Decreto Milleproroghe e Ddl Capitali prevedono la possibilità che alle assemblee delle società per i soci partecipi solo un rappresentante designato, scelto dagli amministratori. Ma la discussione assembleare è un passaggio essenziale per le cooperative.
Assembramenti e assemblee
Il “decreto Milleproroghe” di febbraio ha “prorogato” – o per meglio dire ha re-introdotto –per le assemblee societarie che si terranno fino al 31 luglio 2023 la normativa emergenziale Covid, che ha esteso a tutte le società (per azioni e cooperative) la possibilità di utilizzare un istituto – il rappresentante designato – anche come forma esclusiva di svolgimento delle assemblee.
Che cosa è il rappresentante designato? È un soggetto nominato dagli amministratori cui i soci conferiscono delega a partecipare per loro conto all’assemblea trasmettendogli i propri orientamenti di voto, affinché li rappresenti in sede assembleare.
Nel 2020, la soluzione rese possibile lo svolgimento delle assemblee chiamate ad approvare i bilanci dell’esercizio 2019: si evitava la assimilazione delle assemblee agli assembramenti, allora vietatissimi per ragioni sanitarie, con l’espediente della partecipazione all’assemblea di un solo soggetto, delegato da tutti i soci.
Ora che ogni spazio pubblico è affollato come nel periodo pre-pandemico, è fin troppo scontato che la ragione di far svolgere le assemblee con un solo delegato di tutti i soci non sia certo da ricercare in motivi di salute pubblica.
Il Ddl Capitali
L’11 aprile il governo ha approvato un disegno di legge la cui finalità esplicita è il “sostegno alla competitività dei capitali”.
Tra le varie modifiche proposte al Testo unico della finanza (il Dlgs 58/1998), una riguarda la introduzione dell’art. 135 undecies 1: se approvato, legittimerebbe in generale, per le società quotate, la possibilità “(…) che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società(…)”. In altre parole, lo svolgimento dell’assemblea “senza la partecipazione dei soci” sperimentato nel regime emergenziale del Covid uscirebbe dalla eccezionalità e sarebbe destinato a divenire una modalità “normale”.
La relazione accompagnatoria individua in tre passaggi il modello decisionale assembleare: “(…) la presentazione da parte del consiglio di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del consiglio di amministrazione (…)”, una ricostruzione dalla quale è stato espunto un passaggio, la discussione tra soci e amministratori e tra soci, che costituisce l’essenza della collegialità.
La relazione prosegue puntualizzando che nella società quotata gli investitori istituzionali e i gestori maturano gli orientamenti di voto al di fuori e prima della assemblea, “(…) all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto con il management della società in applicazione delle politiche di engagement (…)”
La diversità delle cooperative
Le evidenze empiriche possono giustificare l’utilizzazione esclusiva del rappresentante designato nelle società quotate, anche per i costi organizzativi – particolarmente rilevanti per realtà di medio-piccole – delle riunioni assembleari, che spesso offrono un palcoscenico per interventi poco interessati agli argomenti oggetto di discussione, se non di mero disturbo.
Ma la sua estensione a tutte le società, in particolare quelle cooperative, richiede grande cautela. Il fatto che nel processo assembleare si ometta il momento della discussione è significativo di una sua degradazione ad “accessorio” che gli amministratori per loro scelta – unilaterale – possono evitare.
Il ragionamento avrebbe un impatto significativo sulla nozione stessa di assemblea nelle società lucrative chiuse, ma lo avrebbe soprattutto sulla società cooperativa, nella quale il momento del confronto assembleare assume un rilievo fondamentale, per la natura stessa della società: l’assemblea cooperativa non può essere assimilata, se non con un approccio superficiale e fuorviante, all’analogo fenomeno delle società di capitali.
Nella cooperativa, innanzitutto, per effetto del voto capitario (un voto per testa) non esiste una maggioranza che preesiste all’assemblea e che comunque garantisce stabilità degli assetti proprietari e della gestione. D’altronde, mentre il socio della società lucrativa ha un interesse solo indiretto al contenuto concreto della gestione, essendo principalmente riferito al suo risultato e alla remunerazione del capitale, il socio della società mutualistica è direttamente coinvolto nella gestione, attraverso la sua partecipazione allo scambio mutualistico. Ad esempio, la discussione assembleare sul bilancio della cooperativa non riguarda solo il risultato quantitativo della gestione, ma anche numerosi aspetti qualitativi, come la relazione prevista dall’art. 2545 cc sulle modalità di attuazione dello scopo mutualistico.
L’assemblea discute delle politiche di ammissione dei soci e cioè dell’allargamento o meno della base sociale, incidendo così direttamente sugli interessi di ciascun socio.
Riesce difficile affrontare questo livello di decisioni con una votazione che prescinda dalla discussione assembleare e si limiti a un aprioristico voto favorevole o contrario, senza ascoltarsi, appunto, mutualisticamente.
Se l’approccio all’assemblea seguito dal decreto Capitali venisse ritenuto accettabile anche per le assemblee della società mutualistica, si correrebbe il rischio di amputare la componente essenziale della sua specificità.
Per certi versi è necessario un paradigma esattamente opposto a quello di una forzata semplificazione: occorre valorizzare la presenza dei soci all’assemblea e la discussione, senza pensare di limitare confronto e dibattito tra i soci e tra questi e gli amministratori. Il tema è semmai quello di utilizzare ulteriori strumenti, trovando ad esempio sedi ulteriori di discussione tra soci: considerare superfluo il dibattito tra i soci e ripiegare su un’idea di assemblea come mera espressione “referendaria” del voto, sarebbe come una cura omeopatica, in cui la “malattia” della distanza dei soci dalla società si affronta con la stessa causa della malattia: allontanandoli dall’assemblea.
Con un aforisma celebre, George Bernard Shaw ammoniva che ogni problema complesso ha una soluzione semplice. Ma è sbagliata.
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