Anche all’interno di territori competitivi, emergono notevoli disparità a favore delle imprese nelle aree urbane o periurbane. Le politiche regionali e quelle per le aree interne devono tener conto di queste differenze, evidenziate da nuove tecniche.
La competitività delle regioni italiane
Nel dibattito sulla competitività del sistema produttivo italiano, l’elemento territoriale è trascurato o ridotto a semplificazioni eccessive a causa della mancanza di dati a una scala territoriale fine.
La fonte di informazione più comunemente utilizzata è quella del Regional Competitiveness Index (Rci, Indice di competitività delle regioni) dell’Unione europea: nelle sue varie edizioni, confronta le regioni europee sulla base di un indice composto da undici indicatori di base, a loro volta aggregazioni di alcune decine di variabili.
Dalle informazioni sul Regional Competitiveness Index sappiamo, per esempio, che le regioni italiane stanno perdendo terreno (in modo abbastanza uniforme) rispetto a quelle del resto d’Europa e che, nonostante il ventennale declino generale del paese, alcune regioni mantengono livelli elevati di competitività.
Nella piattaforma dell’ultima edizione, aggiornata al maggio 2023, la prima regione italiana è la Lombardia, con un valore di 103.2 che la colloca in 98ma posizione su 234 regioni, l’Emilia-Romagna è a 93.6, il Veneto a 92.6 e il Lazio a 91.4.
Chiaramente, i risultati sono diversi per i diversi indicatori e questo può essere utilizzato per identificare le priorità di intervento regionale.
Sapere che la Lombardia è la regione più competitiva d’Italia, però, può nascondere differenziali a una scala territoriale più fine. È tutta la regione a essere competitiva o, al suo interno, ci sono aree forti e deboli, ognuna con le sue specificità? La risposta è importante, anche alla luce degli interventi per la questione delle aree interne e per i complessi rapporti città-hinterland.
La competitività territoriale alla scala sub-regionale
La mancanza di dati rende impossibile calcolare gli indicatori del Regional Competitiveness Index a una scala sub-regionale. Di recente, abbiamo però sviluppato una metodologia che, a partire da dati di impresa, permette di calcolare la competitività di territori più piccoli e per diversi settori economici. In sintesi, la metodologia si basa sull’idea che, se si comparano (con un’analisi econometrica) imprese simili in tutti gli elementi misurabili salvo che nella loro localizzazione, e se la loro performance risulta significativamente diversa statisticamente, i differenti risultati dipenderanno dagli elementi della competitività territoriale.
In un progetto svolto in collaborazione con Pòlis-Lombardia, abbiamo poi applicato la metodologia al caso della Lombardia, scelta in quanto regione più competitiva d’Italia, per comparare la performance competitiva dei vari territori che la compongono. Per farlo, siamo partiti dalla classificazione delle aree interne (che divide i comuni in poli, aree di cintura, intermedie e periferiche) e l’abbiamo estesa separando tra i poli urbani, Milano e i capoluoghi di provincia; tra le aree di cintura, quella milanese dalle altre; tra le aree intermedie e periferiche, quelle montane dalle altre (figura 1).
Figura 1 – Classificazione delle aree lombarde
Fonte: Federico Fantechi e Ugo Fratesi, “Spatial patterns of territorial competitiveness: The role of peripherality, urbanization and physical geography”, 2023.
Quali territori sono più competitivi?
I risultati dell’analisi mostrano vari elementi interessanti. Innanzitutto, il ruolo svolto da accessibilità, perifericità e svantaggio geografico non è sempre lo stesso, ma dipende dal settore di attività economica.
Emergono però anche chiare tendenze generali. In particolare, c’è un grande effetto centripeto derivante dalla presenza delle aree metropolitane, quella milanese in particolare. Questo si diffonde all’hinterland metropolitano che, pur essendo limitato dalla maggiore attrattività della città, risulta comunque più competitivo rispetto ad altre zone simili presenti all’interno della regione.
Inoltre, sembra manifestarsi un gradiente che lega competitività e accessibilità: le aree più lontane dai poli risultano essere, in media, sempre meno competitive. Questo effetto di geografia di seconda natura (legata all’insediamento umano e alla perifericità) domina quello di geografia naturale, visto che le aree montuose non risultano essere diversamente competitive rispetto ad altre aree dello stesso livello di perifericità.
Implicazioni per le politiche di sviluppo
Questa evidenza, per la prima volta misurata, è rilevante per le politiche di sviluppo regionale basate sulla competitività, che, di solito, non sono differenziate territorialmente all’interno delle regioni e, di conseguenza, potrebbero inconsapevolmente esacerbare i differenziali interni.
Vista la loro significativa presenza, i differenziali intra-regionali di competitività, dovrebbero essere tenuti in considerazione in quelle strategie che dal territorio cercano di trarre vantaggi competitivi, quali le strategie di specializzazione intelligente.
Le strategie per le aree interne, infine, dovrebbero tenere conto in modo misurabile di quali sono i settori economici in cui le singole aree obiettivo hanno o non hanno uno svantaggio competitivo.
Sia a livello di programmazione che a livello di valutazione i decisori politici trarrebbero vantaggio dall’uso di conoscenze territoriali più dettagliate, ora permesse dai nuovi strumenti.
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Savino
La geografia politica del territorio deve essere impostata in una dimensione più urbana, accorpando i Comuni. In Italia si potrebbe ridurre i Comuni quasi del 50%, passando da circa 8.000 a non più di 4.000-4.500.
Emanuele
Le politiche regionali di sviluppo locale non hanno interesse ad essere valutate in base all’evidenza, toglierebbero i margini di discrezionalità per fare accordi basati su fiducia e consenso. Le poltiche centrali, in particolare la SNAI, anche facendo della misurazione degli svantaggi competitivi un presupposto di ammissibilità, rimanendo estremamente circoscritta ad ambiti di intervento troppo limitati per avere un impatto nella competitività delle imprese locali insediate, non a caso punta a rafforzzare i servizi sociali delle forme costituite di Unioni di piccoli comuni (con rari casi di interventi oltre le sezioni ammininistrative dalla gestione associata originaria). Ecco, se poi si scende a questo livello, dei piccoli comuni e degli enti di governo che avrebbero dovuto incidere su capacità amministrative, quelle almeno minime indispensabili per cogliere le rare opportunità esterne, il discorso si fa ancora più critico. Sono i primi che purtroppo negano l’evidenza e rimane difficile sostenerli anche da parte di misure che sarebbero finanziate da privati,
antonio troisi
molto bene tuttavia un miglior rsultato si ottiene ricorredno ad un obiettivo criterio di virtuosita finaziaria rappresentato all’indice della misurabilita empirica delle interdipemdenze fiscali con il quale ho elaborato correttamente(ex comma 44 art.1 legge n.56/2014 ) i piani strategici delle aree metropolitane. Con esso e possibile misurare il livello di competitivita tra la citta metropolitana di Milano e le 10 province esterne all’area metropolitana.Cordialmente Antonio Troisi