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C’è chi i nidi proprio non li vuole

Per assegnare ai comuni le risorse Pnrr destinate agli asili nido, il ministero ora individua direttamente quelli che hanno più necessità di potenziare il servizio. Diverse amministrazioni incluse nell’elenco hanno comunque rinunciato ai fondi.

Il ministero cambia strada sugli asili nido

L’intervento per il potenziamento infrastrutturale di asili nido, una delle misure bandiera del Piano nazionale di ripresa e resilienza per i suoi possibili effetti sull’occupazione femminile e sulla ripresa demografica, di recente ha visto un cambiamento di rotta importante. Nel 2022 per assegnare le risorse finanziarie Pnrr ai comuni, che hanno competenza sui nuovi asili nido, il ministero dell’Istruzione aveva scelto di seguire un approccio “dal basso”, affidandosi a un bando pubblico a cui i singoli enti potevano rispondere presentando progetti di costruzione e di riqualificazione degli asili nido, poi eventualmente finanziati sulla base di graduatorie regionali. Ne era risultato un quadro di  effettiva attribuzione della risorse piuttosto mediocre in termini di targeting, cioè di collocazione dei finanziamenti dove maggiore è la carenza di servizi: il 20 per cento dei fondi è stato assegnato a progetti presentati da comuni dove già la copertura del servizio supera l’obiettivo europeo del 33 per cento dei bambini 0-2 anni (tipicamente grandi città e centri urbani del Centro-Nord) mentre soltanto il 30 per cento è andato ai comuni in cui oggi il servizio manca del tutto (vedi qui e qui).

Ora il nuovo “Nuovo piano per asili nido” ha deciso di procedere “dall’alto”, secondo un’impostazione più centralista, in cui il ministero individua direttamente i comuni da finanziare (e i posti nuovi da realizzare), che possono soltanto scegliere se aderire o meno alla proposta. Lo scopo è quello di spingere maggiormente, rispetto al primo metodo di allocazione, i comuni con forti insufficienze nella fornitura dei servizi per la prima infanzia ad avviare la costruzione di nuovi nidi pubblici. Ma i risultati delle adesioni dei comuni individuati mostra che l’obiettivo è stato soltanto parzialmente raggiunto.

Il nuovo piano

Più in dettaglio, lo scorso aprile (Dm 79/2024) il ministero dell’Istruzione ha avviato l’attuazione di un “Nuovo piano per asili nido” già introdotto con decreto legge 123/2023 in materia di contrasto al disagio giovanile e alla povertà educativa. Il “Nuovo piano per asili nido” è in realtà un intervento che dovrebbe favorire l’effettiva realizzazione del target dell’investimento del Pnrr (150.480 nuovi posti, compresi quelli nella scuola per l’infanzia, a metà 2026): i posti di asilo nido creati dal “Nuovo piano” non sono pertanto aggiuntivi rispetto a quelli promessi dal Pnrr. Nuove non sono neppure le risorse finanziarie da impiegare: dei 734,9 milioni, circa 335 milioni provengono da risorse ancora disponibili sul Pnrr (per mancate assegnazioni o rinunce), mentre 400 milioni sono risorse nazionali, che si aggiungono a quelle Pnrr, già stanziate nel bilancio dello Stato nel fondo “Asili nido e scuole dell’infanzia”.

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Per guidare l’allocazione di queste risorse, il ministero ha costituito un elenco di 1.868 comuni “idonei” (quelli con almeno 60 bambini residenti in fascia 0-2, per garantire una scala minima per i nuovi asili e con copertura inferiore al 33 per cento) ordinati in relazione a una batteria di criteri egualmente pesati: la popolazione residente, quella dei bambini in età 0-2 anni e il divario del tasso di copertura rispetto all’obiettivo del 33 per cento. La collocazione di un comune in alto nella graduatoria indica dunque una maggiore “urgenza” di investimento (va rilevato che nella percentuale di copertura è stato già incluso l’incremento del numero di nuovi posti eventualmente risultante dalla prima attribuzione di fondi Pnrr nel 2022 con la conseguenza che i comuni classificati in condizioni di maggiore bisogno sono tendenzialmente quelli che non hanno partecipato ai bandi del Pnrr). Per ciascun comune nell’elenco il ministero ha calcolato anche i nuovi posti da costruire e corrispondentemente le risorse da assegnare (secondo un costo standard di costruzione per posto costante di 24 mila euro). Dati i fondi disponibili, se tutti i comuni in alto nella graduatoria avessero aderito al programma del ministero soltanto i primi 387 (che indichiamo come “gruppo target”) avrebbero ricevuto finanziamenti per la costruzione di quasi 24 mila posti aggiuntivi. Le risorse sarebbero state fortemente concentrate nelle tre grandi regioni del Sud, Campania, Sicilia e Puglia, dove si sarebbero collocati il 53 per cento dei comuni e il 60 per cento dei posti da costruire (tabella 1).

La graduatoria a scorrimento

La graduatoria predisposta dal ministero è “a scorrimento”: nel caso di mancate adesioni nella parte alta della graduatoria subentrano altri comuni “idonei” secondo l’ordinamento stabilito fino a esaurimento dei fondi disponibili (distintamente è prevista anche un’assegnazione alle 14 città metropolitane – incluse quelle già sopra la soglia di copertura del 33 per cento – di oltre 89 milioni (per 3.720 posti) e una riserva di 73,5 milioni per piccoli comuni consorziati).

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Il ministero ha dato tempo ai comuni fino al 31 maggio per decidere se aderire o meno, insieme con la possibilità di richiedere, insieme all’adesione, il supporto tecnico operativo per la fase di gestione delle procedure di affidamento dei lavori attraverso la centralizzazione degli acquisti tramite Invitalia. I risultati dell’adesione, resi noti qualche giorno fa (vedi qui), si allontanano non poco dalla graduatoria predisposta dal ministero.

Se infatti si incrociano i dati relativi ai comuni appartenenti al gruppo target e quelli che risultano assegnatari dei finanziamenti (tabella 2), solo 249 comuni dei 387 individuati dal ministero come quelli più carenti (il 64 per cento, una sorta di indicatore di target efficiency) hanno effettivamente aderito al programma e sono stati pertanto finanziati. I 138 comuni target che hanno rinunciato hanno consentito a 576 tar quelli fuori target (di dimensioni minori, dati i criteri adottati dal ministero per costruire la graduatoria) di accedere ai fondi. Si tratta del 39 per cento dei 1.481 “idonei” in graduatoria, una misura dell’effetto di spillover prodotto dalla mancata adesione dei comuni target. La perdita di target efficiency si aggrava se invece che alla platea dei comuni si guarda al numero di posti di asilo nido da costruire: ai comuni nel gruppo target spetta alla fine, a causa delle mancate adesioni, solo circa il 50 per cento dei posti aggiuntivi.

Tuttavia, l’abbandono dello strumento dei bandi su base competitiva e l’adozione del nuovo approccio basato sull’individuazione diretta dei comuni con maggiori necessità di potenziamento del servizio asili nido ha certamente consentito, come sottolineato dal ministero dell’Istruzione, “di perseguire in modo più incisivo e uniforme l’obiettivo di attivare i servizi per la fascia di età 0-2 anni su tutto il territorio nazionale”.

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  1. Paolo

    Sarebbe opportuno pubblicare con evidenza i nomi di tutti i comuni rinunciatari su tutte le testate giornalistiche online, in modo da permettere ai cittadini di sapere come si comporta il proprio ente locale con i loro diritti.

  2. Marco Spampinato

    Domanda: il bando finanzia solamente la costruzione dell’asilo, quindi un’infrastruttura, oppure prevede qualche meccanismo finanziario per la spesa corrente di gestione? I comuni che rinunciano non potrebbero farlo perché privi di risorse per valutare/assumere/pagare il personale?
    Il dibattito sugli asili nido in Italia – soprattutto quando riferito al Sud – mi sembra di qualità bassa o forse si dovrebbe dire assente. Ricerca e giornalismo altrove mi sembra diano molte meno cose per scontate. Per un esempio si acceda a questo articolo: https://www.nytimes.com/2021/11/08/upshot/preschool-child-care-biden.html?unlocked_article_code=1.4E0.RDYw.8uWm49t4d1je&smid=url-share.
    In Italia, la scorciatoia mentale è che mettere qualsiasi bambino/a in un qualsiasi “asilo nido”, anche durante il suo primo anno di vita, è un fatto positivo per il suo sviluppo cognitivo e sociale – e questo vale a maggior ragione nel Sud, una grande area che, implicitamente, è spesso vista come “culturalmente deprivata” o “sotto-stimolata” (nel dibattito nordamericano sulla war on poverty si trovano utili esempi del significato di queste espressioni). L’altra scorciatoia è che l’asilo nido sia la via maestra per ridurre la diseguaglianza di genere nel mondo del lavoro e in famiglia. Queste assunzioni non sono confrontate con ricerca empirica contestualizzata (non campioni di Torino per fare inferenze su Caltanissetta). C’è da chiedersi quindi se tutti questi aiuti finanziari (PNRR incluso) stiano migliorando o peggiorando la capacità di elaborare e implementare buone politiche pubbliche o se piuttosto rafforzino una mentalità burocratica e acritica.

  3. Savino

    Ci sono intere Regioni che se ne sono altamente disinteressate e non sono presenti in tabella. Ci sono interi territori che, ormai, hanno abdicato.

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