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Come si cambia: il Pnrr dopo la revisione*

Il risultato di cancellazioni, definanziamenti, rifinanziamenti e creazione di nuovi progetti è una distribuzione delle risorse finanziarie all’interno del Pnrr decisamente diversa dal piano originale. Anche tra i ministeri c’è chi guadagna e chi perde.

Il Pnrr dopo la revisione

Nel 2023, l’Italia ha chiesto una revisione dell’originario Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a causa di diversi fattori che sono sopraggiunti rispetto alla situazione iniziale: tra l’altro, l’aumento dei prezzi, il cambiamento delle condizioni di mercato con l’aumento dei costi, la mancanza di domanda, le procedure preparatorie più lunghe del previsto, le turbative nelle catene di approvvigionamento e la ricerca di alternative migliori.

Con l’entrata in vigore del regolamento su RePower EU, resosi necessario a seguito del conflitto russo-ucraino, è stata poi aggiunta una nuova missione, composta da 17 investimenti e 5 riforme.

Il risultato di cancellazioni, definanziamenti, rifinanziamenti e creazione di nuovi progetti è una distribuzione delle risorse finanziarie all’interno del Pnrr ampiamente modificata.

Tabella 1 – Impatto finanziario delle modifiche al Pnrr per componente

Fonte: Database per il monitoraggio del Pnrr/Pnc (M. Montella e F. Mostacci)

La revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ha comportato la cancellazione o il definanziamento di alcune misure a causa della difficoltà di realizzarle entro la fine del 2026, il termine previsto dal regolamento. Per queste misure, il governo si è impegnato a trovare alternative di finanziamento, come il Piano nazionale complementare o altri fondi disponibili in bilancio.

Altre misure, invece, sono state rafforzate e alla nuova missione RePower EU sono stati assegnati 11,2 miliardi.

La rimodulazione ha anche comportato una revisione dei traguardi qualitativi e degli obiettivi quantitativi per ciascun investimento o riforma. I tempi di attuazione sono stati rivisti, cosicché sono passati da 69 a 52 gli interventi da completare entro il secondo semestre del 2023 per ottenere il pagamento della quinta rata, che è stata però ridotta da 18 a 10,5 miliardi di euro. Per quindici traguardi e un obiettivo, la data di completamento è stata posticipata, mentre un traguardo e un obiettivo sono stati anticipati ed è stato introdotto un nuovo traguardo. Sono invece diciassette (7 traguardi e 10 obiettivi) gli interventi che hanno subito una modifica, nella maggior parte dei casi al ribasso rispetto a quanto inizialmente previsto.

Tabella 2 – Le principali modifiche al Pnrr per componente

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Fonte: Database per il monitoraggio del Pnrr/Pnc (M. Montella e F. Mostacci)

La revisione sembra aver favorito  le imprese, a scapito degli enti locali, delle misure sociali e del Sud.

Per quanto riguarda la riduzione delle disuguaglianze territoriali, il decreto legge 77/2021 aveva previsto che il 40 per cento degli investimenti “territorializzabili” fosse destinato alle regioni del Mezzogiorno: erano quantificabili in circa 75 miliardi, ai quali se ne aggiungevano altri 11 del Fondo complementare. Nulla si sa sull’importo aggiornato a seguito della revisione, ma anche alla luce delle considerazioni svolte in audizione parlamentare da Gianfranco Viesti, è possibile ipotizzare che si sia ridotto, visto anche che i definanziamenti hanno riguardato in misura maggiore gli investimenti territorializzabili.

La sanità (missione 6), pur avendo mantenuto le stesse risorse, 750 milioni spostati dagli ospedali sicuri e sostenibili all’assistenza di prossimità e telemedicina, è stata notevolmente ridimensionata nel raggiungimento degli obiettivi finali: le case della comunità si riducono da 1.350 a 1.038, le centrali operative (telemedicina) da 600 a 480, gli ospedali di comunità da 400 a 307, gli interventi antisismici nelle strutture ospedaliere da 109 a 84.

Ministeri che guadagnano e ministeri che perdono

La revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ha comportato benefici significativi per alcune amministrazioni, mentre altre hanno subito un ridimensionamento dei finanziamenti a loro spettanti. Tra le amministrazioni più favorite troviamo il ministero delle Imprese e del Made in Italy, che ha ricevuto un incremento di finanziamenti pari a 9,2 miliardi di euro. Anche il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha ottenuto un aumento consistente di risorse, pari a 2,9 miliardi di euro, mentre il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha beneficiato di 1,1 miliardi di euro aggiuntivi.

D’altra parte, si sono ridimensionati i finanziamenti destinati al ministero dell’Interno, che ha registrato il maggior decremento, con una riduzione pari a 8,9 miliardi di euro. Anche il dipartimento della Trasformazione digitale ha subito un taglio significativo, con una diminuzione di 1,4 miliardi di euro, mentre al dipartimento per le Politiche di coesione il finanziamento è stato ridotto di 1 miliardo di euro.

Al 31 dicembre 2023, l’Italia ha registrato un avanzamento finanziario significativo rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Gli incassi ammontavano a 102 miliardi di euro, mentre le spese effettivamente sostenute si attestavano a 45,6 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi relativi a misure non più presenti dopo la revisione del piano. Questo ha lasciato un’eccedenza di circa 60 miliardi di euro, che lo stato italiano oggi ha destinato ad altre finalità.

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Con l’introduzione della nuova missione RePower EU, il contributo climatico nel Piano nazionale di ripresa e resilienza è aumentato da 71,7 miliardi a 75,9 miliardi, rappresentando ora il 39 per cento del totale, rispetto al precedente 37,5 per cento. Al contrario, il target digitale è stato ridimensionato di 1 miliardo, passando dal 25,1 per cento del totale al 24,2 per cento, evidenziando possibili cambiamenti di priorità nel quadro complessivo.

In conclusione, la revisione del Pnrr ha comportato una serie di cambiamenti, tra cancellazioni, definanziamenti, rifinanziamenti e nuove iniziative. All’aumento degli investimenti per le imprese e per la transizione verso un’economia verde, si contrappone una riduzione delle misure sociali e di quelle destinate agli enti locali. Desta particolare preoccupazione la minore attenzione alla riduzione delle disuguaglianze territoriali, con la penalizzazione per il Mezzogiorno.

Infine, va sottolineato che la revisione del Pnrr è stata l’occasione per nascondere le difficoltà di realizzazione del piano e i ritardi finora accumulati. Le cause esterne invocate per ridimensionare i traguardi e gli obiettivi non sempre corrispondono pienamente alla realtà, soprattutto quando sono state motivate con la “ricerca di alternative migliori”. Questa tendenza solleva interrogativi sulla trasparenza e l’efficacia del processo di pianificazione e realizzazione del piano di ripresa nazionale.

* L’articolo riflette solo l’opinione degli autori e non impegna in alcun modo l’Istituto di appartenenza.

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  1. Savino

    Non stiamo centrando l’obiettivo-base che è quello di riformare il nostro Paese. Le decisioni e le risorse continuano ad essere appannaggio di un’Italia vecchia biologicamente e, ancor di più, nella mentalità. Un’Italia scorbutica, soprattutto con le donne, i giovani, i nuovi cittadini. Si sente dire che l’Europa non cambia mai, e c’è una parte di verità in questo, ma quando cambia l’Italia? Il PNRR è innestato nel modello di tangentopoli, è l’ennesimo fondo del barile su cui i soliti grattano. Non si può andare avanti senza passare la mano a nuove generazioni, che vadano a sostituire chi ci sta prendendo in giro con sragiomamenti ed evanescenze.

  2. Enrico

    Sarebbe interessante conoscere l’ammontare dei fondi effettivamente utilizzati (non solo riassegnati e “impegnati”) e la percentuale degli interventi realizzati. Su questi punti le analisi della Corte dei Conti mi sembrano impietose, tanto da far ritenere quasi irrilevanti le riallocazioni dei fondi …sulla carta. La verità è che la madre di tutte le riforme è praticamente a costo zero, e consiste nel sostanziale smantellamento del diritto e delle pratiche amministrative, che invece sono state addirittura peggiorate nel tempo allo scopo di rendere difficile (se non impossibile) alla PA fare progetti e realizzarli, in nome dell’austerità e della deregulation.

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