Le liste d’attesa sono il risultato delle risorse limitate del sistema sanitario. I pochi fondi a disposizione vanno certo utilizzati bene. Ma alcuni interventi delle regioni finiscono per danneggiare le strutture più efficienti e di qualità.
Perché si allungano le liste d’attesa
La sanità è una risorsa scarsa. Ogni sistema sanitario deve fare i conti con questa realtà, che per alcuni può essere scontata, per altri fastidiosa e per altri ancora neanche da prendere in considerazione. Lo deve fare anche il servizio sanitario nazionale italiano, ancorché ispirato ai principi di universalità dell’accesso alle cure ed esenzione dal pagamento delle prestazioni per i pazienti. Dunque, l’offerta non può essere infinita, ma è appunto vincolata dalla disponibilità di risorse e finanziamenti. Si può argomentare che i fondi dovrebbero essere aumentati, ma per ogni dato livello di spesa, sarà sempre necessario compiere delle scelte. Per questo, esistono alcuni meccanismi per limitare la domanda. Il ticket sanitario, per esempio, è una forma di compartecipazione al pagamento che, oltre a fornire al Ssn poche risorse aggiuntive per erogare prestazioni, tenta di scoraggiare la domanda di quelle non strettamente necessarie, facendo leva sul sistema dei prezzi.
Il principale di tutti questi meccanismi di barriera all’entrata, tuttavia, è dato dalle liste d’attesa. Quanto più si amplia la differenza tra domanda di cure e risorse a disposizione del Ssn per offrirle, tanto più le liste d’attesa si allungano.
Oggi, in Italia le liste d’attesa sono molto lunghe. Per fare solo alcuni esempi, stando ai dati di Cittadinanzattiva, prima della pandemia per un intervento chirurgico per tumore alla mammella l’attesa media era di circa 27 giorni, con un massimo di 56 giorni in Sardegna e un minimo di 16-17 giorni in Molise e nelle province autonome di Trento e Bolzano. Per un intervento per tumore alla prostata, l’attesa media era di 53 giorni, con attese medie massime che in Abruzzo raggiungevano i 79 giorni e attese minime che in Molise erano intorno ai 15 giorni. Il Covid ha aggravato la situazione e oggi si fanno sforzi per tornare almeno ai livelli pre-pandemici.
Le “multe” della Regione Lombardia
La situazione è difficile in tutte le regioni e tutte sono in cerca di soluzioni: complessivamente, l’anno scorso oltre 4 milioni di italiani hanno rinunciato a cure di cui avevano bisogno (e a cui avevano diritto).
La natura regionale del Ssn ha determinato il proliferare di approcci alternativi. La Regione Lombardia, nel corso del 2022, ha approvato due delibere che hanno come obiettivo quello di penalizzare i ritardi, “sanzionando” (per così dire) le strutture che ne sono responsabili. Il loro effetto è analizzato in uno studio dell’Istituto Bruno Leoni. Il sistema lombardo si fonda sul principio per cui a ogni prestazione erogata da strutture sanitarie pubbliche e private accreditate corrisponde una remunerazione da parte della regione (in particolare delle Ats). Stando alle due delibere, per le prestazioni erogate in ritardo viene decurtata una percentuale della remunerazione prevista che va dal 5 al 50 per cento ed è funzione dei giorni di ritardo e della classe di urgenza della prestazione.
Il fondamento logico dell’intervento sta nell’introdurre un incentivo monetario – evitare la decurtazione della tariffa – per stimolare un comportamento desiderato – erogare nei tempi previsti secondo le classi di urgenza. Ma gli incentivi possono avere conseguenze non intenzionali perverse se non viene considerato il contesto in cui si calano. Due aspetti sono fondamentali. In primo luogo, i ritardi nelle prestazioni sono una condizione data dalla scarsità di risorse in generale e dal budget limitato delle strutture in particolare. Alle strutture lombarde, come ovunque in Italia, viene assegnato un ammontare di risorse annuali oltre il quale non possono andare. In secondo luogo, i pazienti lombardi possono scegliere dove farsi curare e alcune strutture hanno costruito una reputazione su specifiche prestazioni. Non sorprenderà, dunque, che quelle strutture siano le più richieste per quelle specifiche prestazioni e di conseguenza quelle con le liste d’attesa più lunghe. Il risultato sarà la penalizzazione delle strutture migliori.
Lo studio analizza l’area oncologica e quella cardiologica. Nel primo caso, si vede che i primi dieci ospedali lombardi per volumi di interventi, ovvero quelli che potremmo definire “specializzati”, producono il 61 per cento del totale degli interventi; il restante 39 per cento di interventi è distribuito in altri 58 ospedali lombardi, che in media fanno volumi molto più bassi. Gli ospedali specializzati sono quelli con i tassi più bassi di mortalità post-intervento a 30 giorni: 1,72 per cento contro 2,24 per cento in media. Come atteso, questi ospedali specializzati sono anche quelli che subiscono la maggior parte delle penalizzazioni: circa 2,7 milioni di euro (72 per cento del totale) contro 1,1 milioni degli altri ospedali (28 per cento del totale). In area cardiologica si osserva lo stesso risultato: i primi 10 ospedali per volumi hanno tassi di mortalità inferiori agli altri: 1,15 per cento contro 1,64 per cento. I centri di riferimento dell’area cardiologica, i cui volumi sono maggiori e i cui indicatori di qualità sono migliori, subiscono il 79 per cento del totale delle penalizzazioni.
L’effetto finale sarebbe dunque quello di penalizzare le strutture migliori. Non sembra essere questo l’intento della regione e, non a caso, gli interventi legislativi regionali più recenti sembrano parzialmente correggere il tiro. Le liste d’attesa sono il naturale risultato delle risorse limitate del Ssn. Se da un lato ci si deve certamente domandare come far fruttare i pochi fondi a disposizione, dall’altro lato, sarebbe bene concentrarsi su interventi non controproducenti, che tengano conto della realtà in cui si inseriscono.
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Firmin
La strada per l’inferno burocratico è lastricata di buone intenzioni. Forse una soluzione efficiente potrebbe essere quella di stabilire un numero standard di interventi mensili o settimanali per ogni struttura e penalizzare il mancato raggiungimento dell’obiettivo. Ovviamente l’obiettivo deve essere sufficientemente “sfidante” e si possono prevedere dei premi per il suo superamento. In questo modo si eviterebbero disincentivi perversi proprio per le strutture più efficienti. Francamente non capisco perchè in Lombardia sia stato adottato un meccanismo così controproducente, che favorisce solo le strutture private non soggette a simili penalizzazioni. O forse è proprio per questo motivo?
bob
La strada per l’inferno burocratico…..si elimina togliendo potere alle Regioni e riportando prima di tutto questo Paese ad un concetto di Sistema- Paese. Questo non solo riguardo la sanità ma tante altre idiozie che sono solo assurdità senza logica. Ne cito due tra le più banali: le date dei saldi spezzettate senza alcun senso . La raccolta differenziata in una Regione la carta va in un contenitore la stessa carta in un altra ha una procedura diversa. Ma ci rendiamo conto?
Fausto Tagliabue
La verità è che se sei solvente (paghi di tasca tua) o hai una assicurazione che paga per, non devi attendere.
.Scaccabarozzi Umberto
Il PNRR prevede 18,5 miliardi per interventi nel settore della salute:attuazione di reti di prossimità per l’assistenza sanitaria territoriale e l’innovazione,ricerca e digitalizzazione del SSN. E’ prevista l’apertura di almeno 1350 Case della Comunità entro il 2026.Compito:promuovere un modello organizzativo di integrazione multidisciplinare.Sarà possibile incidere sulle liste di attesa per le prestazioni ambulatoriali? I MMG sono disposti a lavorare in équipe ? Prima di tutto occorre un nuovo curriculum formativo del futuro medico. Utile studiare l’esperienza del Portogallo.
Umberto Scaccabarozzi
Angelo
Una soluzione di cui ho sentito parlare, ma che non credo sia stata messa in pratica se non molto parzialmente, è quella di ampliare gli orari in cui poter effettuare alcune prestazioni. Soprattutto dove sono necessari macchinari costosi, l’idea di farli lavorare più ore al giorno potrebbe aiutare a ridurre le liste d’attesa e ad ammortizzare meglio e più velocemente il costo. Inoltre credo che il paziente potendo fare alcuni esami, faccio l’esempio di una radiografia o una TAC alle 8 di sera, potrebbe esserne contento e magari non dover prendere un permesso al lavoro. Ovviamente andrebbe valutato l’impatto sul personale medico, infermieristico e amministrativo, ma credo che una quadra si potrebbe trovare. Magari non arrivare ai 3 turni come nelle fabbriche metalmeccaniche dove bisogna ammortizzare i costi d’impianto facendoli lavorare a ciclo continuo a scapito della qualità di vita degli addetti, ma forse potrebbe esserci una via di mezzo.
Filippo D' Alessandro
Ho lavorato in un (ex) grande ospedale per 32 anni. Ho maturato una modesta considerazione: è il personale – medico, infermieristico, ausiliario e impiegatizio – a far andare avanti l’ ospedale e non le roboanti sparate degli amministratori regionali. Si è volutamente (dagli anni ’90 e continua tuttora) cercato di affossare la sanità pubblica a favore di quella privata. Ci sono riusciti benissimo! Semplice, no?