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A che punto è l’evasione

In Italia l’evasione complessiva si riduce. Aumenta però quella dell’Irpef di lavoratori autonomi e imprenditori individuali. Tra i motivi, la scarsa efficacia della fatturazione elettronica in questo settore e la flat tax. I dati della Relazione 2023.

La riduzione del tax gap complessivo nel 2020

Sono due le indicazioni più importanti che arrivano dalla Relazione sull’evasione fiscale e contributiva, appena pubblicata dal ministero dell’Economia e delle Finanze: l’ulteriore riduzione del tax gap complessivo e, viceversa, l’incremento dell’evasione Irpef da parte dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali. Comprendere questi risultati consente di ottenere suggerimenti utili sia per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza sia per il disegno delle politiche anti-evasione che vanno perseguite nel prossimo futuro.

In primo luogo, anche nel 2020, l’ultimo anno considerato nella Relazione, è proseguita la tendenza alla riduzione del tax gap complessivo, ovvero la differenza tra il gettito teorico – stimato sulla base della contabilità nazionale – e quello effettivo delle principali imposte. Tuttavia, il dato relativo al 2020 va preso con grande cautela trattandosi di un anno caratterizzato dalla pandemia, che ha modificato la struttura stessa dell’economia italiana e quindi la consistenza dei gettiti teorici.

In particolare, il gap complessivo, tributario e contributivo, risulta nel 2020 pari a 86,9 miliardi di euro, con una riduzione di 12,7 miliardi di euro rispetto al 2019, di cui circa 76 miliardi di sole entrate tributarie, con un calo di quasi 11 miliardi di euro rispetto al 2019. In termini relativi, che è il dato più importante anche ai fini del rispetto degli obiettivi del Pnrr, il divario è sceso al 17,2 per cento, molto vicino all’obiettivo del 15,8 per cento da conseguire entro il 2024. L’allarmismo che si è diffuso qualche mese fa sull’impossibilità di raggiungerlo appare, quindi, al momento, privo di fondamento. Rispetto al valore di riferimento (il 18,5 per cento del 2019) la riduzione del gap in un solo anno è già stata di 1,3 punti percentuali, ovvero poco meno della metà di quella da ottenere nei cinque anni secondo il Pnrr. C’è da augurarsi che il risultato spinga il governo a mettere da parte l’ipotesi ventilata, quantomeno dalle cronache giornalistiche, di una riformulazione dell’importante obiettivo, anche perché è ben difficile credere che la sua completa sostituzione con target di tipo puramente amministrativo sarebbe accettata dalla Commissione. È vero, infatti, che il tax gap non dipende in modo diretto e immediato dalle azioni dell’amministrazione finanziaria – quali l’invio delle lettere per la compliance o l’effettuazione di controlli – ma è anche vero che questo tipo di azioni – in particolare l’invio delle lettere – è comunque già oggetto di altri obiettivi del Pnrr. Inoltre, nella stessa Relazione è stato più volte mostrato che esiste un legame diretto tra scelte di policy e andamenti del tax gap. Per esempio, attraverso apposite analisi econometriche, è stata dimostrata l’efficacia di misure come la fatturazione elettronica o lo split payment.

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Il governo ha quindi la possibilità di influire, attraverso le sue scelte, sui risultati misurabili attraverso il tax gap. La riformulazione dell’obiettivo della sua riduzione al 15,8 per cento entro il 2024 non sembra quindi né necessaria né tantomeno auspicabile.

L’evasione dell’Irpef da parte dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali

Disaggregando i risultati, tuttavia, il quadro che emerge è meno roseo. Se, infatti, il gap dell’Iva si riduce ancora una volta sia in termini assoluti che relativi, raggiungendo il minimo storico del 19,2 per cento con una diminuzione di quasi 7 punti percentuali rispetto al 2016, le cose vanno diversamente per il gap dell’Irpef dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali.

Nel 2020 questo gap ha raggiunto il 69,7 per cento dell’imposta teorica, con un incremento di oltre 3 punti percentuali rispetto al 2016. L’aumento non è visibile nei numeri assoluti e ha un impatto limitato sul gap relativo complessivo perché nel 2020 si è verificata una ricomposizione dei gettiti teorici, con una riduzione, in particolare, di quello relativo all’Irpef teoricamente dovuta da lavoratori autonomi e imprenditori individuali. In termini più semplici: nel 2020 la crisi pandemica ha ridotto l’attività economica effettivamente svolta da lavoratori autonomi e imprenditori individuali e quindi l’imposta teorica che avrebbero dovuto versare se non avessero evaso. Tuttavia, è ulteriormente aumentata la quota di ogni euro teorico che è stata effettivamente evasa.

Al di là dello specifico andamento del 2020, ciò che preoccupa è il fatto che negli ultimi cinque anni, e fatto salvo un lievissimo calo nel 2018, il tax gap relativo del comparto è sempre aumentato. È su questo aspetto che dovrebbe concentrarsi l’attenzione: come invertire la tendenza e ridurre l’evasione dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali? Ha senso porsi la domanda per gli anni dal 2024 in poi e quindi per un orizzonte temporale che va oltre la conclusione del Pnrr.

Ovviamente, la risposta va contestualizzata nell’ambito delle politiche fiscali complessive. La Relazione contribuisce al dibattito fornendo due ulteriori importanti indicazioni. La prima è che la fatturazione elettronica sembra avere avuto un impatto molto minore sull’emersione dei redditi di imprenditori individuali e lavoratori autonomi rispetto a quanto accaduto per le società di capitali.

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La seconda è che l’introduzione dei regimi forfettari (la cosiddetta flat tax) ha spinto i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali che possono accedervi ad adottare comportamenti manipolativi. In pratica, chi in precedenza dichiarava poco più di 30 mila euro (quando la soglia per l’accesso al regime forfettario era questa, quindi fino al 2019) o poco più di 65 mila euro (la soglia prevista dal 2019 fino al 2023, quando è stata poi ulteriormente aumentata a 85 mila euro) è stato spinto a dichiarare di meno semplicemente per entrare nel regime che permette la tassazione agevolata al 15 per cento.

La Relazione si limita a registrare queste manipolazioni constatando che il loro impatto tende a decrescere con l’innalzamento della soglia per la semplice ragione che ci sono più contribuenti nella parte bassa della distribuzione del reddito dichiarato. Quindi, l’effetto manipolativo netto si è ridotto con l’innalzamento della soglia semplicemente perché ci sono molti più contribuenti la cui dichiarazione si situa appena sopra i 30 mila euro rispetto agli autonomi e agli imprenditori che dichiarano valori di poco superiori a 65 mila euro. La Relazione non fornisce, quindi, alcuna evidenza di un effetto emersione – inteso in senso proprio – legato all’introduzione dei regimi forfettari rispetto all’applicazione dell’Irpef ordinaria.

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Leonzio Rizzo a Radio 24 per parlare di Pnrr

  1. Savino

    Solo l’obbligo di dichiarare i patrimoni di beni immobili e mobili (registrati e non), piuttosto che i redditi, può rendere certo quello che, oggi, è un vago accertamento con controlli solo a campione è può rendere sicura l’entrata pubblica. Assurdo che si continui ad avere come base imponibile il reddito, quale metro di misurazione di quanto prodotto; è chiaro ed evidente che il camuffamento sia dietro l’angolo.

  2. lorenzo

    La flat tax è quanto di più criminogeno possa esistere in campo fiscale.
    Chi ha redditi intorno ai 15-20k€ andrebbe tassato di meno e invece è equiparato a chi ne ha 65k€.
    L’effetto è che chi già guadagnava di meno continua a sopravvivere con appena 1k€ al mese gli altri con il quadruplo. Buona continuazione.

  3. Alessandro Savorana

    Al TAX GAP va aggiunto anche un ulteriore elemento distorsivo, che non mi pare sia stato ancora misurato. Si tratta dei benefici che ritrae chi non adempie al proprio obbligo fiscale, in quanto fruisce dei servizi welfare e varie agevolazioni concesse dallo Stato in relazione al reddito dichiarato. Così da una parte lo Stato non incassa le imposte e dall’altro eroga servizi a chi non ne avrebbe diritto. In questo modo si carica sulle spalle di chi fa il proprio dovere ulteriori aggravi, con evidente sperequazione. Ma soprattutto a tracciare una (falsa) soglia di presunta ricchezza a 50 mila euro di imponibile, oltre la quale scatta l’aliquota massima del 43%. Un sistema iniquo.

  4. Firmin

    La relazione ci dice ogni anno che un 10-15% dei redditi stimati sfugge al fisco. Tuttavia questo dato potrebbe essere interpretato semplicemente come l’incapacità (o la mancata volontà) dei governi di imporre tasse su una base imponibile effettivamente aggredibile. È come se ci si lamentasse per l’evasione di una imposta su fenomeni notoriamente difficili da misurare come la stupidità o la maleducazione.

  5. Io credo che per contrastare la evasione fiscale con una qualche efficacia, bisogna rendere chiaro e distinto il percorso di “due mondi diversi”:
    1. Privato consumatore (lavoratore dipendente e pensionato) con una solo fonte di reddito (Conto corrente personale);
    2. Titolare di Partita Iva (professionista – legale o contabile – ed esercente attività d’impresa, con particolare riferimento alla Ditta individuale).
    Attualmente, nelle banche, esiste una commistione inaudita di cui nessuno si preoccupa.

    Il 7° paragrafo del punto 3.2 del Decalogo Banca d’Italia – Edizione 2001 “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette”, testualmente recita: “”Il personale deve essere sensibilizzato affinché nell’anagrafe clienti e nell’Archivio Unico Informatico siano esattamente inseriti tutti i dati anagrafici della clientela e correttamente riportata l’indicazione dell’attività economica svolta.””.

    In realtà, questa è rimasta una norma secondaria, desueta e mai applicata.
    Infatti, oggi, quando ricordo ai Direttori di filiale, nel corso di “Formazioni antiriciclaggio” questo adempimento, mi dicono: quale legge lo stabilisce?

    Voglio fare un esempio:
    Fino al 2019, io stesso, ero titolare di una Srl “unipersonale” con regolare conto aziendale. All’arrivo di un bonifico sul conto, strumentale all’oggetto sociale, emettevo la relativa fattura. A fine anno, la commercialista mi chiedeva l’Estratto conto annuale, per allegarlo al bilancio ed alla dichiarazione.
    Successivamente a tale data, con altra Partita Iva, ho avviato una Ditta individuale facendo lo stesso lavoro di prima. Da tre anni, ho solo il “Conto personale” come privato consumatore.
    Oggi, quando arriva un bonifico, strumentale come in passato alla mia attività, nessuno parla, obietta e decido io il da farsi circa la necessità di “fatturare”.

    Quello che ho raccontato è un esempio modesto, ma spero che sia riuscito a spiegare il concetto.

    Da ultimo, vorrei compiacermi con la norma che avete introdotto nella precedente legge finanziaria: Verifica delle partite Iva “Apri & Chiudi” per contrastare le frodi carosello.
    Se questa norma verrà effettivamente attuata, da sola, vale quanto tutte le finanziarie dell’ultimo mezzo secolo.

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