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Il pendolo dei voucher

Il governo vuole agevolare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro nella fascia professionale più bassa tornando ad allargare le maglie della disciplina del lavoro occasionale. Gli effetti andrebbero verificati applicando il metodo sperimentale.

Breve storia di una norma travagliata

Quando, nel 2003, il “lavoro accessorio” fu introdotto nel nostro ordinamento sulla base del modello belga, poteva essere utilizzato per una serie molto limitata di attività tassativamente indicate dal legislatore, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro o in procinto di uscirne: per esempio, disoccupati di lunga durata, studenti, immigrati extra-comunitari, pensionati, disabili. Il lavoro accessorio poteva essere utilizzato soltanto fuori dall’impresa, per pagare il lavoro in famiglia come baby sitting, giardinaggio, lezioni private, manutenzione, o presso gli enti senza fini di lucro. La sua durata massima era assai ristretta: 30 giorni in un anno solare. Si configuravano come rapporti di natura meramente occasionale e accessoria solo quelli che non superassero il compenso di 5 mila euro nel corso di un anno solare, innalzato a 10 mila per il lavoro reso in favore di un’impresa familiare. Entro questi limiti, il compenso poteva essere pagato mediante buoni-lavoro, i cosiddetti voucher, che includevano anche la contribuzione assicurativa e previdenziale. Ne era escluso il lavoro in agricoltura; ma a partire dal 2005 pensionati e studenti potevano essere ingaggiati e pagati con i voucher anche per la vendemmia.

Nel 2008 con la legge n. 133 si amplia il novero dei soggetti che possono essere ingaggiati e pagati con i voucher. Nel 2009 con la legge n. 33 si consente l’utilizzo dei voucher anche alle imprese. Per le imprese familiari resta il tetto di 10 mila euro, mentre quelle agricole possono utilizzare lavoratori di questo tipo non solo per le attività di carattere stagionale ma anche per l’intero ciclo produttivo compresa la trasformazione e commercializzazione dei prodotti, nel limite di 5 mila euro nel corso dell’anno solare. Nel 2010 si autorizza l’uso dei voucher anche per pagare prestazioni di lavoro accessorio rese in favore di un committente pubblico, per la vendita porta a porta, per il lavoro svolto nei maneggi, nelle scuderie e negli stadi. In via sperimentale (ma chi ha misurato gli effetti?) per il 2009, il lavoro accessorio può essere prestato in tutti i settori produttivi e anche verso la pubblica amministrazione dai percettori di cassa integrazione, nel limite di 3 mila euro di compenso nell’arco dell’anno.

Con la cosiddetta legge Fornero, del 2012, la norma cambia di nuovo, con l’obiettivo di semplificare la disciplina, ma anche di contrastare le pratiche elusive di obblighi contributivi e fiscali. Vengono aboliti tutti i limiti soggettivi e oggettivi: quindi tutti possono prestare lavoro accessorio nei confronti di chiunque e in tutti i settori produttivi. Ma si introducono nuovi limiti quantitativi: il tetto massimo per ogni prestatore di lavoro è di 5 mila euro. Fermo restando questo limite, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti le prestazioni non possono invece superare il compenso annuo di 2 mila euro.

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L’avvento della piattaforma Inps per il lavoro occasionale

Nel 2014 il ministro Poletti decreta la liberalizzazione del lavoro accessorio con la soppressione del requisito della sua “natura meramente occasionale” e con l’innalzamento del limite riferito al compenso. Con il Jobs act, il limite per ogni lavoratore è portato a 7 mila euro nel corso dell’anno civile (non più solare) riferito alla totalità dei committenti, 2 mila euro rivalutati annualmente per singolo committente se questo è un imprenditore o un professionista. Il costo del voucher per il datore di lavoro è fissato a 10 euro l’ora lordi.

L’esplosione del numero di voucher attivati che si registra nel 2016 dà il via a una campagna mediatica fortemente critica, cui fa seguito la promozione del referendum abrogativo da parte della Cgil. Nel 2017 il governo Gentiloni abroga la vecchia disciplina, introducendone una nuova (che verrà modificata nel 2018 dal “decreto Dignità”) volta ad appesantire i passaggi amministrativi per rendere tracciabile l’utilizzo del lavoro occasionale mediante una piattaforma gestita dall’Inps, eliminando il sistema cartaceo dei buoni lavoro. Ne viene anche drasticamente ridotto il campo di applicazione con l’esclusione dall’utilizzo dei voucher di tutte le imprese con più di 5 dipendenti; viene riportato il tetto a 5mila euro complessivi per ciascun prestatore e ciascun utilizzatore; e viene fissato il limite di ore annue lavorabili a 280 (pari a 35 giorni), distinguendo tra il lavoro occasionale svolto per le imprese il cui valore è pari a 9 euro lorde l’ora e quello svolto per le famiglie, che vale 10 euro lorde l’ora.

Il nuovo intervento

Ora, la manovra presentata dal governo Meloni interviene sulla disciplina delle prestazioni occasionali limitandosi a introdurre alcuni necessari correttivi: la norma garantisce maggiore flessibilità alle imprese, soprattutto nei settori ad alta stagionalità, e maggiore trasparenza ai lavoratori. Non va dimenticato, infatti, che rispetto al passato se i lavoratori occasionali lavorano più di 12 ore al mese devono essere informati prima dell’inizio della prestazione su tutti gli aspetti di disciplina del rapporto di lavoro, compresa la paga oraria, la durata e la collocazione temporale della prestazione, in applicazione del decreto 104/2022 che recepisce una direttiva europea.

Una prima novità riguarda il tetto ai compensi. La norma torna a innalzare da 5 mila a 10 mila euro la somma complessiva che ciascun utilizzatore può pagare in riferimento alla totalità dei prestatori occasionali di cui si avvale in un anno civile. Resta invariato il limite di 2.500 euro per il compenso che ciascun lavoratore può ricevere dallo stesso utilizzatore.

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La seconda novità riguarda il limite della dimensione dell’impresa che può fare ricorso al contratto per prestazioni di lavoro occasionale: il numero massimo dei dipendenti passa da 5 a 10 e si applica anche agli alberghi e alle strutture ricettive per le quali il “decreto Dignità” aveva innalzato il limite a 8 dipendenti.

La terza novità riguarda il lavoro in agricoltura. In questo settore il lavoro occasionale può essere svolto da tutti, indipendentemente dall’età e dalla condizione soggettiva, per un periodo non superiore a 45 giorni nell’anno solare e il compenso giornaliero pattuito dalle parti non può essere inferiore alla misura minima fissata per la remunerazione di tre ore lavorative, anche qualora la durata effettiva della prestazione giornaliera sia inferiore.

Quali sono gli effetti della semplificazione?

Di fronte a questo continuo oscillare del pendolo nell’arco dell’ultimo ventennio, col divampare di inconcludenti polemiche a ogni modifica legislativa, vien da chiedersi se non sia il caso, una buona volta, di sottrarre la questione alle dispute ideologiche che accompagnano ogni riforma di istituti lavoristici, sottoponendo la misura a una sperimentazione scientifica degli effetti secondo lo stesso metodo che si applica per l’autorizzazione all’uso dei farmaci. Si tratterebbe di applicare la norma in una zona sufficientemente ampia, per esempio una provincia, ed effettuare il confronto di quanto accade in questa zona con quanto accade in un “campione di controllo” statisticamente identico. Solo così sapremo se e quanto i voucher hanno, oppure no, un effetto sostitutivo o destrutturante rispetto al lavoro ordinario, e dunque quanto sono utili per favorire e rendere trasparente il lavoro nelle fasce professionalmente più basse.

A tale riguardo vale la pena richiamare la “Dichiarazione”sottoscritta da una trentina di giuslavoristi, costituzionalisti ed economisti del lavoro, a conclusione di un convegno del 2011 organizzato dalla Fondazione Giuseppe Pera, nella quale si afferma non soltanto l’opportunità dell’applicazione del metodo sperimentale per testare gli effetti delle misure progettate in materia di lavoro o di politica sociale, ma anche la piena legittimità costituzionale della differenziazione temporanea e sperimentale della disciplina necessaria per applicare il metodo stesso.

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  1. bob

    “..vien da chiedersi se non sia il caso, una buona volta, di sottrarre la questione alle dispute ideologiche che accompagnano ogni riforma di istituti lavoristici, sottoponendo la misura a una sperimentazione scientifica degli effetti secondo lo stesso metodo che si applica per l’autorizzazione all’uso dei farmaci”
    Finalmente una proposta fatta con onestà intellettuale oltre che concreta che non perde di vista il mondo reale quotidiano, cosa che gran parte ,se non tutta la classe politica ha perso da tempo pensando solo ” alle prossime elezioni” e alle sedie da occupare non rendendosi conto che quelle sedie tra poco non ci saranno più

    • massa silenziosa

      Magari non ci fossero piu’ le loro sedie. Purtroppo prima prosciugheranno i conti dei cittadini se questi non smetteranno di pagare le tasse esose che tutti paghiamo, per mantenergli il voto di scambio con i nostri soldi.

  2. Marco

    I voucher fanno danni anche al sistema fiscale: siccome non sono soggetti all’Irpef potremo avere genitori che usufruiscono delle detrazioni per i figli a carico anche se questi ultimi hanno 14.000 di reddito (4.000 è il limite fino a 24 anni più 10.000 di voucher).
    Quindi diminuirà la domanda di lavoro vera e propria soprattutto verso la fine del 2023 perché chi non ha mai lavorato nei mesi precedenti sarà disincentivato fiscalmente a cercare un lavoro normale perché appunto si perde la detrazione per figlio o coniuge a carico e di conseguenza anche la detrazione sulle spese personali tipo le tasse e gli affitti universitari o le spese sanitarie perché normalmente solo sopra i 6-8.000 euro annui si paga l’Irpef e quindi si possono utilizzare le detrazioni e deduzioni fiscali (fenomeno dell’incapienza).

  3. Firmin

    Voucher, flat tax, cedolari secche e regimi di favore frammentano il sistema fiscale senza benefici in termini di semplificazione, trasparenza, lotta all’evasione e gettito. Prescindiamo da qualsiasi considerazione sulla equità di simili provvedimenti e concentriamoci sulla loro efficienza. Le recenti norme (in articolare voucher, estensione dei regimi di favore per gli autonomi, norme sul contante) creano forti incentivi alla costituzione di microimprese con personale precario e scambi prevalentmente in contanti, che è esattamnete il contrario di quello che ci vorrebbe per aumentare la produttività e la qualità della produzione in questo paese. Mentre il mondo va verso scambi virtuali (incluso il metaverso e le cryptovalute), catene del valore complesse ed economie di scala, noi ci rannicchiamo nel modello turco. Complimenti a tutti i governi che si sono succeduti dagli anni ottanta in poi.

  4. Renato Fioretti

    Mi chiedo perché mai, nel nostro Paese, debba essere a tutti consentita la possibilità di prendere in giro l’ignaro lettore ed offendere l’intelligenza di chiunque altro conosca almeno l’ABC dell’argomento trattato. In questo senso, si presenta quale straordinaria (se non rivoluzionaria) la sperimentazione scientifica degli effetti prodotti da una norma di legge che, già “temporanea” – con limiti ampliati in corso d’opera – e poi definitivamente “liberalizzata” da ogni vincolo, ha ampiamente dimostrato di avere avuto fini e destinazioni che nulla avevano a che vedere con la sua “natura”. Inoltre, è possibile che, a una così qualificata docente, possa sfuggire che, nel corso degli anni di ricorso ai voucher (dal 2008 al 2017), sono stati espressi autorevolissimi pareri – sostanzialmente negativi – anche da parte di moltissimi interlocutori istituzionali e non solo, come erroneamente riportato, dalla Cgil? Basti ricordare il Direttore dell’Inps Liguria, secondo il quale, già nel 2013, “vista l’entità del fenomeno, c’è il rischio che i voucher si utilizzino al posto di forme di lavoro più strutturate”. E Tito Boeri (all’epoca Presidente Inps bolscevico?) secondo il quale, nel 2015, i voucher rischiavano di diventare la nuova frontiera del precariato? Lo stesso Boeri che, nel 2017, confermava che solo il 3% dei milioni di voucher in circolazione era riferibile all’uso da parte di famiglie? E che dire dell’allora Presidente ANCE (Associazione costruttori edili), Gabriele Buia, il quale sosteneva che i voucher non servivano nel suo settore ed andavano eliminati? Sperimentare, quindi! Per accertare cosa? Che le centinaia di milioni di voucher attivati fino al 2017 (oltre 400 mln) erano serviti esclusivamente per incancrenire situazioni di precariato/povero senza, peraltro, alcun vantaggio o diritto a favore dei milioni di lavoratori coinvolti?

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