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Italiani in deficit di educazione finanziaria

Milioni di famiglie fanno i conti con le conseguenze della stretta monetaria della Bce. Per comprenderne bene le implicazioni servirebbe un’adeguata educazione economica e finanziaria. Che in Italia manca. La scuola dovrebbe dedicarvi più attenzione.

Tassi di interesse e mutui

Nel 2019 la medaglia John Bates Clark come migliore economista “under 40” in America è stata assegnata a Emi Nakamura. La giovane studiosa dell’Università della California aveva conseguito il suo dottorato di ricerca non molti anni prima, nel 2007, proprio all’inizio della crisi finanziaria. Non un buon momento per cominciare una carriera da economista, osservò il settimanale britannico The Economist intervistandola. Nemmeno per sogno, rispose lei. Era un ottimo momento: la macroeconomia è una disciplina anticiclica. L’interesse per le questioni economiche cresce proprio in tempi di crisi.

Se è vero che l’interesse per l’economia aumenta in maniera inversa alla crescita del prodotto interno lordo e in misura diretta rispetto alle pressioni al rialzo sul tasso di disoccupazione, è altrettanto vero che l’attenzione alla politica monetaria cresce insieme all’incremento dei tassi di interesse manovrati dalle banche centrali e alle rate dei mutui a essi collegati.

L’Italia non fa eccezione. Negli ultimi mesi il nome della presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde è diventato molto familiare a tutti. Le parole da lei pronunciate nel corso delle conferenze stampa vengono soppesate, commentate, chiosate non solo da investitori e analisti, ma anche da giornali e siti non specialistici, dai politici, dai comuni cittadini.

Non deve sorprendere. È difficile sottovalutare l’importanza che questi temi hanno sia per l’economia nel suo complesso, sia per le condizioni materiali di vita di milioni di persone. Secondo un recente studio condotto dalla Fabi – Federazione autonoma bancari italiani, circa 3,5 milioni di famiglie italiane (su di un totale di 25,7 milioni) hanno sottoscritto un mutuo per l’acquisto della casa. Prendendo in considerazione anche altre forme di finanziamento, come il credito al consumo e i prestiti personali, sono 6,8 milioni i cittadini indebitati, circa il 25 per cento del totale.

Le famiglie che avevano acceso un mutuo a tasso variabile hanno naturalmente visto aumentare in maniera significativa la propria spesa mensile. Per non parlare delle condizioni applicate alle nuove sottoscrizioni. Il nome di Christine Lagarde è diventato dunque non solo conosciuto, ma anche temuto, dal momento che stiamo assistendo al ciclo di più rapidi incrementi dei tassi di interesse della storia della Bce. Fra il 2006 e il 2008 il tasso sui depositi presso la Bce (il benchmark più rilevante nell’attuale contesto) è aumentato di 175 punti base in 2 anni e 4 mesi. Fra il 1999 e il 2000 è salito di 225 punti base in 10 mesi. Nei soli ultimi 6 mesi è invece aumentato di 300 punti base, rincorrendo un incremento senza precedenti dell’inflazione (figura 1).

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Nota: l’inflazione è calcolata sulla base dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo in termini aggregati (Eurozona).
Fonte: elaborazioni proprie a partire da dati Bce
 

Il basso livello di alfabetizzazione finanziaria

Per orientarsi nel dibattito, a volte costellato da tecnicismi e meccanismi spesso poco intuitivi, sarebbe necessaria un’adeguata educazione economica e finanziaria.

Da una indagine condotta dall’Ocse (2020), l’Italia risulta invece il paese con il più basso livello di alfabetizzazione finanziaria (figura 2). In merito al concetto di tasso di interesse – i cui aumenti innescati della Bce si fanno appunto sentire in modo significativo sulla spesa di molte famiglie e imprese – l’indagine ha sottoposto al campione rappresentativo tre domande con grado di complessità leggermente crescente: (i) se presti 25 euro e il giorno dopo ti viene restituita la stessa somma, qual è il tasso di interesse? (ii) se versi 100 euro in un conto corrente che ti rende il 2 per cento annuo, quale sarà la somma disponibili dopo un anno? (iii) e quale sarà la somma disponibile dopo 5 anni?

Solo 4 italiani su 5 (78,2 per cento) hanno risposto correttamente alla prima domanda, 3 su 5 (59,4 per cento) alla seconda e poco meno di 1 su 4 (23,1 per cento) alla terza. Facendo una semplice media, possiamo affermare che solo un italiano su due ha una conoscenza basilare del concetto di tasso di interesse. In questo quadro, i giovani e i gli individui con reddito più basso rappresentano le due categorie – spesso sovrapposte – che tendono a soffrire di più le conseguenze di una carente alfabetizzazione finanziaria: i primi sono quotidianamente esposti a un rischio di eccessivo e inconsapevole indebitamento, allettati da offerte di società come Klarna e PayPal che rendono il pagamento virtuale relativamente facile e immediatamente rateizzabile; i secondi hanno spesso difficoltà nel conoscere, e quindi nell’utilizzare correttamente, i prodotti finanziari (dal semplice conto corrente elettronico a piani di investimento o di previdenza complementare).

Figura 2 – Alfabetizzazione finanziaria e comprensione del concetto di tasso di interesse

Nota: i paesi sono stati ordinati in senso decrescente sulla base del livello di alfabetizzazione finanziaria. La comprensione del tasso di interesse è stata calcolata come media della percentuale di risposte corrette che gli intervistati hanno dato a tre domande relative a questo concetto.
Fonte: elaborazioni proprie a partire da dati Ocse (2020)

Il ruolo della scuola

C’è poi una prospettiva che esula da questioni di stretta “economia domestica” e individuale e interroga l’idea stessa di cittadinanza democratica al centro del nostro contratto sociale.

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Nel 2019 in Italia è stata approvata una legge sull’“educazione civica” nelle scuole, poiché – come recita l’articolo 1 della norma – “l’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità”. Potrebbe essere questa la cornice entro cui incardinare l’insegnamento di tematiche economiche e finanziarie anche in scuole dove queste non sono comprese negli insegnamenti curriculari. Ma la legge precisa che dalla sua attuazione “non devono derivare incrementi o modifiche dell’organico del personale scolastico, né ore d’insegnamento eccedenti rispetto all’orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti”. Gli argomenti che il nuovo insegnamento dovrebbe coprire in 33 ore annuali sono numerosissimi: dalla “Costituzione” e “le istituzioni dell’Unione Europa”, all’“educazione ambientale” alla “formazione in materia di protezione civile”, fino all’“educazione stradale”. Difficilmente sarà questa la cornice in cui potrà essere sviluppata una seria educazione economica e finanziaria.

Eppure, queste competenze sono fondamentali anche per la comprensione di materie più tradizionali, le cui credenziali pedagogico-formative nessuno si sognerebbe di mettere in discussione. Per esempio, si può capire la storia moderna e contemporanea senza sapere nulla di economia? Senza sapere come funziona il bilancio dello stato, come opera una banca centrale? Senza avere idea di che cosa sia il mercato azionario o come possono essere organizzati diversi sistemi fiscali o pensionistici? Noi crediamo di no.

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  1. Laura Sala

    Sottoscrivo integralmente. L’educazione finanziaria di base è necessaria a formare cittadini consapevoli e ne guadagna la democrazia. Nel 2017 con legge dello Stato è stato costituito il Comitato per l’educazione finanziaria guidato dalla professoressa Anna Maria Lusardi, che insegna alla George Washington University, grande esperta del settore. Un’italiana di cui andare fieri. Ma i diversi ministeri che fanno parte del Comitato non hanno mai mostrato particolare interesse, purtroppo.

    Laura Sala.

  2. Antonio D'Aronco

    La scuola dovrebbe dedicare più attenzione all’educazione finanziaria, certo. Questo vale per gran parte delle scuole, come i licei, che non la trattano affatto. Ma non esistono solo i licei in Italia, non dimentichiamolo: negli Istituti Tecnici Economici, che pure raccolgono molti iscritti, l’educazione finanziaria è parte integrante dei suoi programmi. Mi piacerebbe che ogni tanto lo si potesse ricordare.

  3. Giovanni Governatori

    Sono un prof delle superiori. Ci risiamo! Questa è l’ennesima educazione che viene richiesta alla scuola. Per carità, non è sbagliato, anzi! Solo che la scuola italiana deve fare i conti con l’orario che, per quanto riguarda la scuola superiore, è sempre limitato alle sei ore mattutine. Quindi?

  4. Ma perché si continua ad usare il termine “educazione” invece di “istruzione”? una calco dall’inglese che impoverisce la nostra lingua.

  5. lolazzaro

    Le risposte a quelle tre domande però dipende da concetti di matematica che fanno già parte dei programmi scolastici. Le percentuali si fanno alle medie, poi serve aver sentito parlare del concetto di interesse che al peggio può essere accennato con l’aneddoto sull’origine del numero di Eulero ma quello é nel programma di (alcune?) superiori.
    Non credo che questo problema afferisca alle ore di educazione civica (quelle servono a spiegare che non si elegge il capo del governo).

    I concetti di economia necessari per studiare la storia, possono essere insegnati in storia.

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