19, molte imprese hanno ridotto i livelli di attività, mentre altre hanno registrato una crescita occupazionale.
In questo articolo, che riprende alcune analisi pubblicate qui e qui, valutiamo la capacità dell’economia italiana di allocare in modo efficiente i posti di lavoro tra imprese e settori nell’arco di quasi quarant’anni, avvalendoci di misure sviluppate da una letteratura consolidata (per esempio Davis e Haltiwanger, 1992). L’idea è che, in qualsiasi momento, nel mercato convivono sia la creazione (attraverso l’entrata o l’espansione delle imprese), sia la distruzione di posti di lavoro (attraverso l’uscita o la contrazione delle imprese), e che queste spinte inducano una continua “riallocazione” dei posti di lavoro tra imprese e settori. La nostra analisi consente, tra l’altro, di caratterizzare gli effetti della crisi pandemica e di evidenziarne le differenze rispetto ad altri episodi recessivi. Ne derivano almeno quattro importanti risultati.
I quattro risultati
Il primo è che il mercato del lavoro italiano si caratterizza per un grado di mobilità e dinamismo, misurato dalla riallocazione, in linea con le altre economie avanzate (inclusi gli Stati Uniti), anche se in leggero rallentamento a partire dalla crisi finanziaria globale (2008).
Contrariamente a quanto comunemente si pensa, il mercato del lavoro italiano “si muove” e lo ha sempre fatto, spinto della elevata natalità e mortalità delle imprese e dai flussi generati da aziende molto piccole, non soggette ad alti costi di licenziamento, che costituiscono da sempre una parte rilevante della nostra economia.
Secondo, il confronto tra gli andamenti dei flussi di posti di lavoro nelle fasi recessive degli ultimi quarant’anni (Figura 1) indica che, durante la crisi pandemica, è cresciuta in modo significativo la distruzione di posti di lavoro, a causa dei mancati rinnovi dei contratti a tempo determinato (si veda anche il lavoro di Basso et al, 2021) e dell’aumento nelle dimissioni volontarie.
Durante la pandemia, l’uscita delle imprese dal mercato ha contribuito alla distruzione di lavoro in misura largamente inferiore rispetto a precedenti episodi recessivi; infatti, la mortalità delle imprese si è molto ridotta per effetto delle misure di incentivo e regolamentari introdotte in risposta alla crisi sanitaria. Inoltre, la creazione di posti di lavoro ha frenato bruscamente, sia per la contrazione della natalità delle imprese, sia per l’interruzione dei sentieri di crescita delle imprese esistenti. Occorre, tuttavia, ricordare che la definizione di posto di lavoro utilizzata nelle nostre analisi esclude i cassintegrati a zero ore, in quanto una posizione lavorativa è visibile nei micro dati solo se fornisce un input positivo di lavoro. Questo comporta una sovrastima della distruzione e della creazione di posti di lavoro rispettivamente nel secondo trimestre del 2020 e nel secondo trimestre del 2021.
In sintesi, il dinamismo del sistema produttivo italiano, misurato attraverso la riallocazione dei posti di lavoro (Figura 1), durante la pandemia, è diminuito molto più rapidamente che nelle recessioni precedenti, principalmente a causa delle misure dei governi volte a preservare il potenziale produttivo.
Figura 1 – Creazione, distruzione e riallocazione di posizioni lavorative
Terzo, la crisi pandemica ha determinato una riallocazione dei posti di lavoro tra diversi comparti, coerentemente con la natura settoriale dello shock. In particolare, si sono osservati spostamenti verso i servizi di informazione e comunicazione (Ict) e verso le costruzioni. Nel primo caso, i movimenti sono scaturiti dai cambiamenti strutturali indotti dalla transizione digitale e potrebbero portare a conseguenze positive in termini di produttività, nel secondo sono stati influenzati in larga misura dagli incentivi fiscali.
Da ultimo, la distruzione delle posizioni lavorative durante la pandemia è stata diffusa e ha coinvolto anche le imprese più produttive, ma in misura minore. Gli andamenti sono in linea con quanto osservato in altre economie avanzate, dove la dinamica occupazionale è stata, in termini relativi, più favorevole per le imprese più produttive, per i settori ad alto contenuto digitale e con alta propensione all’utilizzo del lavoro agile.
È ancora presto per valutare quali siano stati gli effetti sulla produttività aggregata della ricomposizione settoriale indotta dallo shock pandemico, non solo perché i settori coinvolti si caratterizzano per livelli di efficienza molto diversi (bassi nelle costruzioni, alti nei servizi Ict), ma anche perché in parte potrebbero essere transitori, come ci si aspetta per le costruzioni, e in parte permanenti, come per i servizi Ict.
L’analisi evidenzia però con chiarezza che un attento esame dei flussi del mercato del lavoro può essere di grande aiuto per comprendere le trasformazioni del sistema produttivo e il contributo che la riallocazione dei lavoratori dà alla crescita della produttività. Governare questi flussi o, semplicemente, contrastarne i potenziali effetti negativi è compito di una politica che sia in grado di cogliere la complessità del sistema. È per questo che continuare a pubblicare indicatori sui flussi delle posizioni lavorative e migliorare la conoscenza di queste dinamiche può essere di grande aiuto, soprattutto in un paese che ha l’esigenza di far ripartire la sua produttività.
*Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità della Banca d’Italia o l’Inps.
*Questo articolo è pubblicato in contemporanea sul Menabò di Etica-Economia.
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Savino
Più che una pandemia è stato un pandemonio economico. Dal punto di vista amministrativo è stato gestito malissimo con un solo titolo “confusione Italia”, prendendosela col comune cittadino e lavoratore che non aveva responsabilità. Chi, invece, ha avuto la responsabilità di distruggere interi settori economici è ancora al suo posto e viene ingiustificatamente premiato. La necessità di avere persone competenti ,nei ruoli di Governo e nella P.A., e che conoscano davvero le realtà produttive che portano avanti il Paese è la lezione da apprendere. Bisogna svegliarsi alle 5 del mattino e non a mezzogiorno, come fanno in Italia, per essere classe dirigente di una certa rilevanza.