Conoscere le caratteristiche demografiche, occupazionali e patrimoniali di chi finora ha beneficiato del Rdc è cruciale per l’efficacia della nuova misura di contrasto alla povertà. Il ritratto tracciato dall’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane.
I beneficiari del Rdc nell’Indagine di Banca d’Italia
Il Reddito di cittadinanza sarà presto sostituito da una nuova misura di contrasto alla povertà. Nell’ottica di disegnare uno strumento alternativo, è importante avere informazioni sulle caratteristiche di coloro che finora ne hanno beneficiato. Le informazioni non sono purtroppo facilmente disponibili.
L’Indagine del 2020 sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia fornisce alcuni dati sulle persone e le famiglie che hanno percepito il Reddito di cittadinanza, grazie a specifiche domande inserite nel questionario. Purtroppo, il campione di nuclei percettori è molto ristretto (177 famiglie percettrici; 87 famiglie che hanno fatto domanda di accesso senza ottenerlo) e quindi i risultati possono condurre in errore. Fra l’altro, trattandosi di risposte a un questionario, non è possibile l’incrocio con dati di fonte amministrativa. Nonostante i limiti, e vista la scarsità di informazioni da altre fonti, riteniamo però che questi dati forniscano indicazioni utili e nel complesso abbastanza accurate sulle caratteristiche demografiche, occupazionali e patrimoniali dei percettori, anche nel confronto con coloro che hanno fatto domanda di accesso al Rdc senza ottenerlo.
Le caratteristiche demografiche dei percettori che hanno risposto ai quesiti dell’Indagine sono coerenti con i dati aggregati forniti dall’Inps nell’Osservatorio sul Reddito di cittadinanza. La maggior parte dei nuclei beneficiari è residente nel Mezzogiorno (67 per cento) e si compone di più di due componenti (79 per cento). Tra gli individui che vivono nelle famiglie beneficiarie, circa il 10 per cento è cittadino straniero (una componente lievemente sottorappresentata rispetto ai dati di censimento anche nel resto della popolazione). I cittadini stranieri sono invece circa il 15 per cento tra i richiedenti non beneficiari, a testimonianza di come lo stringente requisito di residenza di 10 anni sembra aver precluso l’accesso allo strumento da parte degli immigrati.
Quasi l’80 per cento dei percettori ha al massimo un titolo di studio di scuola secondaria inferiore, contro il 41 per cento nel resto della popolazione. I bassi livelli di istruzione sono direttamente correlati con le difficoltà dei percettori a inserirsi nel mondo del lavoro. Secondo l’indagine, l’85 per cento dei percettori tra i 18 e i 67 anni ha dichiarato di non essere occupato al momento dell’intervista. Tra i pochi occupati, l’incidenza del part-time e del tempo determinato è significativamente maggiore rispetto ai richiedenti non beneficiari e al resto della popolazione.
Il tasso di occupazione
Per un sottoinsieme di 99 famiglie, è possibile osservare l’evoluzione di alcune variabili tra l’indagine del 2016 e quella del 2020. Nei quattro anni considerati, tra i percettori e i richiedenti non beneficiari si è registrato un calo del tasso di occupazione di poco superiore ai 5 punti percentuali (tabella 1). Nel resto della popolazione la quota degli occupati è invece aumentata. La percentuale di coloro che non cercano un impiego – gli inattivi – è lievemente salita tra i percettori, seppure con differenze tra le classi d’età, mentre si è sensibilmente ridotta tra i richiedenti non beneficiari, i quali in assenza del sussidio hanno avuto un incentivo maggiore a cercare attivamente lavoro.
Circa la metà dei beneficiari che hanno dichiarato di voler cercare un’occupazione nei successivi 12 mesi è disposta ad accettare un’offerta di lavoro inferiore a 9 euro orari, un valore soglia in linea con quello del salario minimo in discussione in Parlamento nel 2019. Tra gli individui con un salario di riserva superiore si concentrano soprattutto gli uomini, gli individui tra i 45 e i 54 anni e i nuclei monopersonali, i quali sono sottoposti a una tassazione implicita più elevata, dal momento che per loro l’importo del Rdc è relativamente più alto rispetto alle famiglie numerose.
La scarsa occupabilità dei percettori si riflette nella bassa quota di coloro che hanno sottoscritto, presso i centri pubblici per l’impiego, i patti di lavoro o di inclusione sociale che dovrebbero favorirne l’inserimento nel mondo lavorativo. Anche per via delle difficoltà di intervento dei centri per l’impiego, la quota di beneficiari eleggibili che ha sottoscritto i patti è pari a circa il 50 per cento, sia al Centro-Nord sia nel Mezzogiorno (figura 1).
Figura 1 – Sottoscrizione del patto di lavoro e di inclusione sociale per area geografica (valori percentuali)
Il sostegno al reddito
Nonostante le difficoltà di attuazione della parte di politica attiva, il Rdc ha rappresentato un importante sostegno per il reddito familiare. Tra i percettori, la misura ha infatti largamente compensato la caduta del reddito da lavoro osservato tra il 2016 e il 2020 (figura 2): il loro reddito medio, comprensivo dell’insieme dei trasferimenti pubblici ricevuti, è aumentato del 24 per cento, contro un calo del 21 per cento di quello dei richiedenti non beneficiari.
Figura 2 – Reddito medio familiare (prezzi 2020; valori in euro)
Il Reddito di cittadinanza ha anche sostenuto la spesa delle famiglie. Sebbene la quasi totalità degli intervistati abbia dichiarato difficoltà ad arrivare a fine mese, “solo” il 44 per cento è stato in arretrato con il pagamento delle bollette (gas, luce, telefono, ecc.), contro il 61 per cento tra i nuclei richiedenti non beneficiari. Infine, i percettori si distinguono per valori patrimoniali particolarmente esigui: la ricchezza netta media delle famiglie percettrici (inclusa la casa di proprietà) è pari a circa 25 mila euro, mentre è di quasi 360 mila euro per i nuclei non richiedenti.
La possibilità di avere informazioni tempestive sui percettori è fondamentale per valutare l’efficacia degli strumenti di contrasto alla povertà nel loro obiettivo di sostenere le famiglie in una situazione di difficoltà oggettiva. La disponibilità di accedere a dati di natura amministrativa può contribuire al disegno dello strumento che prenderà il posto del Rdc.
* Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia o il Sistema europeo di banche centrali.
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Savino
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