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Vale la pena ospitare un’Esposizione universale?

Il 28 novembre si deciderà quale città ospiterà l’edizione 2030 dell’Esposizione universale. Tra le candidate c’è Roma, anche se la favorita è Riyad. Quali eredità lasciano eventi di questa portata? E quali sono gli impatti economici e ambientali?

Verso Expo 2030

La corsa verso Expo 2030 comincia a entrare nel vivo. Il prossimo 28 novembre, il Bureau international des Expositions (Bie), organizzazione intergovernativa incaricata di supervisionare e regolamentare le esposizioni mondiali, si riunirà per scegliere la città ospitante tra Busan (Corea del Sud), Riyad (Arabia Saudita) e Roma.

L’esperienza italiana mostra come eventi di questa portata lascino molte eredità positive. La capitale, in particolare, aspetta questa occasione dagli anni Trenta del Novecento, quando venne realizzato ex novo un intero quartiere, l’Eur, per ospitare l’Expo del 1942, che però non vide mai la luce a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Ma facciamo un passo indietro. Con il termine Expo, coniato in tempi più recenti, si allude a fiere, eventi o esposizioni non commerciali, ospitate ogni cinque anni da un unico paese organizzatore, che vedono la partecipazione di più nazioni e organizzazioni internazionali. L’obiettivo dell’evento è promuovere la cooperazione e lo sviluppo, mostrare le nuove scoperte tecnologiche e scientifiche e proporre soluzioni per affrontare i cambiamenti in atto a livello globale. La scelta della città ospitante è un processo molto lungo e rigoroso, che coinvolge diverse fasi di valutazione. Inizialmente, per candidarsi, i singoli paesi devono avviare campagne internazionali volte, principalmente, a raccogliere consenso. Durante le assemblee generali del Bie, che si tengono periodicamente, i paesi candidati presentano poi lo stato di avanzamento dei loro progetti. Si procede così all’elezione del paese ospitante tramite un voto a scrutinio segreto: in particolare, affinché un candidato possa essere dichiarato vincitore, è necessario ottenere la maggioranza dei due terzi dei voti dei membri presenti all’assemblea. Qualora nessuno raggiunga il quorum nel primo scrutinio, ne verrà organizzato un secondo, in cui è necessaria solo la maggioranza semplice per eleggere il paese ospitante.

Sembra che Riyad sia, attualmente, la città favorita per ospitare l’evento. Il Medio Oriente, d’altronde, dopo Expo Dubai 2020 e i recenti mondiali di calcio disputati in Qatar, ha mostrato grande capacità nel gestire eventi del genere, anche per via delle ingenti risorse economiche su cui può contare. Ma non è ancora detta l’ultima parola. Roma può infatti contare su un progetto molto forte e ben strutturato, dal titolo “Persone e territori: rigenerazione, inclusione e innovazione”, redatto da un team di professori e professionisti internazionali, che hanno collaborato con le università romane e le istituzioni locali e nazionali. La sua vittoria potrebbe costituire una grande svolta per il nostro paese, ma anche per l’Europa intera, in una delicata fase di ricostituzione degli equilibri geopolitici mondiali.

Ma ospitare l’Expo porta davvero vantaggi economici?

Nel 2015, circa 21,5 milioni di persone si sono recate a Milano in occasione dell’Esposizione universale. Sei anni dopo, nonostante la pandemia, Dubai è riuscita ad attirare poco più di 24 milioni di visitatori nell’arco di sei mesi. La prossima Expo si terrà a Osaka, in Giappone, nel 2025 e si stima che circa 28 milioni di turisti arriveranno nella città per partecipare all’evento.

Di fronte a questi numeri, è legittimo pensare che ospitare un’esposizione universale possa essere un’opportunità per rilanciare il paese ospitante e favorirne lo sviluppo. Tuttavia, l’evidenza empirica tende a smentire questa ipotesi e non è scontato che i benefici superino i costi.

Su lavoce.info, si era già discusso in passato delle potenzialità dell’Expo. Pochi giorni dopo la sua fine, Jerome Massiani aveva fatto un bilancio dell’evento tenutosi a Milano tra maggio e ottobre del 2015. Diversi studi avevano inizialmente stimato che l’Expo avrebbe attivato circa 4 miliardi di euro di valore aggiunto, che si sarebbero dovuti riflettere in un aumento complessivo del Pil italiano pari a 10 miliardi (30 miliardi in uno scenario più ottimistico). Stime più realistiche ridimensionano l’impatto economico dell’evento: al lordo dei costi, il valore aggiunto si attesta a circa 1,3 miliardi di euro grazie alla spesa turistica addizionale. Infatti, una valutazione corretta deve tenere in considerazione solamente la componente dei flussi turistici e di spesa che non si sarebbero realizzati senza dell’Esposizione universale. Nel caso di Expo 2015, solo uno straniero su due si è recato a Milano appositamente per partecipare all’evento, mentre questo si applica a solo l’1 per cento delle presenze italiane. In aggiunta, l’Esposizione ha attratto per lo più visitatori nazionali o lombardi e non internazionali, come inizialmente pronosticato. Di conseguenza, si è assistito a una ridistribuzione della domanda interna, da cui ha principalmente tratto vantaggio la Lombardia.

Al contrario, l’Expo di Dubai, che si è tenuta a cavallo tra il 2021 e il 2022, sembra essere stata in grado di contribuire in maniera significativa allo sviluppo economico locale e nazionale. Uno studio di EY stima che l’Esposizione abbia generato valore aggiunto per 10,7 miliardi di dollari tra il 2013 e il 2021 e 5,3 miliardi tra il 2021 e il 2022. Tuttavia, si prevede che l’evento avrà un impatto di lungo termine sull’economia, generando ulteriore valore aggiunto per 26,2 miliardi di dollari tra il 2022 e il 2042. Gli Emirati Arabi Uniti hanno infatti colto l’occasione per potenziare il programma nazionale a sostegno delle piccole e medie imprese, investendovi il 25 per cento della spesa totale per l’evento e favorendo in particolare le imprese locali. Inoltre, l’area in cui ha avuto luogo l’Esposizione è stata trasformata in un quartiere residenziale (Expo City Dubai) e ha mantenuto diversi padiglioni come attrazioni turistiche.

Non ci sono ancora studi indipendenti che possano confermare o confutare i dati del report di EY, ma è comunque possibile dire che non c’è un’unica formula per tutti i paesi e non si può affermare con certezza la convenienza o meno di ospitare un evento di tale portata. Alla luce della candidatura di Roma per il 2030, però, è legittimo chiedersi se non ci siano strumenti migliori per sostenere l’economia nazionale e locale. Come sottolineato da Roberto Perotti in un precedente articolo, i fondi utilizzati per finanziare l’organizzazione dell’Esposizione universale potrebbero essere indirizzati verso opere e progetti che potenzialmente possono generare una maggior crescita e avere un impatto più duraturo sul territorio, anche a costi inferiori.

Bisogna monitorare e ridurre l’impatto ambientale

Oltre al fattore economico, la gestione di eventi come Expo ha un’altra problematica da considerare, ovvero l’impatto ambientale, che deriva non tanto dagli eventi in sé e per sé ma da tutta la fase di costruzione delle infrastrutture. A partire dall’esposizione di Milano, tutti i partecipanti sono stati chiamati a seguire regole specifiche con obiettivi chiari di sostenibilità ambientale: Expo Milano 2015 è stata infatti la prima Esposizione universale ad adottare un Rapporto di sostenibilità, con l’obiettivo di promuovere la diffusione delle pratiche di rendicontazione della sostenibilità nell’organizzazione di grandi eventi. Il ministero dell’Ambiente, con il supporto del Politecnico di Milano, l’ha accompagnata nella definizione dei criteri e delle iniziative per l’intera strategia di sostenibilità, che aveva l’ambizione di diventare un punto di riferimento per l’organizzazione delle successive esposizioni in programma a livello internazionale. In particolare, i principali obblighi per i partecipanti e i loro fornitori erano due: da un lato, dovevano rispettare tutte le normative ambientali applicabili, e dall’altro, dovevano perseguire specifici obiettivi, tra cui l’adozione di misure per prevenire l’inquinamento e l’ottimizzazione dei consumi di energia e risorse idriche.

Il tema del riscaldamento globale connesso alle emissioni di gas serra di natura antropica, che è una priorità assoluta nell’agenda internazionale, è stato focale anche nell’esposizione di Milano. Infatti, Expo 2015 si è impegnata a contenere, quantificare e compensare le emissioni di gas serra, al fine di proporre un evento con la minore quantità possibile di emissioni di CO2. Queste sono state poi riportate in maniera trasparente nel Rapporto di sostenibilità.

I lavori di costruzione hanno sì causato la maggioranza (quasi il 99 per cento) delle emissioni, ma le infrastrutture sono state poi efficientemente riutilizzate per svariati scopi. Ad esempio, molti padiglioni sono rimasti nell’area espositiva e sono stati riconvertiti in nuove strutture con le più svariate funzioni, altri invece sono stati trasportati all’estero dove, a loro volta, hanno iniziato una nuova vita (per esempio, il padiglione di Monaco è stato trasportato in Burkina Faso per diventare la sede della Croce Rossa della città di Loumbila).

Come è stato sottolineato dal commissario unico di Expo 2015, Milano aveva dettato ai paesi partecipanti regole di ingaggio precise per la sostenibilità dei materiali e per i progetti di riutilizzo. Nelle Expo precedenti, oltre il 10 per cento delle strutture non erano state smontate, mentre nel caso di Expo Milano solo due strutture dovevano ancora essere riconvertite o trasportate altrove nel 2017, due anni dopo la fine dell’esposizione.

Sicuramente il risultato di Milano nel 2015, soprattutto per la sua gestione sostenibile, si conferma una nota positiva nella storia delle Esposizioni universali ospitate dal nostro paese, e lascia una buona eredità a Roma. Per scoprire però l’esito dobbiamo aspettare il 28 novembre, quando le 179 nazioni del Bie si riuniranno a Parigi per le votazioni finali di Expo 2030.

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  1. B&B

    Non sono d’accordo sull’esito dell’expo di Milano. Intanto è passata inosservata, senza suscitare particolare interesse. I padiglioni erano insignificanti. La sostenibilità è un’ipocrisia.
    Se pensiamo che tra i sostenitori dell sostenibilità a MI, c’era chi ha progettato il bosco verticale, un’eccellenza di spesa di manutenzione produttrice di CO2.

  2. B&B

    Per quanto riguarda l’EUR a Roma, dobbiamo constatare, a distanza di ottanta anni, che l’architettura progettata allora è ancora attuale, regge, quello urbanistico è il miglior risultato ottenuto in Italia. Nessuno è riuscito a superarlo, almeno fino ad oggi. Anzi le esperienze delle avnguardie storiche socialiste italiane, degli anni settanta e ottanta, sono state un disastro architettonico e urbanistico. Visitate l’eur e confrontate i vari quartieri zen o come diavolo li chiamano, con i famosi ” spazi di relazione e inclusione” per spacciare droga.

  3. Fabio Rosselli

    Complimenti per i dati ma non condivido esempi o confronti con Milano che prima di Expo 2015 aveva un turismo molto limitato e solo dopo é riuscita ad entrare nel gotha del turismo italiano riuscendo ad avvicinarsi ai numeri di Venezia e Firenze, ma sempre lo tano anni luce da quelli di Roma, che in tal senso è giá una delle capitali mondiali del turismo in arrivo intorno ai 35 milioni annui di media. Immaginiamo con un’aggiudicazione di Expo a quali numeri potrebbe ambire Roma. Davvero si potrebbero superare tutte le aspettative e portare benefici immensi non solo alla Capitale ma all’intero paese tutto.

  4. CARLO GRANCINI

    La sostenibilità di un evento come EXPO, mi sembra una persa in giro. La realizzazione e la demolizione delle strutture ad hoc e l’afflusso di visitatori sono al momento intrinsecamente insostenibili.

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