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Sui conti pubblici scelte difficili all’orizzonte: discutiamone

La presentazione del Piano strutturale di bilancio per i prossimi anni poteva essere l’occasione per una riflessione seria sui conti pubblici. Ma forse non ci sarà, anche per un testo scritto solo per addetti ai lavori. I problemi sono comunque impellenti.

Qual è la situazione dei conti pubblici?

Vedremo come andrà a finire la faccenda delle coperture per la manovra di bilancio per il 2025, ma almeno l’uscita del ministro Giorgetti su tasse e sacrifici ha avuto il merito di riportare su una base di maggior concretezza il dibattito sulla situazione dei conti pubblici italiani. Dopo anni di “gratuitamente”, bonus e superbonus, regali promessi a tutte e tutti in campagne elettorali da “Black Friday”, si ricomincia forse a capire che la finanza pubblica è messa male e va sistemata per evitare guai futuri. Più che per l’uscita estemporanea di un ministro sulla prossima manovra, la speranza era che il Piano strutturale di bilancio, appena presentato dal governo, che impegna il paese in termini fiscali per parecchi anni, fosse l’occasione per una riflessione seria sul tema, che magari investisse anche l’opinione pubblica.

Purtroppo, il Piano è un polpettone indigeribile, scritto dai funzionari del ministero dell’Economia e delle Finanze per i funzionari della Commissione, tecnicamente competente, ma incomprensibile ai più. Inoltre, pieno di buoni propositi, ma privo di quantificazioni, eccetto per la cornice preoccupante della evoluzione della spesa netta in futuro, dunque incapace di mettere in evidenza le scelte a cui il paese si troverà di fronte nei prossimi anni. Vale dunque forse la pena di ricordarne alcune.

Ridurre il debito

Primo, il debito sul Pil va ridotto. Altrimenti, il paese resterà sempre in balia dei mercati finanziari e gli interessi sul debito finiranno per mangiarsi tutta la spesa utile. Le nuove regole fiscali europee non sono perfette, ma almeno consentono di programmare nel medio termine e sono più favorevoli agli investimenti. Si può discutere se siano eccessivamente restrittive per l’Europa nel suo complesso, con il rischio di indurre una nuova e non necessaria stretta recessiva, ma per un paese nelle condizioni dell’Italia, il rientro dal debito resta un percorso obbligato. Spazi ulteriori per gli investimenti vanno ritrovati con azioni congiunte a livello europeo, anche come contropartita di un miglior controllo delle finanze nazionali, il rapporto Draghi insegna.

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Secondo, la riduzione del debito impone decisioni spiacevoli. Intanto, solo per accedere al percorso facilitato su sette anni previsto per il Piano, il paese ha dovuto impegnarsi a mantenere un livello elevato di investimenti anche dopo la fine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il che è ottimo per la crescita futura, ma impone restrizioni ulteriori sulle altre spese. L’evoluzione della spesa pensionistica per le dimensioni e per la dinamica demografica resta il capitolo più preoccupante.

Terzo, si capisce benissimo che un governo di destra abbia l’ambizione di ridurre la pressione fiscale. Ma non si capisce come pensi di mantenere gli investimenti, aumentare la spesa sanitaria e quella per la difesa, investire sulla pubblica amministrazione e, nel frattempo, ridurre il debito e tagliare anche le tasse. Le spending review, che comunque vanno fatte per riqualificare la spesa, possono comportare qualche risparmio, ma si tratta di bazzecole rispetto alle esigenze.

La questione del sistema tributario

Quarto, il sistema tributario italiano è un disastro, complicato e iniquo. Il problema non sono però le tre o quattro aliquote dell’Irpef, quanto il fatto che incide pesantemente solo sui redditi da lavoro dipendente e tratta favorevolmente tutto il resto, a cominciare da consumi, proprietà e rendite. Risponde politicamente a un paese invecchiato che produce poco reddito ma ha accumulato molto patrimonio: il 13 per cento del Pil è fatto di rendite immobiliari vere o presunte, mentre i redditi da lavoro dipendente sono solo il 42 per cento. Se non si allargano le maglie, eliminando i privilegi assurdi concessi ad alcune categorie (dalla flat tax, ai redditi agricoli, all’abolizione dell’imposta sulla prima casa, alla mancanza di un’imposta di successione minimamente decente), per non parlare dei regali continuamente concessi agli evasori, non si capisce come si possa pensare che il sistema tributario possa continuare a finanziare il welfare nel futuro, oltre che offrire migliori incentivi per la crescita economica.

Sarebbe il caso di cominciare a ragionare su questi punti.

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Reagire all’inflazione: un’indagine sulle imprese del made in Italy

  1. Savino

    Quando ci sono di mezzo privilegi, che vedono persone e categorie avere immeritatamente più diritti di altre persone e categorie (cui gli stessi diritti vengono sottratti), le decisioni non sono mai spiacevoli e, anzi, riguardano gli oneri e gli onori di governare a testa alta. Che possano sussistere ancora dei privilegi di stampo medievale in una società postmoderna, con una Costituzione chiara e non equivocabile nei principi affermati nei sui primi 3 articoli e in tutta la sua prima parte è cosa che offende l’intelligenza sia di chi governa sia di chi viene governato. I privilegi camuffati da diritti acquisiti hanno reso mostruoso il nostro debito pubblico e di privilegi si rischia di perire. Per tanti giovani delle future generazioni non esisteranno diritti acquisiti. Non si sta rendendo un buon esempio e ci si sta comportando con pessima educazione nei rapporti intergenerazionali tra cittadini.

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