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Nuovo approccio per una spending review efficace*

La revisione della spesa pubblica, così come concepita adesso, ha dato pochi risultati. Bisogna intervenire sulle modalità di formazione del bilancio dello stato e sulla razionalizzazione della spesa. Una specifica riforma è prevista nel Pnrr.

La revisione della spesa dagli anni Ottanta a oggi

La revisione della spesa pubblica si fa sempre più urgente, anche alla luce del processo di armonizzazione contabile in corso e della riforma del Patto di stabilità e crescita.

Fin dai primi anni Ottanta dello scorso secolo, l’Italia ha avviato un lento processo che ha il principale obiettivo di superare il criterio della spesa “storica” nella programmazione finanziaria, per stimolare i ministeri a dare priorità tra diverse azioni e programmi, in modo da superare l’approccio “incrementale” e contenere i tagli “orizzontali”.

Dal 2016, la spending review è stata integrata all’interno del ciclo di bilancio dello stato (articolo 22-bis della legge di contabilità e finanza pubblica), secondo un processo top-down con specifici obiettivi di spesa triennali per ciascun ministero legati ai fabbisogni e alle priorità.

L’attenzione, seppure con scarsi risultati, si è concentrata finora solo sul controllo della spesa a legislazione vigente, come avvenuto di recente con le spending review del 2018-2020 (governo Gentiloni), 2023-2025 (governi Draghi e Meloni) e 2024-2026 (governo Meloni).

Cosa prevede il Pnrr

Con la “Riforma del quadro di revisione della spesa pubblica” (Milestone M1C1-102) è in vigore, già dal quarto trimestre 2021, la disposizione legislativa per migliorare l’efficacia della revisione della spesa. In attuazione del primo traguardo, è stato istituito il Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa, presieduto dal Ragioniere generale dello stato: è però rimasto solo sulla carta, non essendoci traccia della sua ufficialità e soprattutto del suo operato (convocazioni, verbali).

In attuazione dei successivi traguardi, con il Documento di economia e finanza 2022 prima e, successivamente, con il Dpcm 4 novembre 2022 e la legge di bilancio 2023-2025, sono stati definiti i previsti risparmi di spesa corrente o in conto capitale e il relativo riparto per ministero: 800 milioni di euro per il 2023, 1,2 miliardi per il 2024 e 1,5 miliardi a decorrere dal 2025.

Quale traguardo per il quarto trimestre del 2022 è stata redatta la relazione sull’efficacia delle pratiche utilizzate da amministrazioni selezionate per valutare l’elaborazione e l’attuazione di piani di risparmio (di seguito Relazione).

Con il Def 2023 e il Dpcm 7 agosto 2023 sono stati stabiliti ulteriori obiettivi di risparmio e il relativo riparto per ministero: 300 milioni di euro per il 2024, 500 milioni per il 2025 e 700 milioni a decorrere dal 2026.

In questi giorni, però, si avvia una nuova fase di revisione della spesa e il Documento programmatico di bilancio ha rivisto l’ammontare dei tagli. Un ulteriore balletto di cifre che non favorisce la programmazione della spesa. 

Oltre a riclassificare la spesa in un’ottica ambientale e di genere, l’obiettivo finale del Pnrr è quello di mettere a disposizione dei ministeri apposite linee guida per la formulazione e il monitoraggio dei piani di revisione della spesa.

Dai limiti della spending review alla programmazione della spesa nei ministeri

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Nella Relazione si precisa che la revisione della spesa presuppone un’attività di analisi degli effetti dei programmi a essa associati e degli input complessivamente necessari per il loro ottenimento. L’efficienza del processo è tanto maggiore quanto più si riescono a effettuare riduzioni degli stanziamenti su programmi inefficaci o con bassa priorità politica.

I criteri di analisi e di monitoraggio, da applicare alle singole voci di spesa o azioni, sono l’efficacia (la misura in cui un intervento raggiunge i suoi obiettivi), l’efficienza allocativa (capacità di destinare risorse in modo da massimizzare i benefici netti per la società), l’efficienza tecnica (capacità di ottenere il massimo risultato con il più basso livello di risorse utilizzate), il fallimento del mercato (presuppone la non sostituibilità dell’intervento pubblico).

Ogni decisione di riduzione della spesa andrebbe motivata, abbandonando l’approccio dei tagli lineari sulla spesa storica, più o meno indiscriminati, che ha caratterizzato i provvedimenti più recenti.

Ma i limiti della spending review derivano dal fatto che gli obiettivi numerici di risparmio sono calati dall’alto (top-down), lasciando ai centri di spesa la sola libertà di identificare, se possibile, le misure più appropriate. In “How to Design and Institutionalize Spending Reviews” (Fmi, 2022) si evidenzia che i singoli ministeri generalmente sono poco o per niente incentivati a offrire opzioni di risparmio o a identificare aree di spesa a bassa priorità. Un approccio ideale, ma difficilmente realizzabile, anche a giudicare dall’esperienza italiana in cui ogni ministro tende a portare acqua al suo mulino, potrebbe essere quello di revisioni di spesa proposte dal basso (bottom-up). Potrebbe essere più realistica ed efficace una soluzione intermedia, che veda tutti i soggetti interessati coinvolti nel processo decisionale.

La proliferazione dei fondi

Un esempio di inefficacia di spesa corrente è la notevole proliferazione di fondi utilizzati dagli enti centrali, passati da 128 del 2011 a 314 del bilancio di previsione 2023, che in molti casi sembrano rispondere a una ricerca di consenso in termini elettorali invece che a criteri di efficacia, efficienza e priorità di spesa.

Dai 31,7 miliardi di euro stanziati nel 2011 per fondi ministeriali di spesa corrente si è arrivati nel 2023 alla cifra record di 79 miliardi di euro, di cui 34 di competenza del ministero dell’Economia e delle Finanze, 12,6 di quello del Lavoro e delle Politiche sociali e 12 di quello dell’Interno.

I dati di consuntivo 2022 mostrano che sui 72,2 miliardi stanziati, la capacità di impegno è stata del 90 per cento (65,1 miliardi) e quella di pagamento del 75 per cento (48,9 miliardi). Altri 8,7 miliardi sono stati pagati sui 23,3 miliardi di residui passivi accumulati negli anni precedenti, con una capacità di smaltimento del 37 per cento (ogni anno ci sono reiscrizioni, riaccertamenti o fondi da ripartire alimentati da riaccertamento dei residui passivi perenti).

I fondi di maggiore entità (con stanziamenti superiori al miliardo di euro) sono solo 14, ma assorbono il 76 per cento delle risorse complessive. La maggior parte svolge funzioni rilevanti per l’azione dello stato (direttamente o indirettamente per mezzo di trasferimenti), come il Fondo sanitario nazionale (9,5 miliardi che vanno a integrare le altre risorse all’uopo dedicate), il Finanziamento ordinario delle università (9,2 miliardi), il Reddito di cittadinanza (7,8 miliardi nel 2023 ma destinato a essere sostituito nel prossimo anno dal Fondo per il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva), il fondo di solidarietà comunale (7,5 miliardi) e quello per il trasporto pubblico locale (5,1 miliardi).

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I fondi di media entità (tra i 100 milioni e 1 miliardo di stanziamento) sono 43, per complessivi 14,6 miliardi (il 19 per cento del totale). Tra essi, troviamo molti finanziamenti per il sociale, come il fondo per le non autosufficienze (865 milioni), il fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità (350 milioni), la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (622 milioni), l’acquisto di beni alimentari di prima necessità per i cittadini meno abbienti (500 milioni solo per il 2023). Ma anche un fondo per la riassegnazione dei residui passivi perenti passato da 60 milioni del 2022 a quasi un miliardo nel 2023, il fondo di riserva per le spese obbligatorie (685 milioni) e per quelle impreviste (440 milioni), l’acquisto dei vaccini per il Covid (650 milioni), il sostegno dell’autotrasporto contro il caro carburanti (200 milioni), il fondo unico nazionale per il turismo (176 milioni).

Infine, 4,1 miliardi (il 5 per cento del totale) sono destinati al finanziamento di 257 fondi (di cui 59 di nuova creazione nel 2023) con importi che non superano i 100 milioni di euro (14 fondi da 5 milioni di euro). Tra i tanti, 25 milioni di euro per la sovranità alimentare e – a distanza di quasi ottant’anni – 20 milioni per i danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Si tratta spesso di micro finanziamenti per le finalità più disparate, senza un reale interesse generale, di breve durata, alcuni dei quali aggiunti durante il dibattito parlamentare come concessione del governo per l’approvazione della legge di bilancio.

Le attuali modalità di gestione dei fondi di spesa corrente sono sintomatiche di quanta strada ci sia ancora da fare per arrivare a una corretta programmazione di bilancio, che riduca anche la necessità di effettuare interventi di revisione della spesa negli anni successivi. L’attenzione va spostata sulla programmazione triennale di bilancio per obiettivi e traguardi sull’intero periodo, per consentire una migliore destinazione delle limitate risorse finanziarie.

* Le opinioni espresse dagli autori in questo articolo sono personali e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza

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  1. Savino

    Bisogna intervenire sulla spesa per i manager, le consulenze strapagate, le 10.000 societa’ partecipate pubbliche dove entra nei CDA solo chi non viene eletto dalle urne e su tutte le spese del personale e correnti inutili e non produttive.

  2. Gym

    Una semplicissima consulenza per ridurre la spesa pubblica e fare giustizia:
    1) Eliminare le Regioni, il Senato, gli Enti Inutili;
    2) Sanità pubblica nazionale non regionale e Sanità privata separate e concorrenti;
    3) Assicurazione sanitaria familiare obbligatoria;
    4) Cassa Pensioni Private, controllate con certificazione annuale; (chi non ha pagato non deve riscuotere come accade adesso con lo statalismo dei superfurbi, politici-sindacalisti-truppa dei dirigenti di stato);
    5) Tasse al 10% sul Reddito Netto (detrazione di tutte le spese per tutti dipendenti e autonomi);
    6) Programmare l’uscita dal palamento europeo;

  3. Marcello

    Vorrei suggerire, nella analisi delle spese inutili una verifica di quanto costano le varie Autority (su gas ,elettricità, acqua ecc.) e che risultati hanno conseguito. Le bollette sono sempre più illeggibili e il confronto fra le varie offerte dei diversi fornitori finisce per diventare un atto di fede nei confronti che vengono proposti. Eppure tutto il problema sarebbe: dichiarare quanto è il costo fisso e quanto quello proporzionale al consumo e stop. Trasporto, commercializzazione oneri di sistema ecc. devono essere compresi in queste 2 voci.

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