Nonostante la stretta monetaria, i tassi sui depositi bancari restano bassi. Un danno per i risparmiatori, un aiuto alla stabilità del sistema. La tecnologia, però, cambia la situazione di mercato. Le autorità di regolamentazione dovranno tenerne conto.
Perché i tassi sui depositi bancari restano bassi
Nelle scorse settimane molti commentatori hanno osservato con disappunto come i tassi sui depositi bancari siano cresciuti molto poco a confronto di quelli sugli impieghi e degli altri tassi di mercato dopo la repentina stretta monetaria decisa dalle principali banche centrali. Così, i profitti delle aziende di credito si sono impennati in molti paesi.
Il ministro Giorgetti, come vari altri politici europei, ha chiesto alle banche maggiore benevolenza verso i loro depositanti. Tuttavia, come era logico attendersi, sinora la moral suasion non ha avuto alcun effetto su un fenomeno a lungo studiato dalla letteratura economica e noto come deposit franchise.
La bassa reattività dei depositi rispetto alle altre attività finanziarie è generalmente attribuita allo scarso potere di mercato dei depositanti rispetto a quello delle banche e alla concorrenza imperfetta che caratterizza il settore creditizio. Tuttavia, un ruolo importante è giocato dagli alti costi di ricerca (search cost) e da una serie di fattori sociodemografici, quali l’età, il livello d’istruzione e il grado di educazione finanziaria dei depositanti.
Pur con gli alti costi subiti dai risparmiatori, la letteratura ha anche sottolineato alcuni “vantaggi” offerti dal franchise sui depositi. Fra questi, quello di facilitare il ruolo delle banche nella loro tipica attività di trasformazione delle scadenze (con attività a breve e passività a lunga) e quindi di permettere di attenuare i rischi di liquidità e di tasso. Così, se un repentino aumento dei tassi d’interesse provoca una perdita sul fronte del portafoglio titoli e degli impieghi a tasso fisso, dall’altro è compensato da un guadagno provocato dal franchise sui depositi e dal conseguente aumento dello spread fra tasso sulla raccolta e quello sugli impieghi. Tutto ciò ha accresciuto la stabilità del sistema finanziario e di conseguenza permette alla regolamentazione di tollerare un maggior grado di mismatching delle scadenze poiché diminuisce il rischio di tasso.
Perché il meccanismo funzioni è tuttavia necessario che i depositi rimangano in banca. Se escono alla ricerca di attività con una remunerazione più alta, come titoli di stato o fondi monetari, o a causa della preoccupazione sulla stabilità della banca, il franchise sui depositi sparisce più o meno rapidamente. In questo caso, la banca vede ridursi la propria liquidità e i suoi profitti e, al limite, può fallire, come è successo alle banche regionali americane. Che, infatti, sono saltate non solo perché all’attivo avevano titoli a lunga, ma anche perché in un momento di forte rialzo dei tassi di mercato i depositi non garantiti sono scappati via e con essi anche il loro potenziale franchise.
In generale, tanto più è alto il livello dei tassi d’interesse tanto più è importante il valore del franchise sui depositi, ma anche tanto più forte è il rischio che tali depositi possano scappare via (deposit run) aumentando i problemi di liquidità.
Tutto questo spiega la reticenza delle banche – ma forse anche delle autorità di vigilanza – a stimolare un aumento dei tassi sui depositi e una possibile guerra sulla raccolta.
Come incide la tecnologia
Due fattori giocano tuttavia a favore di un graduale allineamento dei tassi sui depositi a quelli di mercato. A livello congiunturale, l’eccesso di liquidità che caratterizza l’attuale situazione è destinato a ridursi e con esso il basso grado di concorrenza bancaria per accaparrarsi i depositi. A livello strutturale, la tecnologia sta cambiando la natura del mercato poiché riduce nettamente i costi di ricerca e aumenta la geografia e la competitività degli intermediari.
Un recente lavoro scientifico ha infatti mostrato come le fintech propongano tassi ben superiori a quelli offerti dalle banche tradizionali e li muovano in maniera più rapida (in termini tecnici hanno un beta più alto). Riescono anche ad accrescere la loro raccolta in presenza di alti tassi d’interesse, a differenza delle banche tradizionali che tendono a perdere depositi in questa circostanza. Basta d’altra parte guardare alle proposte avanzate dalle banche on line quali Cherry Bank, Illimity, Banca Progetto, Ing e altre per rendersi conto che il fenomeno è presente anche in Italia, seppure ancora in maniera limitata.
D’altra parte, un altro recente studio di Naz Koont, Tano Santos e Luigi Zingales segnala che, almeno negli Stati Uniti, anche le banche tradizionali con una piattaforma on-line che include un sistema di brokeraggio tendono a perdere depositi più rapidamente, al crescere dei tassi di mercato, nonostante aumentino maggiormente la remunerazione garantita ai depositanti. In altri termini, hanno un franchise più basso poiché i depositanti hanno maggiore facilità ad arbitraggiare fra le diverse attività finanziarie.
Ovviamente, tutto ciò ha, e col tempo ne avrà ancora di più, importanti conseguenze sulla profittabilità delle banche e sulla loro stabilità di cui la regolamentazione e le autorità di vigilanza non potranno non tenere conto. Ancora una volta, la tecnologia aiuta i consumatori ma va governata con attenzione.
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Savino
Strampalata e penalizzante per gli utenti l’idea per cui il costo del denaro nei depositi è inferiore del costo del denaro dei mutui. Come se non fosse lo stesso danaro. La tecnologia può solo aiutare la pletora di truffatori in giro. Piuttosto, nell’intermediazione del credito, bisogna pensare a nuove formule di triangolazione soprattutto tra generazione per il finanziamento su casa o singoli progetti imprenditoriali. L’istituto di credito può mediare tra l’anziano, che ha l capitale, ed il giovane, che ha le idee e i progetti, ma non può realizzarli.