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Si fa presto a dire “global minimum tax”

L’obiettivo della global minimum tax, promossa da Ocse, G20 e Ue, è far sì che le multinazionali paghino un ammontare equo di imposte. Ma la complessità delle regole aumenterà i costi amministrativi per le imprese. Restano dubbi sul gettito effettivo.

Una tassa per le multinazionali

Una tassa minima del 15 per cento sulle multinazionali. Semplice, no? Non molto, in realtà. Come spesso accade nelle misure di politica fiscale, non si sfugge alla legge delle conseguenze indesiderate, e per far funzionare la global minimum tax è stata necessaria l’introduzione di una serie di regole tra le più complesse nella storia della fiscalità internazionale. Ci sono, quindi, già alcuni effetti certi della Gmt: i costi amministrativi per le imprese. Inoltre, pur con l’obiettivo condivisibile di tassare le multinazionali facendo pagare loro una quota equa di imposte, l’esito della tassa è purtroppo ancora incerto. Perché? Perché la riforma parte “zoppa” del primo pilastro, ovverosia quello più importante per redistribuire le imposte nei paesi in cui i ricavi vengono effettivamente conseguiti, in particolare per i servizi digitali prestati dai giganti del web. L’impatto per le casse dello Stato? Le stime governative iniziali parlavano di un gettito atteso di 3 miliardi, ma guardando più in dettaglio il Servizio bilancio della Camera abbassa la stima addirittura a soli 380 milioni per il primo anno. Per fare un confronto, il gettito della sola Ires nel 2022 ha comportato entrate fiscali pari a circa 13,8 miliardi.

Come è nata

Per capire la global minimum tax bisogna fare un passo indietro e illustrarne brevemente le origini. Fa parte di un progetto più generale dell’Ocse di riforma del sistema, o per meglio dire, dei sistemi fiscali a livello internazionale. L’iniziativa è stata poi sviluppata congiuntamente in sede di G20, prendendo il nome di “Ocse/G20 Inclusive Framework on Beps”, dove Beps sta per “Base Erosion and Profit Shifting”, stando a indicare tutte quelle pratiche di minimizzazione (erosione) della base imponibile fiscale, incluse quelle di spostamento di profitti e base imponibile verso paesi a fiscalità privilegiata. Con queste iniziative, i paesi Ocse e G20 hanno intrapreso un percorso di lungo termine per affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell’economia. Nel gennaio 2020, con un accordo storico, si è deciso di procedere con un approccio a due pilastri.

Il primo pilastro riguarda la redistribuzione dei profitti delle multinazionali in base al luogo in cui i consumatori si trovano, che permette di affrontare il problema dell’erosione della base imponibile e dello spostamento dei profitti in paesi con imposte più basse. Le disposizioni si applicano alle multinazionali con ricavi globali superiori a 20 miliardi di euro e con un utile lordo superiore al 10 per cento degli stessi. Purtroppo, non c’è ancora la convergenza su questo pilastro, nonostante nell’ottobre scorso sia stata stilata una bozza di accordo multilaterale in merito.

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Il secondo pilastro riguarda l’introduzione di una tassa minima globale del 15 per cento sulle multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro, entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 2024. Attenzione però: il 15 per cento rappresenta il carico fiscale effettivo sugli utili (effective tax rate) e non semplicemente quello nominale. L’imposta si applica a tutte le società capogruppo di gruppi multinazionali aventi sede in paesi aderenti all’accordo. Per esempio, una società capogruppo italiana che detenga una partecipazione totalitaria in una società localizzata alle Barbados, che paga un’imposta effettiva del 9 per cento, a partire dal 1° gennaio 2024, deve corrispondere una imposta integrativa del 6 per cento sui profitti della società partecipata, portando il suo carico fiscale complessivo al 15 per cento. Non solo. L’imposta si applica anche alle imprese controllate se la capogruppo ha sede in un paese non aderente: in tal caso il paese inadempiente perde il diritto di tassare la capogruppo e l’imposta è pagata dalle partecipate che hanno sedi in paesi aderenti.

In sintesi, l’accordo mira a garantire che le multinazionali paghino la loro giusta quota di imposte (15 per cento) indipendentemente da dove operano.

Per sfide globali servono risposte globali

Da questa breve descrizione si capisce però come l’obiettivo dichiarato di tassare “i giganti del web” sia difficile da perseguire. La mancanza di un accordo sul primo pilastro rende ancora molto incerto il luogo di tassazione dei profitti sui servizi digitali. Nonostante i tentativi nazionali fatti con la web tax italiana e la stabile organizzazione “senza presenza fisica”, ogni norma a solo carattere nazionale è destinata verosimilmente a fallire. Pare quasi ovvio affermare che sfide globali impongono risposte altrettanto globali.

Detto ciò, le stesse regole sulla global minimum tax sono molto articolate e constano di numerose guide, indicazioni e chiarimenti applicativi da parte dell’Ocse (e se ne attendono altre). In realtà, il principio da cui si era partiti era di immediata applicazione e comprensione: tassare gli utili contabili (quelli risultanti dal bilancio per intendersi). Ne è testimonianza il fatto che sia la senatrice Elizabeth Warren che l’allora senatore Joe Biden la proposero più volte negli Stati Uniti come “Book Minimum Tax”, letteralmente tassa sugli utili di libro, ovverosia i libri contabili.

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Se lo si può fare (anche se è non del tutto auspicabile) in un contesto nazionale, a livello internazionale suscita molteplici problematiche. Prima di tutto le imprese sono soggette a diverse regole di redazione del bilancio nei vari paesi, i cosiddetti principi contabili. Poi, non tutte le imprese redigono il bilancio di gruppo, ossia il bilancio consolidato. Infine, come ben sanno gli studiosi di accounting, i principi contabili implicano alcune facoltà di scelta nonché l’uso di numerose stime. Pertanto, sarebbe rischioso da un punto di vista fiscale rimettersi completamente alle valutazioni degli amministratori, mentre da un punto di vista di bilancio, le scelte contabili non sarebbero dettate da sostanza economica, ma da convenienza fiscale minando così la qualità degli utili e l’informativa contabile al mercato.

È così nato un complesso sistema di norme (il cosiddetto Globe – Global Anti-Base Erosion) per l’applicazione della tassa minima globale che, pur partendo dall’utile di bilancio, apporta numerose e complesse variazioni e aggiustamenti che si intrecciano con una serie di esenzioni e disapplicazioni (cosiddetto safe harbour). Alla fine, si tratta sostanzialmente di un terzo binario di regole contabili-fiscali che si affianca al bilancio e alla dichiarazione dei redditi nazionale, la cui adozione richiederà un flusso informativo continuo da e verso la capogruppo, facendo salire i costi di compliance per i dipartimenti fiscali delle grandi aziende.

Un merito la global minimum tax ce l’ha sicuramente: aver fermato la corsa al ribasso delle aliquote fiscali tra i paesi aderenti. Lo testimoniano le resistenze di paesi europei come Irlanda (imposta sulle società 12,5 per cento), Ungheria (9 per cento) ed Estonia (20 per cento in sede di distribuzione degli utili), mentre l’Italia ha fatto da apripista nel recepimento della norma insieme ad altri paesi europei e non, come Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Canada, Norvegia, Australia, Corea del Sud, Giappone e Svizzera.

Restano ancora indietro, invece, due grandi attori globali come Stati Uniti e Cina. Il successo della global minimum tax dipenderà anche da loro.

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  1. B&B

    La tassa migliore a favore dell’Italia, sarebbe quella di uscire dall’europa.
    Ci hanno appena espropriato 14MLD, incassato dai “fratelli socialisti europeisti” per il differenziale risparmiatori, regalato alle banche tedesche, francia e Olanda. Chi in passato, in Italia ha firmato quegli accordi? Con la profonda corruzione, nascosta dai media e in corso, nel parlamento europeo, lo hanno fatto a gratis?

    Alle banche tedesche un bel regalo da tutti noi *
    Angelo Baglioni
    09/04/2024

  2. Complimenti Antonio e Luca per la chiarezza su un tema cosi complesso. Due considerazioni: 1. la frase conclusiva è forse il primo punto da evidenziare – senza ‘full in’ di US e Cina, parliamo di palliativi; 2. siamo sicuri che rallentare la riduzione della tassazione nei paesi aderenti (Cram & Olbert 2023) sia un beneficio? Grazie per la condivisione!

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