Lavoce.info

L’onda lunga del ’68 guarda a destra

Le azioni di Ultima Generazione o la critica alla meritocrazia ricordano alcuni aspetti del movimento studentesco del ’68. Ma alla lunga radicalizzazione, ideologismo e scontro generazionale sembrano aver prodotto opinioni politiche di segno opposto.

L’eredità del movimento studentesco 

Due recenti vicende apparentemente lontane tra loro – l’attivismo disobbediente dei giovani di Ultima Generazione e le critiche alla meritocrazia nella scuola – fanno venire in mente la protesta studentesca del ‘68: radicalismo (contro riformismo pragmatico), verità assoluta (contro verità provvisorie in quanto falsificabili), perequazione (contro differenziazione basata sul merito). Seguendo questa suggestione, ci sembra interessante discutere gli effetti di lungo periodo su opinioni e comportamenti degli individui di forti ondate ideologiche. Tra l’altro, proprio in questi giorni ricorre il 55° anniversario del Maggio francese.

In un nostro paper recente, scritto a sei mani con Guido de Blasio, abbiamo studiato l’impatto di lungo termine delle proteste studentesche sulle preferenze politiche degli individui. 

Il movimento studentesco è stato uno dei più importanti fenomeni culturali della seconda parte del Novecento. Ha preso le mosse a Berkeley nel 1964 per poi diffondersi in anni diversi in vari paesi occidentali, raggiungendo il suo apice nel 1968 e proseguendo fino alla fine degli anni Settanta. Si è caratterizzato per diversi tratti tipici della sinistra radicale, con forti spinte antiautoritarie e pacifiste. Nel corso del tempo, questi ideali hanno lentamente lasciato spazio ad aspetti poco edificanti, come la violenza politica. Cosa attendersi come lascito di un simile milieu culturale? Da un lato, ci si aspetterebbe una maggiore inclinazione a sinistra, verso i temi dell’equità e della redistribuzione. Dall’altro, la violenza politica potrebbe aver stimolato istanze securitarie, così come l’abbassamento dei criteri meritocratici (il “18 politico”), vissuto come ingiusto dai più meritevoli, potrebbe aver innescato una reazione opposta. Insomma, si tratta di un tema squisitamente empirico. 

L’indagine

Nello studio ci siamo concentrati su di un campione di paesi con alcune caratteristiche: buon grado di sviluppo economico (primo 25 per cento dei paesi per Pil pro capite nel 1965), istituzioni democratiche (sulla base dei dati del progetto Polity), presenza di proteste studentesche di massa (almeno un episodio nel periodo 1964–1972 secondo i dati Speed – Social, Political and Economic Event Database). La figura 1 mostra il numero delle proteste studentesche di massa per paese e anno per il campione oggetto di analisi. Il grafico relativo all’insieme dei paesi mostra chiaramente il picco del 1968. I dati dei singoli paesi mostrano anche una certa eterogeneità temporale, in certi casi con lunghe code negli anni successivi. 

Leggi anche:  Nel rapporto Ocse lo stato di salute del sistema educativo italiano

Figura 1 – Proteste studentesche di massa per paese

Per misurare le preferenze politiche dei cittadini abbiamo combinato i dati della European Social Survey (per i paesi europei) con quelli della World Value Survey (per gli altri). La tecnica econometrica utilizzata è basata sull’ipotesi, suffragata da diversi studi di psicologia, che quanto accade nella vita di un individuo tra i suoi 18 e i suoi 25 anni (i cosiddetti “impressionable years”) abbia un impatto molto duraturo su opinioni e comportamenti individuali. Sotto questa ipotesi, sfruttando il fatto che le proteste hanno avuto luogo in momenti diversi in paesi diversi (figura 1), è possibile isolare l’impatto di lungo termine del movimento studentesco, tenendo conto anche di tanti altri fattori che influenzano comportamenti e opinioni quali età, genere, nazionalità. Per esempio, i risultati non dipendono dal fatto che al crescere dell’età si tende verso opinioni di stampo più conservatore.

Agli intervistati è stato chiesto di posizionarsi in un range da 0 a 10 rispetto a diverse affermazioni relative al posizionamento politico lungo l’asse sinistra-destra. La figura 2 riporta i principali risultati dell’analisi. Per ciascuna dimensione di posizionamento politico (in ascisse), il grafico riporta la differenza media tra le risposte di chi è stato maggiormente “esposto” al movimento studentesco (perché i suoi “impressionable years” hanno incrociato le proteste in certi anni e in certi paesi: chiamiamoli “trattati”) e chi lo è stato meno (“controlli”). Le barre verticali rappresentano gli intervalli di confidenza al 95 per cento. La prima linea mostra che, nel lungo termine, i “trattati” si collocano più a destra dei “controlli” e che la differenza, pur piccola in assoluto, è statisticamente significativa. Le risposte successive indicano diverse possibili declinazioni di preferenze politiche di stampo conservatore. Di queste, per due troviamo un impatto positivo e significativo (“ampie differenze di reddito fungono da incentivo” e “il duro lavoro permette di migliorare le proprie condizioni di vita”), mentre per le altre l’impatto è statisticamente nullo. Riassumendo: essere stati esposti al movimento studentesco con epicentro nel 1968 porta, nel lungo periodo e relativamente a un opportuno gruppo di controllo, a una leggera preferenza per posizioni conservatrici e, in particolare, porta a vedere le differenze di reddito come incentivi e a ritenere gli esiti di vita individuali come il frutto del proprio lavoro (“faber est suae quisque fortunae” dicevano i latini). 

Leggi anche:  Economia aziendale, una disciplina in evoluzione

Figura 2 – Impatto del movimento studentesco su orientamenti politici

Non siamo in grado di documentare in base a quale meccanismo chi è stato esposto agli anni formidabili abbia poi maturato opinioni politiche in parte opposte. Magari l’appiattimento antimeritocratico ha prodotto una reazione contraria in coloro che non hanno visto riconosciuto il proprio valore dal sistema scolastico; oppure, le rappresentazioni più estreme, come ad esempio quelle legate all’uso della violenza negli anni Settanta, hanno generato una reazione contraria di “legge e ordine”. In ogni caso, i nostri risultati suggeriscono che il radicalismo è una modalità di creazione di convinzioni durature poco efficace.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'integrazione delle seconde generazioni passa dal sei in italiano

Precedente

Calcio in tv: come cambia il mercato

Successivo

Gare per i trasporti locali? Se ne riparla tra dieci anni

  1. Savino

    Già dal 1994 in poi con Berlusconi al potere era possibile notare quanto scritto nell’articolo. L’immaginazione (e l’illusione) al potere è stata incarnata dal Cav e tanti borghesotti col portafoglio a destra e dai costumi libertini tipici del ’68 si sono riconosciuti in pieno in questa destra.

  2. bob

    “Il movimento studentesco è stato uno dei più importanti fenomeni culturali della seconda parte del Novecento. Ha preso le mosse a Berkeley nel 1964 per poi diffondersi in anni diversi in vari paesi occidentali,…”
    Attenzione il ’68 “italiano” sia per spessore, per qualità e per durata è una cosa tutta Italiana. Che non ha paragoni in altri paesi europei
    Un sorte di folklore tramutato in tragedie i cui danni sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti. L’ amarezza è che certi personaggi ” rivoluzionari con il culo al caldo” hanno illuso migliaia di giovani ingenui rovinandogli l’esistenza per usarli e poi scaricarli e fare carriere in politica e nei giornali

  3. Giampiero Amorelli

    Occorre considerare anche che il movimento studentesco ha dato il via al distacco di una certa quota della società (quella giovanile) dall’alveo dei falansteri politici e ideali novecenteschi. In questo senso è stato dunque antipaternalistico. Non può stupire dunque che, in età più avanzata, molti aderenti e simpatizzanti, con le stesse pulsioni, approvino teorizzazioni e pratiche più individualistiche, apparentemente di segno opposto ma in realtà in piena continuità.

  4. Interessantissimo.

  5. Arnold Attard

    Il ’68 è stato un movimento culturale di massa solo dopo si è espresso è canalizzato nei partiti di sinistra. Per dare una idea di cos’è stata la genesi del ’68, basta vedere il ‘LAUREATO’. Era di destra? era di sinistra? Non credo, ma era sicuramente dirompente.
    Direi che i partiti lo hanno affossato chi a sinistra e chi come in Italia nel movimento di Don Giussani una specie di democrazia cristiana per giovan

  6. Sono del ’46, ho militato a lungo nel MS e poi in tutte le sue e/in/voluzioni fino al PdUP al ’80 circa.
    Onestamente non so se guardo a destra o a sinistra, per quanto mi riguarda credo nello sviluppo di idee culturalpolitiche per contagio tra piccoli gruppi. Non ho mai votato a destra e cerco di essere attivo sul mio territorio, ma anche internazionalmente su temi umanitari, ambientalisti e dei diritti. Vedo quasi tutti perfettamente accomodati in questa società, con pochissima voglia di cambiare e una delega in bianco ai partiti. Credo che dovremmo smetterla di aspettarci qualche cosa dalle nuove generazioni, possiamo ancora fare del nostro. In Italia il ’68 è durato tantissimo ed è responsabile di gravi errori soprattutto in campo educativo e dei sentimenti, oltre che troppo blandamente europeista. Per il resto non amo il reducismo e mi sembra che dopo quei tempi di riflessione generalizzata, poco si sia progredito, considero il sotto insieme dell’antifascismo molto limitante per una seria discussione “a sinistra”. Bruno Contigiani

  7. Jacopo Tramontano

    Tre osservazioni sulla lana caprina, ma che credo abbastanza rilevanti da un punto di vista econometrico:

    1) aggregare paesi così diversi rischia di appiattire l’eterogeneità insita in questi paesi rispetto a sistema economico, distribuzione del reddito, istituzioni del mercato del lavoro, ecc. Quali set di controlli sono stati usati per evitare che l’esercizio fornisse stime del tutto sballate?

    2) ha senso controllare per tutta una coorte di età? Il titolo è alquanto fuorviante, sembra che chi ha fatto il ’68 s’è convertito. Invece nello studio si esaminano anche un sacco di persone che il ’68 non l’hanno fatto, ed erano tempi di forte polarizzazione politica in generale, quindi perché non anche nell’altro senso? Così lo studio conferma solo l’ipotesi della “maggioranza silenziosa”, una cosa che Nixon aveva già ampiamente confermato all’epoca, quando distrusse McGovern alle elezioni.

    3) La soglia usata per questo “difference-in-differences” è molto molto molto endogena. Un movimento studentesco non è una cosa che accade come un meteorite, un terremoto, o una politica pubblica calata dall’alto. Il Sessantotto è il movimento dal basso per antonomasia, accade dunque per profondi mutamenti economici, culturali, sociali e politici di quegli anni: come si può decidere che è qualcosa che le persone non si aspettavano, che non avessero anticipato o anzi consapevolmente contribuito a creare? Questo falsa l’analisi nella misura in cui può non essere stato il Sessantotto ad aver spostato i giovani di quell’epoca a destra successivamente, ma invece il cambiamento nel loro modo di pensare e nelle loro possibilità concorrente alla fine degli anni Sessanta.

  8. Molto interessante. Mi colpisce l’ostilità alla concorrenza, che non so quanto correlata agli orientamenti verso la destra.
    Mi chiedo poi come fosse segmentata la popolazione coinvolta negli anni intorno al ’68: partecipanti attivi, simpatizzanti, indifferenti, silenziosamente ostili, apertamente ostili ….E se il terremoto fosse stato comunque partecipato da una minoranza , attiva, visibile, comunque disomogenea e pur sempre minoranza? E se alla maggioranza non fosse rimasto che il rifiuto del confronto e il riflusso verso una destra più nostalgica delle protezioni che aperta al mercato?

    • Firmin

      Dopo oltre mezzo secolo di lavaggio del cervello neoliberista e “pensiero unico” sarebbe diventato di destra anche Che Guevara. Se si confronta il programma di un partito “di sinistra” di qualsiasi paese con quelli di 70 anni prima si fa molta fatica a trovare dei punti in comune. Mi chiedo se tra le variabili di controllo siano stati inseriti indicatori della finanziarizzazione e della perdita di valore (e di potere) del lavoro salariato. Temo la dissoluzione della “classe operaia” e la rivalutazione della rendita parassitaria abbiano pesato sugli orientamenti politici molto più di qualche anno di marce e slogan. Per altro credo che l’individualismo sessantottino sia stato capitalizzato e sfruttato proprio dai partiti di destra. Mentre la sinistra stava a guardare.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén