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Argentina di nuovo sull’orlo del fallimento

Per l’ennesima volta, l’Argentina si trova in una crisi economica gravissima. L’alta inflazione impoverisce la popolazione e rende sempre più oneroso il debito pubblico espresso in dollari. Con una serie di interventi il paese prova a evitare il tracollo.

Il nuovo tentativo di salvare l’Argentina

Per evitare l’ennesimo tracollo dell’economia del paese, la Banca centrale argentina ha annunciato un aumento dei tassi di interesse di 600 punti base, portandoli dal 91 al 97 per cento, dopo il precedente rialzo di 10 punti percentuali autorizzato a fine aprile 2023. La misura sarà accompagnata da un importante intervento sul mercato dei tassi di cambio, data la forte svalutazione che il peso ha subito nei confronti del dollaro nell’ultimo anno. Si apriranno anche le trattative con il Fondo monetario internazionale per anticipare il rilascio dei prestiti concessi all’Argentina tramite l’Extended Fund Facility, un programma che ha lo scopo di assistere i paesi con problemi di bilancia dei pagamenti. L’accordo approvato a marzo del 2022 definisce i termini della restituzione di un debito di 44 miliardi di dollari nei confronti del Fmi e prevede un piano di stabilizzazione macroeconomica e finanziaria, volto in particolare a ridurre l’elevata inflazione e a rafforzare la sostenibilità del debito pubblico. A fine maggio, infine, il ministro dell’Economia Sergio Massa si recherà in Cina per cercare maggior supporto economico dopo l’accordo dello scorso aprile, che ha permesso all’Argentina di pagare le importazioni in yuan, evitando così di attingere alle riserve di dollari, attualmente in esaurimento.

I numerosi problemi del paese

L’Argentina è in crisi economica da tempo, l’ennesima della sua storia. Ne avevamo già parlato tempo fa in due articoli (qui e qui) e da allora le cose si sono fatte ancora più serie. L’elevato tasso di inflazione, che ad aprile 2023 ha raggiunto il 109 per cento su base annua, continua a essere una piaga per l’economia del paese perché erode il potere d’acquisto dei consumatori e rende più oneroso il debito pubblico, che è espresso in dollari. Il forte rialzo dei prezzi è dovuto principalmente alla monetizzazione del debito pubblico: a seguito del default del 2020, il paese non ha più potuto finanziarsi sui mercati internazionali e la Banca centrale argentina ha dovuto stampare pesos per coprire la spesa statale. Nonostante l’accordo pattuito con il Fmi preveda un riordino dei bilanci pubblici, le spese statali continuano a eccedere le entrate e nel 2022 lo stato argentino ha registrato un deficit primario pari al 2,4 per cento del proprio Pil.

A destabilizzare ulteriormente l’economia argentina è la dipendenza dal dollaro statunitense. L’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve ha avuto come effetto collaterale l’apprezzamento del dollaro nei confronti delle altre valute, tra cui il peso argentino, che nell’arco di un anno ha perso quasi la metà del proprio valore nei confronti della moneta statunitense. La situazione è particolarmente preoccupante dal momento che il debito delle amministrazioni centrali, che nel 2022 ha raggiunto l’85 per cento del Pil, è per più dei due terzi in valuta straniera e in particolare in dollari (circa il 53 per cento).

Come già accaduto più volte in vari paesi emergenti il cui debito è fortemente “dollarizzato”, il deprezzamento del tasso di cambio nei confronti della valuta statunitense provocherà una grave recessione (si parla di contractionary devaluation) già a partire da quest’anno.

L’Argentina è messa a dura prova anche dalla siccità, che ha avuto seri effetti negativi sulle esportazioni agricole, una voce fondamentale della sua economia. Le ultime misure hanno evitato temporaneamente una politica di austerità, ma difficilmente risolveranno i problemi strutturali del paese prima delle elezioni presidenziali del prossimo ottobre.

La difficile storia politica argentina

Quella dell’Argentina è una storia caratterizzata dall’alternarsi di gravi crisi politiche, economiche e sociali che hanno portato a ben nove default sui titoli sovrani, il numero più alto mai registrato nel mondo.

Ciò appare strano se si pensa che all’inizio del Novecento l’Argentina era uno dei paesi più ricchi, con un Pil molto vicino a quello di Francia e Germania. Soprattutto durante il secondo dopoguerra, la prosperità economica del paese non aveva eguali. L’Argentina, per la prima volta nella sua storia, si trovava a essere creditrice delle economie più avanzate, grazie alle massicce esportazioni di carni e grano alle potenze belligeranti. Tutto ciò permise al governo di Juan Domingo Perón, eletto nel 1946, di attuare un programma decisamente nazionalista e statalista, che prevedeva forti investimenti in istruzione e salute, più poteri alla classe operaia, nazionalizzazione della banca centrale argentina e dei trasporti, nonché controllo statale su tutti gli enti stranieri che operavano nel paese. Quest’ultima mossa di Perón, in particolare, cominciò ad allontanare gli investitori internazionali e contribuì a rendere l’economia argentina via via meno competitiva agli occhi del resto del mondo.

Da quel momento in poi, per oltre ottant’anni, si sono succeduti governi e dittature che hanno adottato politiche molto diverse tra loro, soprattutto per quanto riguarda la sfera sociale e il welfare: ciclicamente al popolo sono stati concessi benefici, come sussidi, che poi venivano tolti perché troppo onerosi per lo stato. I governi hanno finanziato ingenti piani grazie alla collaborazione con la banca centrale argentina, che ha continuato a stampare moneta ogni qualvolta fosse necessario. Ma questa pratica, denominata “monetizzazione del debito” e ormai abbandonata da tutte le economie più avanzate, ha un pericoloso effetto boomerang: non fa altro che creare inflazione su inflazione e impoverire le fasce più deboli della popolazione.

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Il Punto

  1. Leonzio Rizzo

    Ottima analisi

  2. Grazie per questa analisi. Mi trovo in Argentina in questo momento e si toccano con mano gli effetti conseguenti le vostre riflessioni.

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