Perché le banche centrali sono così riluttanti a tagliare i tassi d’interesse? Semplicemente perché l’economia tradizionale è incapace di prevedere il futuro in un mondo caratterizzato dal susseguirsi di crisi: dalla pandemia al protezionismo, alle guerre.
Il passo della banca centrale svizzera
Il 21 marzo la Banca nazionale svizzera ha abbassato inaspettatamente il suo tasso guida di 25 punti base, portandolo all’1,5 per cento, dopo che a febbraio l’inflazione nella Confederazione elvetica era scesa all’1,2 per cento. È la prima banca centrale di un paese sviluppato a ridurre i suoi tassi ufficiali. Tuttavia, la Svizzera è un paese particolare, in eterna lotta con una moneta che continua a rivalutarsi, dove il picco di inflazione raggiunto nell’agosto del 2022 si è attestato al 3,5 per cento e da molti mesi viaggia sotto la soglia del 2 per cento.
Nei giorni precedenti alla decisione svizzera, Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, si era invece rifiutata d’impegnarsi su futuri tagli dei tassi, avvertendo che l’inflazione nella zona dell’euro rimarrà sopra la soglia obiettivo per il resto dell’anno. Jay Pawell, presidente della Federal Reserve, ha d’altra parte anticipato un probabile taglio dei tassi nella seconda parte dell’anno, senza però chiarire bene quando e di quanto.
Perché le banche centrali sono così riluttanti non solo a tagliare i tassi d’interesse, ma anche ad annunciare un sentiero di rientro probabile? Perché le “forward guidance”, ovvero le comunicazioni sul futuro dell’economia e sul probabile corso della politica monetaria, tanto sbandierate negli scorsi anni, hanno lasciato il posto a una politica monetaria “data dependent meeting by meeting” (decisa sulla base dei dati in ciascuna riunione)?
L’incertezza regna sovrana
La ragione è semplicemente che le banche centrali non riescono a prevedere l’andamento futuro del ciclo economico e dell’inflazione. In un mondo in cui gli shock da offerta si susseguono, dalla pandemia alle guerre, dalla rottura delle catene di approvvigionamento alle crisi geopolitiche, fino a un protezionismo dilagante, fare previsioni sull’andamento delle variabili economiche diventa estremamente difficile.
Come analizzato in un recente lavoro del Fondo monetario internazionale, oggi i responsabili della politica monetaria devono affrontare un insolito grado di incertezza “knightiana”, cioè non facilmente catturabile con una distribuzione di probabilità, sulla persistenza dell’inflazione. Incerte sono anche le previsioni circa il tasso naturale di disoccupazione (che assicura una inflazione stabile), il tasso di interesse neutrale (dove la politica monetaria non risulta né espansiva né restrittiva) e i meccanismi di trasmissione della politica monetaria.
In questo contesto le autorità hanno buone ragioni per adottare un approccio “robusto” alla politica monetaria. In altre parole, nell’ipotesi che l’inflazione possa essere più persistente di quanto solitamente accada, i banchieri centrali sono indotti a fissare un tasso di interesse di riferimento più alto. Infatti, i costi di portare avanti una politica monetaria più restrittiva del necessario sono inferiori a quelli di tagliare troppo presto i tassi d’interesse. Presumere, erroneamente, che l’inflazione sia terminata implicherebbe dover inasprire poi la politica monetaria molto di più, e più rapidamente, di quanto sarebbe stato necessario utilizzando un comportamento prudente. Un cambiamento brusco potrebbe anche avere effetti dirompenti sui mercati finanziari e sulla credibilità delle banche centrali. In altri termini, si agisce in base al motto “better safe than sorry”, ovvero “meglio prevenire che curare”.
La questione risulta ulteriormente complicata dal fatto che mai prima d’ora un’inflazione delle dimensioni di quella appena osservata è stata vinta senza un significativo aumento della disoccupazione. Oggi invece in tutti i principali paesi ci troviamo in una situazione di quasi pieno impiego.
In conclusione, la riduzione dei tassi ufficiali è in arrivo, ma non dobbiamo avere troppa fretta. Dobbiamo sempre ricordarci le scarse capacità predittive della scienza economica in un mondo continuamente turbato da shock difficili da valutare e governare. D’altra parte, come scriveva Alfred Marshall nell’introduzione ai suoi Principi di economia: “L’economia politica o economia è uno studio del genere umano negli affari ordinari (…)”. Non aspettiamoci niente di più.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
Il problema continua ad essere l’inoperatività dei Governi sul fronte inflazione.
L
Mi sembra che l’inflazione sia stata domata dagli interventi governativi.
Inoltre se l’economia non serve a niente, perché non riesce a prevedere nulla, e allora bisogna stare fermi meglio stare fermi a tassi zero come il Giappone.
Savino
E le tariffe aeree e dei mezzi pubblici fuori controllo? E le spese per l’infanzia e per alcuni beni sanitari? E perfino beni di primario consumo alimentare incrementati (olio d’oliva, zucchero, pasta e pane….)? Ma dove vive lei?