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Non c’è crescita senza la forza del risparmio

Il risparmio è una grande risorsa dell’Italia. Se utilizzata bene, ridimensiona il problema del debito e crea le condizioni di un vero sviluppo. È però necessaria un’azione complessiva che favorisca crescita, occupazione, innovazione e sostenibilità.

Dimensione, infrastrutture e sostenibilità

Quale volto del nostro paese vogliamo presentare? Quello gravato dal debito oppure quello di un paese che ha risparmi straordinari? I 5.300 miliardi di attività finanziarie sono la vera risorsa naturale italiana che, se utilizzata bene, non solo può rendere meno importante il volto del debito, ma può creare le condizioni di uno sviluppo duraturo. Non possiamo cadere anche noi nel paradosso dei paesi in via di sviluppo, che hanno risorse naturali ingenti, ma non hanno la capacità di metterli a frutto per loro stessi. Occorre quindi rimettere in fila le diverse componenti del ragionamento e avere una strategia ampia, in Italia e in Europa.

Il primo tema è allora perché abbiamo bisogno di impiegare bene il risparmio. La risposta scontata è per crescita e occupazione. Queste passano però attraverso sfide che hanno nomi precisi: crescita dimensionale, infrastrutture digitali e fisiche, sostenibilità. La difficoltà oggi è quella di accettare che senza di loro diventerà sempre più difficile creare benessere. Lo scatto per l’Italia è quello di superare la narrativa della centralità delle Pmi aggiungendovi (non sostituendovi) quella della grande dimensione, per poter contare non solo nel confronto globale, ma anche per guidare i processi di cambiamento e innovazione. Se guardiamo al numero delle prime 500 aziende mondiali per fatturato, la metà sono cinesi e americane, poi 27 e 26 tedesche e francesi, 10 olandesi, 9 spagnole e solo 6 italiane. La chiave di lettura delle aggregazioni è una componente centrale, così come quella dell’apertura del capitale, con l’utilizzo di venture capital, private equity e quotazione. Senza questi strumenti, la crescita dimensionale non avviene.

Usare il risparmio per lo sviluppo

Il secondo tema è come sia possibile impiegare il risparmio a favore dello sviluppo. La risposta deve essere organica e dirompente. È il risparmio che deve essere messo al centro dell’azione politica complessiva, creando collegamento diretto tra investimento e benessere, ove benessere è il portato di sviluppo, occupazione, innovazione e sostenibilità.

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Il primo livello della risposta è l’educazione finanziaria. L’investimento del risparmio non è un lusso, ma un gesto centrale della nostra esistenza e una responsabilità civile. L’educazione finanziaria riguarda studentesse e studenti così come gli adulti. Non può essere relegata a qualche ora in più lasciata alla buona volontà di qualche persona appassionata nelle scuole, ma deve essere integrata nel percorso scolastico. Così come è da costruire, con l’aiuto del sistema bancario, per il pubblico adulto. Con la giusta campagna di comunicazione.

Il secondo livello è dato dalle scelte di investimento. Fondi pensione e casse di previdenza, assicurazioni e banche, devono avere un obiettivo di investimento nel capitale di rischio. Se i vincoli a investire in Btp e immobili sono stati a garanzia della collettività, quella garanzia oggi è data dallo sviluppo e dal benessere che creeremo con innovazione e sostenibilità. Nel convegno del 28 maggio del Centro Baffi con Equita, è stata posta l’attenzione su come fondi pensione e casse di previdenza debbano essere interessati da una riforma che colleghi il risparmio all’economia reale. In Gran Bretagna, un decreto obbliga dal 2024 i fondi pensione a investire il 5 per cento del loro portafoglio nel capitale di rischio di aziende inglesi.

Il terzo livello è la fiscalità complessiva. Occorre superare il tema del bonus. Gli incentivi (alla quotazione, ad esempio) producono effetti immediati, ma poi si sgonfiano appena l’incentivo scompare. Il tema è fare scelte di fondo su cosa sia strutturalmente avvantaggiato. Vogliamo mantenere l’esenzione su capital gain da immobili o piuttosto metterla sull’investimento in equity? Vogliamo avere un’aliquota al 12,5 per cento sui titoli di stato o estenderla al venture capital perché crea nuove aziende e innovazione? Sarebbe opportuno pensare a un’aliquota standard europea per una tassazione leggera del venture capital.

Il quarto sono i prodotti di investimento. Esistono ma deve essere migliorata la dimensione (di asset management e private equity) e la presenza di un mercato con investment bank che portino il risparmio nelle imprese. La sfida della Cmu (Capital Market Union) costituisce il mezzo per accogliere le riforme che colleghino il risparmio alla crescita. Senza di questo sistemi più agili attraggono il nostro risparmio fuori dall’Europa. Il Manifesto sul mercato dei capitali (www.manifestomercaticapitali.it) vuole andare in questa direzione. Così come la proposta del ministero dell’Economia e delle Finanze per un meccanismo legato al patrimonio destinato della Cassa depositi e prestiti a supporto di fondi di fondi che investano in Italia.

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Tornando alla domanda iniziale, quale volto vogliamo rendere visibile del nostro paese e dell’Unione europea più in generale? Mentre aspettiamo e cogliamo con ottimismo i segnali che ci sono, non dimentichiamo che in cosa investire rimane una scelta personale di ciascuna organizzazione e di ciascuno di noi.

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  1. Savino

    L’impressione è che si stia mettendo mano al risparmio, cumulato da generazioni precedenti, per dare continuità al benessere. Quindi, talmente non c’è crescita che l’economia sta girando, fino a raschiare il fondo del barile, sulla base del risparmio pregresso.

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