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Soldi ai partiti: un pericoloso salto all’indietro

Sull’onda dell’inchiesta di Genova, si torna a parlare di finanziamento pubblico ai partiti. Il dibattito aperto può essere utile per non ripetere errori del passato. E senza dimenticare che anche il sistema attuale pesa di fatto sulle casse dello stato.

Perché sì e perché no

Si torna a parlare di finanziamento pubblico ai partiti. E lo si fa proprio in questi giorni per due ragioni principali. La prima è di cronaca: le notizie di Genova dipingono un quadro che ricorda da vicino quello del 1992, quando le inchieste del pool “Mani pulite” certificarono la presenza di un sistema corruttivo diffuso tra la classe politica. La seconda è invece una ragione meramente pratica: visto che da qualche settimana si compilano le dichiarazioni dei redditi, i partiti sono entrati in fibrillazione e cercano di accaparrarsi la fetta più grande possibile del due per mille, una delle poche modalità (legali) che permettono loro di finanziarsi. È arrivato il momento di ripensare queste scelte?

Il sillogismo, per molti politici, sembra essere presto fatto: visto che il finanziamento pubblico è stato abolito e le alternative languono, meglio tornare al passato, proprio per evitare il pericolo di forme, questa volta illegali, di finanziamento privato. Il ragionamento sembra avere una logica. Ma è errato. Per almeno due motivi. Il primo è squisitamente lessicale: non è vero che il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito. Per la precisione, è stato cancellato quello “diretto”. Tutti i soldi che i partiti incamerano, infatti, tolgono risorse allo stato: il due per mille lo fa in maniera esplicita (se non fosse destinato ai partiti, finirebbe nelle casse dello stato; vedi tabella 1); le erogazioni liberali invece, permettono detrazioni di una quota (il 26 per cento) del donato, cioè un vero e proprio sconto sulle imposte dovute dal contribuente. Insomma, nel nuovo finanziamento ai partiti, di privato c’è sicuramente la decisione di versare dei soldi, ma gran parte di questi sono, ancora oggi, pubblici.

Peraltro, nel giro di circa dieci anni i contribuenti che hanno optato per il due per mille sono aumentati di oltre il 50 per cento, a fronte di un contributo redistribuito, quindi gettito mancato per lo stato, che è più che raddoppiato, e che ha toccato la cifra di 24 milioni di euro nel 2023 (redditi 2022).

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Breve storia dell’abolizione del finanziamento pubblico diretto

Il secondo motivo deriva invece dalla decontestualizzazione storica del ragionamento. Vale la pena di ricordare che alla (cosiddetta) abolizione del finanziamento pubblico si arrivò a furor di popolo. Un furore espresso in maniera molto evidente nel 1993, quando il referendum sull’argomento trionfò con oltre il 90 per cento dei consensi e quasi il 77 per cento di affluenza. Ma parte di questo furore era ancora ben visibile anche nel 2014. Alla fine del 2013, il governo Letta approvò il decreto legge 149 (“Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”), che fu poi convertito in legge il 21 febbraio del 2014, ultimo giorno in carica del governo. Sempre nel dicembre 2013, Carlo Cottarelli era appena diventato Commissario straordinario alla revisione della spesa pubblica: dei suoi venticinque tavoli di lavoro, uno era dedicato proprio al taglio dei costi del finanziamento pubblico ai partiti. In quegli anni si parlava diffusamente di revisione della spesa e lo si faceva perché il paese era appena uscito da una crisi economica e da stringenti politiche di austerità, in particolare varate durante il governo Monti. Era ritenuto doveroso, quindi, che tutte le spese pubbliche fossero bene amministrate e che gli sprechi fossero tagliati. Ai tempi, il finanziamento diretto all’attività di partito veniva effettuato in forma di rimborsi elettorali. Per avere un ordine di grandezza, alle sole elezioni politiche del 2013 il sistema dei partiti ebbe diritto a ricevere circa 170 milioni di euro di rimborsi, senza contare le spese di finanziamento dei gruppi parlamentari e quelle di sostegno dei mass media (radio e giornali) di partito. Le ambizioni della Commissione Cottarelli vennero presto ridotte, la sua vita fu estremamente breve e i risultati raggiunti furono poco più che simbolici. Tranne uno: per l’appunto, l’intervento sull’abolizione dei rimborsi elettorali).

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Fu così che, in fase di conversione del decreto in legge, la Commissione Cottarelli ebbe la possibilità di intervenire, migliorandone in maniera significativa alcuni passaggi. Nello specifico, si ottenne che ai finanziamenti privati ai partiti non fosse riconosciuto un regime di maggior favore rispetto alle altre associazioni e che sparisse la detraibilità per le spese di iscrizione alle “scuole di partito”.

Ora, il paese è davvero pronto a riprendere in mano la questione? Parlarne apertamente può fare solo bene al dibattito. Ma prima di ripetere i grandi abusi del passato, che hanno finito per alimentare tanto i partiti quanto la sfiducia nei loro confronti, sarebbe bene riflettere sulla storia del paese, senza farsi influenzare dalla contingenza della cronaca: un errore in cui la politica cade fin troppo spesso.

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11 commenti

  1. gianfranco

    ovviamente se vogliamo continuare con il fariseismo facciamolo. Sono passati 32 anni dal 3 luglio 1992, ma il capro espiatorio rimane sempre lui. Non si capisce perchè invece in Germania ci sia e non si comprende come invece il vero problema del costo della politica non stia nella politica nazionale ma in quella regionale visto che il debito pubblico italiano ha iniziato la sua espansione con l’istituzione delle Regioni,
    Ovviamente si continua a dare seguito alla pancia e non al cervello, ma lo so che quello che scrivo è una battaglia per molti di retroguardia perchè a tutti va bene così

  2. Savino

    Perchè dovremmo finanziare, con soldi pubblici, i partiti politici (associazioni private che inseguono la lotta tribale per il potere) e continuare a tagliare sulla sanità, sulla scuola, sui servizi di prossimità, sugli asili nido, sull’edilizia pubblica e da utilizzare per il pubblico, sui beni pubblici e di fruibilità pubblica, dalle strade, agli acquedotti, alle ferrovie, sulla disabilità, sulla sicurezza dei cittadini e dei lavoratori sul posto di lavoro, sull’ambiente e contro il dissesto idrogeologico, sul sostegno agli indigenti, sulle pari opportunità, sulle transizioni alla modernità (green, smart e digitale) ecc. ecc.? L’unico problema pare essere quello di finanziare la politica. Non l’ha prescritto il medico o un consulente di combattere per prendere il potere in una maniera così ruvida e primordiale.

    • Giuseppe

      Sono associazioni private che hanno previsione costituzionale e svolgono una funzione pubblica. Che inseguono la lotta tribale per il potere è una opinione legittima ma sempre opinione. Per lo stesso principio si potrebbe contestare anche altri finanziamenti pubblici a servizi.
      Non finanziare la politica perché serve finanziare altro non è una motivazione perché non sono in contraddizione e si parla di cifre diverse. In discussione non ci sono i soldi ma il principio se la politica deve essere libera dal finanziamento privato o meno. Se come dice lei non deve essere finanziata dal pubblico allora non ci si indigni se viene finanziata dai privati come in America dove è esattamente così. Se quel modello piace poi non si può gridare allo scandalo e criticare quel che si vuole. Questione di coerenza. Se si torna al finanziamento pubblico si deve cancellare il finanziamento privato

      • Savino

        La politica si può anche fare a costo zero, se uno ne ha le capacità e le virtù. Per quale motivo fare mega convegni o mega manifesti a spese nostre quando ci sono mezzi di diffusione di massa senza oneri per la collettività? Che la politica costi è assurdo e tutto questo spreco di danaro (con cui, ribadisco, si può fare altro) serve solo a creare ed infarcire il contenitore, che resta vuoto di contenuto.

  3. Pieffe

    Per completezza, va ricordato che, oltre alle somme indicate nell’ottimo articolo, ci sono i finanziamenti ai gruppi parlamentari e regionali. Inoltre, vanno considerati anche i vari emolumenti corrisposti ai parlamentari, parte dei quali fungono (formalmente) da rimborsi (collaboratori, …), anche se spesso vengono bellamente intascati. Se i partiti ritengono che tutto ciò non è sufficiente, abbiano il coraggio di dire quanti soldi vogliono e le modalità (se non piace il 2 per mille); ma anche come intendono spenderli. Poi se ne parla. Comunque, a mio avviso meglio servizi che soldi.

  4. Alberto

    La politica non possiamo abolirla, almeno non finanziamola con degli extra. Non vengono selezionati per competenza e neppure per l’affidabilità. Possono fare politica tutti quelli senzamestiere, anche gli analfabeti, alcuni detti economisti che sbagliano i conti ecc.
    Prendono a loro piacimento, stipendi approvati da loro stessi in conflitto di interessi, molto piu’ alti di quelli di professionisti con responsabilità di altissimo livello nel privato.
    I sindaci si sono vergognosamente, abusivamente raddoppiati lo stipendio. Chi altri puo’ permetterselo?
    Sulla contingenza della cronaca, diciamo che se i politici rubano persino i profumi nei market, di cosa parliamo? Sono collusi con tutto il malaffare.

  5. bob

    “non si comprende come invece il vero problema del costo della politica non stia nella politica nazionale ma in quella regionale visto che il debito pubblico italiano ha iniziato la sua espansione con l’istituzione delle Regioni”. Grande e onesta verità!!! Va bene così perchè ormai il corpo elettorale è ridotto si e no al 30-40% di votanti, in pratica da coloro che in qualche modo vivono direttamente o indirettamente “attaccati” al seno della piccola e mediocre politica, del favore , del sussidio, della becera raccomandazione

  6. Lucio

    Forse andrebbe ricordato che dopo quello citato ci fu altro referendum per abrogare i rimborsi elettorali e non ebbe affatto un furore di popolo a sostegno dell’abolizione. E sul furore di popolo si può anche ampiamente discutere visto che quelli che erano contrari al finanziamento per utilizzare coscientemente i soldi pubblici sono gli stessi che hanno fatto ampie elargizioni nonché spreco di risorse pubblica paragonabili alla prima repubblica, Superbonus per citarne uno.
    Quindi ragionare contestualizzando il finanziamento pubblico a tangentopoli è altrettanto sbagliato e commette lo stesso errore che si contesta. Con il sistema delle dichiarazioni si finanziano tante cose con percentuali anche più alte 8×1000, 5×1000, eppure nessuno le contesta e onestamente in alcuni casi vanno a strutture che non sono pilastri della nostra democrazia come lo sono per costituzione i partiti politici, e spesso vanno ad entità che cozzano con la natura laica dello Stato. Fatte queste premesse sicuro tornare al passato non è la soluzione ma tornare al passato non vuol dire non tornare al finanziamento pubblico. Significa che se lo Stato correttamente decide finanziare i partiti (magari con rimborsi a piè di lista e con tetti) basterebbe vietare ogni forma di finanziamento privato eccetto il 2×1000. Trovare soluzioni serie non sarebbe complicato se là si smettesse di gridare al populismo criticandolo un giorno e praticandolo l’altro

  7. ugo romano

    Buongiorno. La polemica attuale sulla reintroduzione del finanziamento pubblico DIRETTO ai partiti (quello indiretto esiste) come al solito viaggia su un binario rigido:se la politica costa essa va pagata IN DENARO dallo Stato. Al contrario, non viene sollevata neanche per sbaglio l’ipotesi che il sostenimento dei costi del funzionamento dei partiti potrebbe essere realizzato attraverso la MESSA A DISPOSIZIONE DI MEZZI E SERVIZI PUBBLICI senza esborso di denaro diretto, che essendo per natura LIQUIDO, potrebbe ahimè accidentalmente o meno scivolare verso rivoli….tasche…..non pubblici ma privatissimi. Questa proposta non è mia ma risale allo strumentario radicale di Marco Pannella di oltre trent’anni fa. Ma la congiura del silenzio sulle proposte di quell’area pare ancora regnare.
    Corollario: se comunque fosse apprestata una forma di sostegno in termini di beni e servizi l’intero sistema dei partiti DOVREBBE NATURALMENTE ESSERE ASSOGGETTATO, SECONDO I CRITERI STABILITI DALLA MAGISTRATURA CONTABILE, ALLE REGOLE DI CONTROLLO SUL METODO DEMOCRATICO DEI PARTITI (ART. 49 COST).

  8. Ljlly

    La democrazia ha i suoi costi e sono favorevole al finanziamento pubblico.Naturalmente va tutto trascritto in modo trasparente le entrate le uscite e tutto va certificato.Non si teatra di tornare alla vecchia forma di finanziamento.Ad ex per quei candidati che non possono permettersi di pagare jz camoagns elettorale andrebbero garantiti spazi gratuiti in tv sia essa pubblica che privata viaggi sulle fs ed altre agevolazioni sul materiale da diffusione del programma elettorale

    • Risposta

      Quelli che non possono permettersi la campagna elettorale, se vogliono arricchirsi, troveranno sempre il sistema di rubare anche con il finanziamento pubblico.
      Infatti, il nefasto sistema, esisteva già ai tempi di tangentopoli, poi tolto a furor di popolo oltre il 90% dei cittadini votanti italiani era contrario.
      Il fatto è che la cultura della sinistra (partitocrazia) è sempre stata favorevole sia al finananziamento pubblico che alla spartizione delle tangenti. In effetti avevano escluso solo il MSI.
      La regola era, per ricordare il meccanismo:
      Il 30% lo prendeva il 1°partito (DC oppure PCI);
      Il 30% succesivo veniva diviso tra il 2° e 3° partito (2° + PSI),
      il 30% successiv veniva diviso tra i rimanenti PRI+PLI+PSDI unico esxcluso il MSI.
      L’aggravante era che il PCI prendeva i soldi in maniera illecita anche dall’unione sovietica, nemico del’occidente.

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