I sussidi statali ricevuti dalle case automobilistiche cinesi hanno contribuito al loro successo sui mercati internazionali. Si giustificano così i dazi compensativi imposti dall’Ue. Sembra cadere l’illusione di Pechino come partner commerciale affidabile.
L’entità dei dazi europei
I dazi compensativi europei sulle importazioni di veicoli elettrici prodotti in Cina, annunciati il 12 giugno scorso, sono stati confermati il 4 luglio e vengono applicati dal 5 luglio per i prossimi cinque anni. I tre grandi produttori cinesi fronteggeranno dazi rispettivamente del 17,4 per cento per Byd, del 19,9 per cento per Geely e del 37,6 per cento per Saic, la più grande ex-azienda automobilistica di stato. La Shanghai Automotive Industry Corporation fondata nel 1955 e ora nota semplicemente come Saic Motor Corporation, è attualmente la più grande delle “quattro grandi” case automobilistiche statali della Cina, davanti a Faw Group, Dongfeng Motor Corporation e Changan Automobile, con vendite di 5,02 milioni di veicoli nel 2023. Gli altri produttori cinesi di veicoli elettrici che hanno collaborato all’indagine saranno soggetti a un dazio del 20,8 per cento, mentre quelli che non hanno collaborato saranno soggetti a un dazio del 37,6 per cento. L’indagine è stata attivata su iniziativa della Commissione europea, per accertare formalmente quanto i generosi sussidi di Stato ricevuti dai produttori cinesi (231 miliardi di dollari in 15 anni), abbiano contribuito alla loro grande competitività di prezzo, in un sistema di commercio internazionale che prevede il libero scambio tra partner che si impegnino a non distorcere a proprio vantaggio la concorrenza tra le imprese. Ora è abbastanza difficile sostenere che i sussidi ricevuti dalle case automobilistiche cinesi non abbiano contribuito al loro successo sui mercati internazionali, e ciò ha motivato, prima della decisione europea, misure simili da parte degli Stati Uniti e della Turchia, che impongono dazi molto più elevati (rispettivamente il 100 per cento e il 40 per cento).
L’articolo che segue è stato pubblicato in origine il 28 giugno 2024
Dopo decenni di tentativi falliti, l’Ue ha abbandonato l’illusione di garantire la tanto agognata “reciprocità” (level playing field), spostando l’attenzione dal perseguimento del libero accesso al mercato cinese per le aziende europee, alla protezione del mercato europeo dalla potente politica industriale cinese, che porta a distorsioni dei prezzi e a un eccesso di capacità produttiva.
Nel settore dei veicoli elettrici, per esempio, secondo i dati della China Automobile Association, tra gennaio e maggio del 2024 la produzione e le vendite sono aumentate rispettivamente del 30,7 per cento (per un totale di 3,926 milioni di veicoli prodotti) e 32,5 per cento (pari a 3,895 milioni di veicoli venduti), con una quota di mercato che si avvicina al 34 per cento. Ciò a fronte di generosi sussidi che l’indagine dell’Omc dovrebbe ora cercare di accertare, sebbene sia illusorio immaginare di giungere a una vera e propria valutazione di tutti gli interventi pubblici volti ad aumentare la produzione cinese e ad aiutare i produttori a offrire prezzi molto competitivi sui mercati esteri. Oggi le importazioni europee dalla Cina sono state in gran parte costituite da auto Tesla, Dacia e Bmw (secondo i dati di Transport & Environment), ma si prevede che i marchi cinesi potrebbero raggiungere l’11 per cento del mercato europeo dei veicoli elettrici già nel 2024 e il 20 per cento nel 2027.
Figura 1
Il settore auto, ma non solo
Quello dei veicoli elettrici è solo uno dei settori in cui l’Ue votata all’illusione del libero mercato cede alla Cina non solo quote di mercato, ma il futuro della sicurezza industriale europea. Le importazioni europee dalla Cina sono salite alle stelle sin dall’inizio della pandemia Covid-19 nel 2020 (allora soprattutto per l’aumento del fabbisogno di dispositivi di protezione individuale) e oggi interessano tutte le tecnologie verdi per la transizione ecologica del continente, compresi pannelli solari, veicoli elettrici, batterie per veicoli elettrici e turbine eoliche: sono tutti settori per lungo tempo dominati dalle aziende europee. In questi settori la produzione industriale cinese è cresciuta molto più velocemente dei consumi e le esportazioni sono aumentate molto più rapidamente rispetto al 2023, cosicché l’Ue registra oggi un grande deficit commerciale bilaterale con Pechino. Dal 2017 la Cina è cresciuta circa del 40 per cento e le importazioni dall’Europa sono diminuite del 30 per cento, dal momento che il paese si è progressivamente distaccato dalle catene del valore in cui l’Europa forniva input, per effetto della decisione politica di sostenere il lato dell’offerta (attraverso generosi sussidi alle imprese) più che il lato della domanda.
In un simile contesto, continuare a sperare che la Cina possa diventare un partner commerciale stabile e affidabile per l’Europa sembra incomprensibile. Infatti, è vero che l’Europa è un mercato molto più importante per la Cina di quanto la Cina non lo sia per l’Europa (il che fa sperare che Pechino abbia interesse a mantenere buone relazioni economiche), ma alcuni comparti dell’industria europea (soprattutto del settore automobilistico) dipendono fortemente da forniture provenienti dalla Cina (e ciò dà a Pechino una leva importante sull’Europa).
Relazioni con Pechino da ripensare
Ciò spiega perché la reazione dei paesi membri dell’Ue alla decisione della Commissione non sia stata così compatta come si sperava. La Germania e la Svezia, dove il settore auto ha un peso enorme, hanno espresso preoccupazione per la misura e la possibile futura ritorsione della Cina potrebbe influenzare la posizione di altri stati membri. L’Ue finora ha utilizzato diversi strumenti difensivi, come l’anti-sovvenzioni estere, gli appalti internazionali e altri tipi di legislazione a livello europeo su una serie di importazioni cinesi, come pannelli solari, turbine eoliche, i legacy chip e altro ancora. Il caso contro i veicoli elettrici prodotti in Cina è importante, poiché in Europa ci sono circa 15 milioni di posti di lavoro legati a questo settore, ma probabilmente ne seguiranno altri.
Tra la Cina e l’Europa è in corso una sfida economica e commerciale, lontana dalla corsa per l’egemonia tecnologica e diplomatica che caratterizza le relazioni tra Pechino e Washington. Tuttavia, se l’idea che gli aspetti politici potessero essere separati dalle questioni economiche ha prevalso in Europa sino a oggi, al contrario di quanto sempre avvenuto in Cina, ora è tempo di ripensare il futuro delle relazioni economiche e commerciali con Pechino. Innanzitutto, perseguire il principio della concorrenza e del libero mercato con un attore come la Cina è pura illusione: né l’una né l’altro sono criteri rilevanti e ragionevoli in un paese che indirizza sistematicamente e sussidia generosamente la produzione in determinati settori, e persegue sempre di più la sostituzione delle importazioni. L’Europa – a differenza degli Stati Uniti – finora ha sempre fatto ricorso a strumenti ammessi dall’Omc per perseguire relazioni commerciali con la Cina nell’ambito della non discriminazione. Anche i dazi introdotti temporaneamente sui veicoli elettrici sono misure compensative, non protezionistiche. Sarà l’Omc a decidere in merito. Quello che l’Europa deve decidere per sé è se voglia cedere la sua sicurezza industriale in nome di un principio che oggi è l’unica a far rispettare alle proprie imprese.
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alessandro casanova
Perché esistono partner commerciali affidabili? Ma se la pratica del beggar thy neighbour (“impoverisci il tuo vicino”) è ormai entrata a tutti gli effetti nella dottrina economica mainstream, perfino nell’area euro…
Nicola
WTO che dovrà valutare la legittimità degli strumenti difensivi europei , impattando brutalmente , nell’opacità della classificazione dell’intervento pubblico cinese . Sussidi ed investimenti non hanno distinzione nella documentazione ufficiale per natura prettamente concettuale di quel popolo e che nei continenti ” occidentali ” credono separati.
Ma l’Europa , in questo preciso contesta , sta dando la netta sensazione di avere le idee confuse perdendo quella sicurezza di ideali che taluni contrapposti hanno testato con il manganello .
Il coro dell’epoca ci raccontava positivamente della globalizzazione tacendo sulla competizione , Il coro di oggi alza anacronistiche barriere tacendo ancora sulla competizione, ovvero pare di capire che fin che un paese resta manifatturiero con diritti e salari limitati , si ha un idea ,, quando lo stesso paese diviene inventore (competitore) quella stessa idea , non vale più
WTO , che nella limitatezza dei suoi poteri , potrebbe far avanzare il benessere dell’intera umanità andando a riscrivere le regole di appartenza alla comunità internazionale del commercio , incidendo sui diritti delle persone e dell’ambiente come essenziali ed irrinunciabili . Regole di uguaglianza talmente ovvie in qualsiasi competizione sportiva ma assenti nella competizione economica , come dite degli avversi pugili sul ring , uno a mani nude , l’altro con coltelli e pistole .
Europa che alza il prezzo del prodotto imponendo dazi intenti a rallentare l’invasione di prodotti e l’uscita di ricchezza , ma rallentare per che cosa ? La corsa alle miniere è da tempo terminata, istruzione e tecnologia siamo al pari . Forse un grande piano per scavare giacimenti inesplorati in modo da esser indipendenti ?
La competizione richiede altre scelte tecnologiche anche ql costo di render inservibili miniere e materie estratte per costruire pannelli e batterie oggi viste come il mantra dell’innovazione .