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Prove di premierato all’italiana

In cinque articoli la riforma costituzionale del governo cambia radicalmente i rapporti tra elettori, presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica e Parlamento. Apre varie problematiche, in particolare con la figura dell’eventuale secondo premier.

I contenuti della proposta

Il Consiglio dei ministri ha approvato, nella seduta del 3 novembre 2023, un disegno di legge costituzionale che prevede l’introduzione in Italia dell’elezione diretta del presidente del Consiglio, oltre a un’altra serie di misure correlate. Ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, la modifica entrerà in vigore solo dopo due approvazioni da parte di entrambe le Camere; nonché un eventuale referendum, se la seconda approvazione non sarà a maggioranza qualificata. Sarà dunque il tempo a dirci se, all’ennesimo tentativo, il tradizionale parlamentarismo italiano sarà definitivamente superato o se, come nei casi precedenti, il tutto finirà in nulla (o addirittura con la caduta del governo che l’ha proposto, come già accaduto in passato).

Il Ddl costituzionale “Introduzione dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia” rivoluziona, in soli cinque articoli (quattro, se si escludono le norme transitorie e finali), i rapporti tra elettori, presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica e Parlamento.

L’articolo 1 cancella il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione (i senatori a vita di nomina presidenziale): se la riforma sarà approvata, gli unici senatori a vita saranno gli ex Presidenti della Repubblica, fatti salvi i cinque attuali di nomina presidenziale, che rimarranno in carica grazie all’articolo 5 del Ddl.

L’articolo 2 cancella le parole “o anche una sola di esse” dal primo comma dell’articolo 88 della Costituzione: il Presidente della Repubblica potrà sciogliere le due Camere solo contemporaneamente e non avrà più la possibilità di scioglierne una sola. A dire il vero, il potere di sciogliere una sola camera (nello specifico, il Senato della repubblica) è stato usato solo tre volte nella storia repubblicana e fintantoché Camera e Senato avevano durata diversa, cioè fino al 1963. L’eliminazione di questa facoltà appare piuttosto logica e, anzi, ci sarebbe da chiedersi perché non sia stata cancellata prima dal legislatore.

L’articolo 3 invece sostituisce completamente l’articolo 92 della Costituzione e introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri, che resta in carica cinque anni. Le votazioni per l’elezione del capo del governo e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. Per assicurare al presidente del Consiglio una maggioranza solida, almeno sulla carta, il nuovo articolo 92 prevede anche che la legge elettorale debba assicurare “un premio, assegnato su base nazionale, [che] garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio dei ministri”. Si prevede inoltre che il presidente del Consiglio sia un parlamentare. Non viene cambiato invece l’articolo 57 della Costituzione, secondo cui il Senato sarebbe comunque eletto “su base regionale”: questo elemento potrebbe creare qualche problema di costituzionalità con il premio di maggioranza assegnato su base nazionale.

L’articolo 4 modifica l’articolo 94 della Costituzione in due punti: innanzitutto, resta il vincolo di fiducia tra governo e Parlamento. Nell’eventualità che il “presidente eletto” (così chiamato dal Ddl) non ottenga la fiducia al primo tentativo, potrà tentare una seconda volta; dopo il secondo tentativo fallito, “il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”. In secondo luogo, il nuovo articolo 94 prevederebbe, se approvato, che in caso di “cessazione dalla carica del presidente del Consiglio eletto, il Presidente delle Repubblica [possa] conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il governo del presidente eletto ha ottenuto la fiducia”. Se questo tentativo non andasse in porto, al Presidente della Repubblica non resterebbe che procedere con lo scioglimento delle Camere.

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La madre di tutte le riforme?

Come al solito, a seconda di chi ne parla, la riforma è presentata in maniera completamente diversa. Si tratta dunque della “madre di tutte le riforme”, come l’ha definita Giorgia Meloni, oppure di un tentativo eversivo, come ritengono le opposizioni? Se guardassimo al programma elettorale di Fratelli d’Italia, che proponeva il presidenzialismo (cioè l’elezione diretta del capo dello stato, che è anche capo del governo), allora potremmo concludere che si tratta della classica montagna che ha partorito, se non il proverbiale topolino, qualcosa che gli assomiglia molto (la “semplice” elezione diretta di un presidente del Consiglio “sostituibile”). Sì, perché date le premesse, per la maggioranza il Ddl proposto dovrebbe già apparire un evidente compromesso al ribasso. Per chi ha la memoria un po’ più lunga, di fatto, metà dei contenuti del Ddl erano, e sono, il cavallo di battaglia di Matteo Renzi, colui che più di recente ha sponsorizzato il premierato nella versione “sindaco d’Italia”, cioè elezione diretta del premier e contestuale premio di maggioranza.

Tra il dire e il fare c’è comunque di mezzo il mare: è molto difficile che il testo, nella sua versione attuale, possa essere approvato così com’è, sia per questioni tecniche sia per questioni più squisitamente politiche. Le prerogative del capo dello stato rimangono quasi identiche, è vero. Ma la sua libertà di scelta di nomina del presidente del Consiglio è drasticamente ridotta: oltre al presidente eletto, anche l’eventuale sostituto dovrà essere scelto necessariamente all’interno del Parlamento e, in particolare, all’interno della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni.

Si tratta forse di uno degli elementi più controversi del provvedimento. Da un lato, perché, nell’ambito di un sistema che prevede l’elezione diretta del capo del governo, ha davvero poco senso dare la possibilità al Parlamento di sostituirlo senza che ciò provochi allo stesso tempo una cessazione di attività delle Camere (cosiddetto “simul simul”). Dall’altro perché, paradossalmente, sembra assegnare maggiore potere al secondo presidente, insostituibile se non a costo di nuove elezioni. In più si capisce poco perché lo stesso presidente del Consiglio eletto debba essere un parlamentare. Se vincente, non si siederà mai in Parlamento, se non in caso venga sostituito. Una specie di premio di consolazione? Forse. Stesso premio di consolazione per i candidati a presidente del Consiglio non eletti, cioè quelli degli altri schieramenti. Col dubbio, poco probabile ma comunque sempre possibile, di avere una coalizione vincente, ma un presidente non eletto come parlamentare: cosa succederebbe in questo caso? E ancora: che senso ha il voto di fiducia delle Camere al governo presieduto presidente del Consiglio eletto? È un voto sull’intero governo, e quindi anche sui ministri? È anche piuttosto strano, peraltro, che il premier eletto possa solo “proporre” e non “nominare” i ministri (esattamente come avviene ora). Il presidente del Consiglio è quindi eletto direttamente o è solo “fortemente suggerito” dal corpo elettorale? Inoltre, nonostante la maggioranza sembri compatta sulla riforma, è tutto da verificare che il Parlamento sia davvero pronto a rinunciare alla sua libertà di esercitare la sfiducia in maniera ampia, lasciando al Presidente della Repubblica il compito di sbrogliare eventuali matasse politiche.

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Molti dubbi anche sulla previsione di un premio di maggioranza del 55 per cento: il Ddl rimanda alla legge elettorale per i dettagli. Significa che, per applicare la riforma costituzionale, non basterà l’approvazione del Ddl ma servirà anche una nuova legge elettorale. Seguendo l’orientamento della Consulta, dovrà prevedere una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza su base nazionale, pena la dichiarazione di incostituzionalità come già successo in casi precedenti, salvo il ricorso a un secondo turno di voto (ballottaggio).

Per il momento, la questione elettorale, per quanto dirimente, è lasciata ai margini e rimandata alla legislazione ordinaria. Potrebbe essere una buona idea quella di “blindare” nella stessa Costituzione proprio una legge elettorale adatta al nuovo disegno, così da evitare che, in futuro, il legislatore stravolga, abusi o entri in conflitto con la Consulta sulla questione.

Sulla figura dei senatori a vita cala l’accetta della riforma. Certamente si tratta di una misura simbolica, che non limita né aumenta il grado di democrazia del paese, ma questa tradizione si sarebbe potuta salvare semplicemente diminuendo il numero di senatori nominabili dal Presidente della Repubblica, magari utilizzando la stessa proporzione con cui sono stati tagliati i parlamentari (per esempio, circa un terzo).

Dal punto di vista politico, le curiosità principali riguardano sia le sorti del provvedimento sia alcune sue conseguenze.

Sulla prima questione, da più parti si collega il premierato all’autonomia differenziata, come se i due temi fossero in qualche modo collegati dal punto di vista dei cosiddetti “check and balances”. In realtà, si tratterebbe solo di una compensazione politica tra alleati (Fratelli d’Italia e la Lega, naturalmente). Con buona probabilità tra qui e le elezioni europee, dovremmo dunque attenderci anche ulteriori sviluppi sull’applicazione del comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione. Vedremo.

Inoltre, se mai la riforma dovesse arrivare in porto, sarà interessante vedere come si svolgerà la coabitazione tra un presidente del Consiglio direttamente eletto e un Presidente della Repubblica eletto in maniera tradizionale.

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15 commenti

  1. Savino

    La sfiducia costruttiva vigente in Germania è altra cosa. Il suo presupposto è proprio la presenza (numeri alla mano) di una maggioranza alternativa (non di un allargamento o rafforzamento della maggioranza). Inoltre, nel modello tedesco, il Cancelliere in pectore ha una designazione parlamentare ed è indicato genericamente, in Costituzione, come “il successore” del Cancellierato presente, senza scartare l’ipotesi che possa essere un non parlamentare o un appartenente ad altro schieramento rispetto alla maggioranza uscente. L’elezione diretta, che può anche essere apprezzata, dovrebbe riguardare la figura del Capo dello Stato cui aggiungere poteri tipici dell’Esecutivo, come fargli presiedere il Consiglio dei Ministri, agire con la nomina e la revoca di un Primo Ministro e degli altri dicasteri ed altre modifiche anche della stessa legge 400 del 1988 e a norme successive sui dipartimenti in seno ad un Gabinetto. Per rafforzare i poteri di controllo del Parlamento potrebbe essere necessaria una legge sui partiti con la istituzionalizzazione del partito-gruppo parlamentare e conseguente modifica del vincolo politico del mandato. Bisogna, poi, saper distinguere i fenomeni: quello che chiamano ribaltone di per sè non dovrebbe essere una cosa vietata dalla legge poichè la democrazia è anche lo specchio dei numeri in Parlamento, mentre ciò che è contro galateo istituzionale è il trasformismo dei parlamentari (presente in Italia già dal Parlamento sabaudo di metà ‘800) e ciò che è contro la legge è la compravendita di parlamentari per indurli a cambiare casacca (le cronache degli ultimi 20 anni almeno sono state piene di questi episodi).

    • “L’elezione diretta, che può anche essere apprezzata, dovrebbe riguardare la figura del Capo dello Stato cui aggiungere poteri tipici dell’Esecutivo, come fargli presiedere il Consiglio dei Ministri, agire con la nomina e la revoca di un Primo Ministro e degli altri dicasteri ed altre modifiche anche della stessa legge 400 del 1988 e a norme successive sui dipartimenti in seno ad un Gabinetto.”

      Di fatto quello che lei auspica è un sistema semi-presidenziale francese, ove però aggiunge la revoca del Primo Ministro da parte del presidente. Questo implicherebbe una totale subarlternità del Primo Ministro al Presidente, cosa assolutamente normale nei casi in cui la maggioranza parlamentare coincida col partito del Presidente, ma decisamente meno auspicabile allorquando le maggioranze siano divise. In questi casi, in Francia, il Primo Ministro assume una posizione di rilievo proprio perché il Presidente non presiede il CDM e non può revocarlo. Per ridurre i rischi di maggioranze divise, da una ventina d’anni, in Francia hanno ridotto il mandato presidenziale da 7 a 5 anni, in modo che coincida con la legislatura.
      A questo punto non ha più senso mantenere direttamente il sistema parlamentare e dare al premier il potere di scioglimento? Magari sulla scheda elettorale si può anche decidere di inserire un riferimento al candidato Presidente del Consiglio, ma non è obbligatorio. Questo garantirebbe la stabilità (grazie al potere di scioglimento) e, allo stesso tempo, la giusta flessibilità, che è il principale merito del sistema parlamentare.

      • Savino

        Nelle Regioni c’e’ un solo attore, il Presidente, sia rappresentativo che esecutivo, ed un Consiglio regionale che legifera in modo limitato, nelle materie conferite. Nel modello Costituzionale, ci sono 3 attori: un Presidente della Repubblica rappresentativo (Capo dell’esercito e della magistratura), un Presidente del Consiglio che deve governare con i suoi Ministri ed un Parlamento che deve legiferare e controllare l’operato del Governo. Ecco perche’ il modello che lei suggerisce e’ semplicistico e non tiene presente della complessita’ dei poteri, presente dai tempi di Montesquieu in poi.

        • Comprendo assolutamente il suo punto di vista. Dimentica, però, un dettaglio. I Primi Ministri di Svezia, Regno Unito, Spagna e, come accennavo, anche in Germania in via indiretta hanno tutti il potere di scioglimento anticipato. Non si tratta di un qualcosa che caratterizza esclusivamente le nostre regioni, bensì la norma.
          Anzi, a tal proposito, sarei ben favorevole che sia introdotto un sistema simile a quello svedese, in cui il primo ministro può sciogliere le camere anche 7 giorni dopo essere stato sfiduciato (oppure decidere di dimettersi). In alternativa la combinazione spagnola sfiducia costruttiva più scioglimento anticipato non sarebbe una cattiva idea.

  2. Valerio Antonelli

    Una riforma sicuramente migliorabile, per quanto a far meglio della costituzione esistente ci si mette poco

  3. L’esperienza delle nostre regioni, nonché quella degli altri Paesi europei, mostra come l’unico vero deterrente alla caduta dei governi sia il potere, affidato al capo di governo, di sciogliere anticipatamente le camere. Come giustamente asserito nell’articolo, con il testo approvato in CDM questo potere verrebbe affidato solo al secondo premier e non al primo, quindi paradossalmente il secondo Presidente del Consiglio risulterebbe più stabile del primo pur non essendo stato scelto dagli elettori.
    C’è da chiedersi, allora, se sia necessario inventarsi un sistema così complesso e articolato, piuttosto che invece modificare direttamente l’art. 88, dando la possibilità al premier di richiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato. Tra l’altro, questo era l’intento originario dei costituenti. Poi si è affermata una prassi costituzionale ben diversa.
    La sfiducia come potrebbe cambiare? Un’idea potrebbe essere quella di emulare il modello svedese, in cui il premier che ha subito un voto di sfiducia può decidere entro 7 giorni se dimettersi oppure sciogliere le camere. Per scoraggiare ulteriormente le crisi extraparlamentari, magari si potrebbe anche vietare al Presidente del Consiglio che si sia dimesso volontariamente di assumere qualsiasi incarico di governo per 5 o 7 anni.
    In alternativa si potrebbe replicare direttamente il “simul stabunt simul cadent” delle regioni. Certo, sarebbe sicuramente un sistema meno flessibile di quello svedese, ma almeno abbiamo la prova che funzioni nel nostro Paese.
    Per quanto concerne l’art. 92, il legislatore ha voluto inserire il premio di maggioranza nazionale in ambo le camere direttamente in Costituzione per poter bypassare il problema dei premi di maggioranza regionali al Senato che affliggeva il Porcellum.
    Nella riforma proposta dal governo, infatti, non si dà al premier eletto dal popolo il potere di scioglimento. Pertanto, l’unico modo per assicurargli la stabilità è la legge elettorale. Tuttavia, bisogna vedere il modo con cui verrà assegnato il premio di maggioranza. Nel caso in cui venga affidato alle coalizioni, e non ad un singolo partito, si rischia che possa non funzionare più di tanto. Come scrive Sartori, i meriti del premio di maggioranza “possono essere aggirati facilmente da partiti che si uniscono soltanto per ottenere il premio, e che tornano alla litigiosità di prima appena terminata l’elezione. Una eventualità che può essere scoraggiata stabilendo che il premio è perduto, per tutti i partiti che ne hanno beneficiato, se la loro coalizione di governo si rompe. La possibilità di coalizioni coesive dipende da questa clausola (che richiede soltanto un parlamento a numero variabile)” (fonte: “Ingegneria Costituzionale Comparata”, cap. 1, p.19).
    Una piccola nota sulla sfiducia costruttiva. In Germania non serve a dare stabilità all’esecutivo, bensì ad evitare quello che succedeva nella Repubblica di Weimar, dove la destra e la sinistra si coalizzavano solo per sfiduciare un Primo Ministro senza effettivamente proporre un’alternativa di governo. La stabilità, invece, è fornita dal funzionamento della mozione di fiducia, che indirettamente dà al Cancelliere il potere di scioglimento anticipato del Bundestag.

  4. B&B

    La democrazia si attua attraverso il consenso, quindi con il voto popolare. Unico strumento democratico fornito dalla costituzione italiana ai cittadini, per il resto tutta statalista dove i cittadini non contan niente.
    Questo, cioè l scelta come conseguenza diretta, inequivocabile della preferenza espressa dagli elettori cittadini italiani, non piace ai non democrtici.
    Non piace a tutti quelli che lucrano sulle crisi permanenti, diventano premier a suon di corruzione politica, in barba al sentiment dei cittadini.

  5. B&B

    Meloni, spostando gli immigrati in Albania, ha dato scacco matto ai comunisti che non possono piu’ lucrare con le cooperative dell’immigrazione.

  6. Valerio Antonelli

    La proposta di riforma costituzionale del governo italiano presentata apre un dibattito interessante su come migliorare il sistema parlamentare del paese. È curioso osservare come, nonostante una maggioranza ampia come quella del governo Meloni, non si sia optato per un modello di presidenzialismo puro. Introducendo la figura di un vicepresidente del consiglio e conferendo al primo ministro la capacità di nominare e rimuovere i ministri si potrebbe dare maggiore completezza alla riforma così impostata

    • Il presidenzialismo puro, come pensato dai padri costituenti americani, basato sulla rigida separazione dei poteri, ha dimostrato ampiamente di non funzionare al di fuori degli USA. Basti vedere la totalità dei Paesi sudamericani. Il motivo è che i presidenti si trovano spesso con le camere di maggioranze opposte e quindi non riescono a portare avanti il loro programma. Se, inoltre, combini il presidenzialismo puro con una legge elettorale proporzionale hai combinato un disastro, perché il presidente sarà costretto a nominare i ministri da partiti molto diversi tra di loro. Negli USA la repubblica presidenziale più o meno funziona (anche se negli ultimi anni questa cosa sta iniziando anche lì a vacillare) poiché i partiti, a differenza di quelli europei, sono flessibili e quindi è più semplice trovare un supporto bipartisan.

  7. Marco Maiocco

    C’è un punto che secondo me è fortemente sottostimato: la fiducia continua ad essere concessa da entrambe le camere. Poiché nulla garantisce che entrambe le camere abbiano la stessa maggioranza (ancorché è ovviamente l’esito più probabile), il testo è monco e foriero di possibili crisi istituzionali…. Senza contare una scheda elettorale lenzuolo….

  8. bob

    chi si illude che un calciatore di serie D possa primeggiare in Champions League è solo un povero illuso
    Si è distrutta una classe Politica che con tutte i suoi limiti era “classe Politica” senza pensare alle conseguenze che il vuoto avrebbe creato.
    Una strategia finalizzata solo per salire al potere senza un minimo di etica oltre che di scrupolo, oltretutto l’obiettivo è perfino fallito lasciando il Paese in mano a personaggi che in altri momenti non avrebbero fatto neanche il ” presidente della bocciofila del paese”

  9. Carlo

    L’elezione diretta del primo ministro (non del presidente in una repubblica presidenziale, che è cosa diversa) è una rarità, e per ottimi motivi. Che io sappia, uno dei pochi paesi, se non proprio l’unico, in cui fu sperimentato questo sistema fu Israele alla fine degli anni ’90. Il sistema fu abbandonato ben presto perche, molto banalmente, non funzionava : nel 1996 venne eletto primo ministro Netanyahu, ma fu un altro partito, il Labour, a vincere la maggioranza relativa dei voti (27%).

    Stupisce che non si sia dedicato più tempo a studiare come questo sistema abbia funzionato o no, e perché, altrove.

    Si dirà: ma la proposta della Meloni prevede un premio di maggioranza per le liste collegate al candidato primo ministro, quindi un esito come quello israeliano dovrebbe essere scongiurato. In mancanza di dettagli, però, è impossibile farsi un’opinione: cosa succederebbe nella notorioamente litigiosa politica italiana se, anzi quando, i partiti alleati collegati al PM litigano e le alleanze si sfaldano?

    Resto dell’idea che abbiano senso o un sistema presidenziale, che in Italia secondo me non funzionerebbe bene, o uno parlamentare, in cui il PM deve quindi necessariamente essere espressione del parlamento.

  10. lantan

    1) Recita l’art. 1 Cost che ”la sovranità appartiene al popolo (APPARTIENE, non emana dal popolo!) che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La proposta di legge elettorale che supporta il premierato e che non prevede una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza su base nazionale, è già di per sé incostituzionale (vedi sentenza della Consulta contro Italicum). Tale proposta di legge assomiglia in modo inquietante alla fascistissima legge Acerbo che Mussolini promulgò dopo essere andato al potere; poi sappiamo tutti come andò a finire: per mandarlo via fu necessaria una guerra.
    2) C’è bisogno di una nuova legge elettorale ed è preoccupante che questo aspetto al momento non sia considerato dirimente. Perché da quando la classe politica ha prodotto leggi elettorali ispirate al maggioritario, sarà un caso ma aumentata sempre di più la quota di elettori che non vanno a votare – basta vedere le percentuali di elettori che vanno a votare per le elezioni del Consiglio Regionale. E c’è bisogno, soprattutto, di restituire sovranità agli elettori, superando, per esempio, il sistema delle liste bloccate. Poi bisognerebbe consentire la differenziazione del voto, cosa fondamentale se si introduce l’elezione popolare del presidente del Consiglio: dovrei avere la possibilità di votare per un candidato presidente, scegliendo magari una lista o una coalizione diversa dalla sua, perché magari non mi piacciono i partiti che lo sostengono. Invece si vuole imporre il voto congiunto, come avviene con il Rosatellum, con i collegi uninominali e il voto di lista: se un elettore vota per un candidato ai collegi uninominali e per una lista o una coalizione diversa il voto è nullo. Siamo alla violazione della libertà di voto!
    3) Francamente non si vede tutta questa necessità di rafforzare ulteriormente, mediante il premierato, il potere esecutivo a scapito degli altri poteri dello Stato; gli attuali governi hanno già poteri rilevanti, visto che l’esecutivo ormai ha assorbito tutti i principali poteri del Parlamento, togliendogli la potestà legislativa. Semmai ciò che occorre è rafforzare e rilanciare il ruolo del Parlamento riformando, per esempio, i regolamenti parlamentari e limitando il ricorso ai voti di fiducia che ormai sono diventati la routine anche per quei governi che godono di una forte maggioranza dei seggi.
    4) Il premierato, variante del presidenzialismo, non esiste in nessun paese al mondo. Ci hanno provato in Israele, se lo son tenuto per una decina d’anni, poi l’hanno abbandonato per tornare al sistema precedente. Trattasi di un sistema raffazzonato con pezzi di parlamentarismo e pezzi di presidenzialismo, che finirà per produrre solo danni e continui rimaneggiamenti. In ogni caso faremo di tutto per fulminarlo al Referendum, come successo coi precedenti tentativi di eversione autoritaria ed autocratica della Costituzione nel 2006 e nel 2016. Amen.

  11. Henri Schmit

    Ormai le riforme costituzionali in Italia sono concepite nelle scuole alberghiere. In bocca al lupo!

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