Lavoce.info

Dalla Nadef alla manovra 2024: quanto incide il Superbonus

Il superbonus produce un aumento del debito, che influisce sul percorso di convergenza del rapporto debito/Pil. Ma la riclassificazione di Eurostat fa sì che nella quantificazione del deficit del 2024 i crediti da superbonus non siano contabilizzati.

I dati del Def e quelli della Nadef

Nel mese che ha preceduto l’uscita della la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) si è molto discusso della criticità delle finanze pubbliche legate al rallentamento dell’economia e all’inflazione, ma ancora più enfasi è stata data al ruolo svolto dai crediti che lo Stato deve onorare a causa del superbonus.

Il superbonus è sicuramente stato uno strumento mal congegnato che ha generato un eccesso di domanda e soprattutto ha beneficiato ceti medio-alti della società, dando luogo a una spesa molto più elevata del previsto. Indipendentemente dalle riclassificazioni, che influiscono sul deficit dell’anno (entrate meno spese della pubblica amministrazione), il superbonus produce un ammontare di debito rilevante, che influisce significativamente sul percorso di convergenza del rapporto debito/Pil. In prospettiva, con le nuove regole del Patto di stabilità, dove la definizione di un percorso credibile di convergenza del debito ha un ruolo essenziale, potrebbe fortemente vincolare i margini di manovra della finanza pubblica.

Ma come influisce il superbonus sulla manovra per il 2024? Per rispondere alla domanda è utile fare riferimento al Documento di economia e finanza (Def), che viene pubblicato entro il 10 aprile, e che contiene il quadro macroeconomico e di finanza pubblica per l’anno in corso e di previsione per i tre anni a venire. Confrontiamo il documento con la Nadef, che viene rilasciata entro il 27 settembre e contiene le variazioni al quadro macroeconomico e di finanza pubblica del Def, tenuto conto delle mutate condizioni macroeconomiche e legislative da aprile a settembre. I due documenti contengono le previsioni delle entrate e delle spese della pubblica amministrazione. In entrambi vi sono sia la previsione a legislazione vigente alla data di rilascio del documento (dato tendenziale), cioè senza considerare le nuove misure che saranno adottate, sia la previsione programmatica (dato programmatico), che invece tiene conto delle nuove misure che si prevede di adottare nei mesi successivi, fino al 31 dicembre. Il dato tendenziale Nadef potrebbe risultare in una modifica del dato programmatico Def a causa di variazioni intervenute tra aprile e settembre non previste nel programmatico Def. Il programmatico Nadef di fatto include, rispetto al tendenziale lì indicato, gli effetti della manovra prevista per finanziare la legge di bilancio dell’anno successivo.

Gli effetti del superbonus

Leggi anche:  Nasce il nuovo Patto di stabilità e crescita*

L’effetto principale di lungo periodo del superbonus è stato un incremento del debito ad esso legato che ha superato i 100 miliardi, di cui rimangono da pagare circa 80 miliardi in tranche da 20 miliardi all’anno fino al 2027. La Nadef riporta che l’incremento dei crediti che in settembre è pari a circa un punto di Pil, per gli anni che vanno dal 2023 al 2026. In media, circa 5 miliardi in più all’anno rispetto a quanto previsto nel Def, dove il superbonus implicava un incremento di debito annuo di circa 15 miliardi. Ciò è dovuto al fatto che lo stop decretato in febbraio alla cessione del credito e sconto in fattura, in sede di conversione in legge del decreto, è stato troppo morbido, implicando varie eccezioni estese ad ampie platee di fruitori. In particolare, è stato concesso di beneficiare di cessione del credito e sconto in fattura a tutti i condomini che avessero approvato la delibera assembleare o presentato la Cilas entro il 16 febbraio 2023.

Tuttavia, nella quantificazione del deficit previsto per il 2024 (rilevante per la definizione del finanziamento della manovra approvata ieri dal Consiglio dei ministri), i crediti da superbonus non sono contabilizzati. Infatti, Eurostat ha approvato (in via provvisoria) la riclassificazione dei crediti d’imposta proposta dall’Istat, definendo pagabili quelli fino al 2023 e non pagabili quelli dal 2024 in poi. Ciò significa che tutti i crediti di imposta del 2023, sia quelli a cui era legata la cessione del credito, che quelli da imputare a rate, saranno interamente contabilizzati nel 2023, liberando, per quelli da imputare a rate, spazio per il computo del deficit del 2024. Inoltre, per il prossimo anno la classificazione cambia e consente quindi di imputare anno per anno le rate da pagare per lavori approvati dal 2024 in poi. Ciò implica che nel 2024 l’erario non dovrà di fatto iscrivere tra le minori entrate da contabilizzare nel deficit nessuna detrazione da superbonus. Infatti, i crediti di coloro che hanno iniziato i lavori prima del 2024 sono contabilizzati tutti come maggiori spese nell’anno di stipula del contratto e coloro che iniziano i lavori nel 2024 avranno diritto alla prima rata di detrazione nel 2025. Ciò, come ribadito nella stessa Nadef, ha determinato nel 2024 un miglioramento del deficit tendenziale Nadef di 0,3 punti percentuali di Pil (circa 6 miliardi), visto che il ministero dell’Economia e delle Finanze aveva contabilizzato precedentemente i crediti tutti come pagabili. La Nadef stima il deficit tendenziale per il 2024 a 3,6: senza il miglioramento di 0,3 punti percentuali di Pil, dovuto alla riclassificazione, sarebbe stato pari a 3,9, che, mantenendo il deficit programmatico Nadef, come attualmente previsto, al 4,3, avrebbe permesso di finanziare una manovra in deficit di 8 miliardi e non di 14 miliardi come risulta attualmente.

Leggi anche:  Occupazione senza crescita, il puzzle del 2023

Nonostante le giustificate preoccupazioni del governo per l’impatto del superbonus sul debito, si è quindi deciso di finanziare una manovra aumentando il deficit programmatico Nadef rispetto al tendenziale Nadef (e quindi il relativo debito) di 0,7 punti, di cui però 0,3 sono dovuti alla riclassificazione contabile. A quest’ultima non corrisponde certo una riduzione di debito, che dovrà essere pagato nel momento in cui le rate del credito di imposta saranno portate in compensazione. La revisione al rialzo del deficit del 2023, dal 4,5 al 5,3 per cento, permette di ottenere un deficit strutturale (che è il deficit calcolato al netto del ciclo e delle misure una tantum) per il 2023 (5,9) maggiore di quello previsto nel Def (4,9). Ciò consente di aumentare il deficit strutturale per il 2024 a 4,8 rispetto a quello previsto nel Def (4,1), senza però compromettere la riduzione dello 0,7 annuo del deficit strutturale, raccomandata all’Italia per il 2024 dalla Commissione europea. L’aumento del deficit programmatico Nadef (4,3) rispetto al tendenziale Nadef (3,6) per il 2024 può essere difeso di fronte alla Commissione grazie allo sforamento del deficit previsto per il 2023, motivato in parte con l’incremento dell’ammontare dei crediti da superbonus. Bisogna tuttavia considerare il fatto che l’aumento di deficit per il 2024 non sembra giustificato da eventi finanziari e macroeconomici eccezionali, di cui si potrebbe tenere conto in sede europea, ma piuttosto dalla necessità di finanziare la riforma degli scaglioni Irpef e la riduzione del cuneo fiscale. Così facendo però non si implementano delle riforme strutturali, ma si garantisce l’abbassamento della pressione fiscale con un incremento di debito, che non è detto che possa essere rinnovato nel 2025.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Italia al bivio: intervista a Romano Prodi*

Precedente

Un passo avanti verso il nuovo Patto su migrazione e asilo

Successivo

Il Punto

  1. Savino

    Nessun Governo ha mai fatto una operazione verità sui conti pubblici. Il superbonus, il taglio delle tasse ad alcune categorie, la spesa pensionistica spropositata ed altre mance e mancette create incrementando deficit e debito fanno parte, su versanti diversi, della stessa programmazione economica ai fini elettoralistici che sostiene questa classe dirigente attuale. Al contrario, la programmazione economica dovrebbe concernere la direzione di guida del Paese, ivi comprese la politica industriale, quella fiscale e quella sociale.

  2. Giovanni Romano

    Egregio Prof. Rizzo, ho letto con attenzione il suo articolo e vorrei porle alcune questioni:
    – da quale fonte desume che “del Superbonus hanno beneficiato i ceti medio-alti”?
    – perché scrive che il Superbonus “ha influito significativamente sul rapporto debito-PIL” (negativamente, così lascia intendere), se nel periodo di vigenza della Norma questo rapporto è sceso di circa 15 punti percentuali? Sarà forse perché ha inciso più sul PIL che sul debito? E la prego, non mi parli anche lei del solo “rimbalzo” fisiologico postpandemico, perché negli altri paesi europei non si sono registrati dati simili. Insomma, al netto di alcune criticità che riconosco alla norma del Superbonus (seconde case, mancanza di scalare di detrazione su base reddituale e livello di efficientamento) non sarà che questa tanto vituperata legge rappresentasse plasticamente ciò che Draghi definiva “debito buono”? No, perché potrei darle diverse voci di beneficio per la collettività che una legislazione simile è in grado di produrre. Il tutto, senza menzionare diversi specifici studi di merito (Censis, Cresme, Luiss Business School, OdI, FNC, Nomisma). Sarei onorato di avere un suo riscontro. Buon lavoro, Giovanni Romano.

    • bruno salotto

      Il superbonus 110% ha avuto da un lato un costo per lo Stato (100 miliardi?) dall’altro le entrate che lo Stato ha conseguito per iva su acquisto di beni e servizi, per contributi sulle retribuzioni, per irpef sulle stesse e ancora le imposte sugli utili di impresa in relazione all’attività edilizia di efficientamento energetico e quant’altro dove sono imputate e/o classificate? Grazie
      Bruno Salotto

  3. Mohamed Abdel

    100 miliardi di euro a potenziale beneficio solo di chi già deteneva la proprietà di almeno un asset immobiliare, senza una benché minima loro compartecipazione alla spesa, in un settore nel quale le materie prime sono prevalentemente importate ed i lavoratori pure. Mai viste tante caldaie nuove di un anno perfettamente funzionanti buttate e cambiate col nuovo perché tanto “col superbonus è tutto gratis”. 100 miliardi. Poi in Europa qualcuno si lamenta di stare male, che ci sia povertà.

  4. Savino

    Assurdo che risorse non utilizzate (perchè gli interessati non lo sapevano) sul fondo disabilità vadano alla copertura di crediti-debiti del superbonus. Le facciate edilizie e i cappotti termici sovrastano le esigenze della disabilità; vergognoso e non da Paese civile.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén