I risultati dell’indagine Piaac sulle competenze degli adulti delineano un quadro allarmante per il nostro paese, con le solite disuguaglianze territoriali, di genere o legate al background familiare. Le priorità da cui partire per recuperare terreno.
L’indagine Piaac: caratteristiche e obiettivi
L’indagine Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), promossa dall’Ocse, misura le competenze essenziali per partecipare attivamente alla vita adulta nella popolazione fra 16 e 65 anni nei domini di literacy (lettura e comprensione di testi scritti) numeracy (comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche) e adaptive problem solving (la capacità di raggiungere il proprio obiettivo in una situazione dinamica in cui la soluzione non è immediatamente disponibile). Ha cadenza decennale: il primo ciclo si è svolto tra il 2011 e il 2012, mentre il secondo è stato condotto tra il 2022 e il 2023.
In Italia, l’indagine è stata realizzata da Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) su incarico del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. La raccolta dati avviene attraverso un questionario di background, somministrato da intervistatori formati, mentre le prove cognitive specifiche per i tre domini di competenza sono compilate in autonomia dall’intervistato e i risultati vengono riportati su una scala di punteggio da 0 a 500 punti e suddivisi in cinque livelli di competenza.
L’Italia resta agli ultimi posti
I risultati dell’Italia nel ciclo 2 dell’indagine Piaac sono deludenti rispetto agli altri paesi partecipanti: in tutti i domini ci classifichiamo nelle ultime quattro posizioni.
- In literacy: con un punteggio medio di 245, l’Italia si colloca 15 punti sotto la media Ocse;
- in numeracy: il punteggio medio italiano è di 244, ben 19 punti sotto la media Ocse;
- in adaptive problem solving l’Italia registra 231 punti, contro 251 della media Ocse. Il dominio, introdotto in questo ciclo, misura la capacità di risolvere problemi in contesti dinamici. La performance negativa segnala un deficit nella flessibilità cognitiva e nella capacità di raggiungere il proprio obiettivo in una situazione in cui la soluzione non è immediatamente disponibile.
Anche in Piaac, come nelle altre rilevazioni nazionali e internazionali, si registrano i soliti divari territoriali. Le regioni settentrionali e centrali registrano punteggi più elevati, avvicinandosi alla media Ocse, mentre il Sud e le Isole hanno risultati allarmanti: i valori si attestano a 225 e 223 per la literacy e a 223 e 220 per la numeracy, segnando uno scarto di circa 40 punti con le aree più avanzate del paese.
La peculiarità italiana è data dalla progressione diversa nei punteggi al crescere del titolo di studio (figura 1). Nel nostro paese il differenziale tra chi ha un titolo di scuola secondaria inferiore (o meno) e i diplomati è più forte rispetto alla media Ocse; i nostri diplomati hanno invece un punteggio più alto, ma la crescita “rallenta” tra il diploma e chi consegue un’istruzione terziaria. Ciò è dovuto, probabilmente, a due fenomeni che agiscono nella stessa direzione: un effetto di composizione (abbiamo meno accesso all’istruzione terziaria rispetto ad altri paesi e quindi una quota maggiore di diplomati “bravi” che non proseguono gli studi contribuendo a innalzare in punteggi per questo gruppo) e, probabilmente un’università che prepara meno bene che altrove, nonostante la maggiore autoselezione, per cui i “pochi” che proseguono dovrebbero essere più bravi e motivati dei colleghi degli altri paesi.
Figura 1 – Media dei punteggi nei tre domini per titolo di studio
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Il peggioramento di alcuni territori
Se a livello nazionale i punteggi risultano stabili rispetto al ciclo 1 del 2012, la situazione si complica osservando le dinamiche territoriali: nel Sud e nelle Isole si registra un peggioramento sia in literacy che in numeracy, amplificando il divario con il resto del paese. Il trend negativo riflette le criticità strutturali del sistema educativo e delle opportunità formative e professionali nel Mezzogiorno, mentre le regioni settentrionali mostrano maggiore stabilità, con il Nord-Est che si conferma l’area con risultati migliori, paragonabili alla media Ocse.
Il mantenimento dei livelli di competenza nazionali è una notizia tutt’altro che positiva, visto che nello stesso periodo molti altri paesi hanno registrato progressi significativi.
L’aumento dei low performer
Un dato particolarmente critico riguarda l’incremento della quota di adulti con livelli bassi di competenza: la percentuale di low performer (livello 1 e inferiore) è aumentata dal 27,7 per cento nel ciclo 1 al 34,6 per cento nel ciclo 2, con un incremento di quasi 7 punti percentuali. Significa che oltre un terzo degli adulti italiani fatica a svolgere compiti basilari di lettura e calcolo. In numeracy, più del 50 per cento degli adulti del Sud e delle Isole si colloca nei livelli più bassi, evidenziando una frattura profonda rispetto alle regioni del Nord-Est (dove la percentuale scende al 20,5 per cento).
Al contrario, la quota di high performer (livelli 4 e 5) è rimasta stabile, con un lieve incremento non statisticamente significativo. Solo il 5,4 per cento degli adulti italiani raggiunge i livelli più alti in literacy (contro l’11,6 per cento della media Ocse) e il 6,2 per cento in numeracy (rispetto al 13,9 per cento Ocse).
I buoni risultati dei giovanissimi
In un quadro generale critico, i dati offrono un segnale positivo per quanto riguarda alla popolazione giovane (figura 2): i giovanissimi (16-24 anni) registrano i punteggi più elevati rispetto alle altre fasce d’età. In particolare, in numeracy dove raggiungono un punteggio medio di 259 punti, che è comunque inferiore alla media Ocse (270 punti) e con forti disparità territoriali.
Figura 2 – Punteggio nei tre domini per classe di età
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Su questa dimensione, l’Italia presenta un’anomalia rispetto al dato internazionale: negli altri paesi, infatti, i risultati migliori si osservano nella fascia 25-34 anni. Il fatto che in Italia i giovanissimi ancora in età scolare o universitaria superino i giovani adulti, che teoricamente dovrebbero essere più maturi nelle competenze necessarie per la vita adulta, evidenzia un paradosso legato a scelte educative e professionali poco efficaci nel consolidare e valorizzare le competenze acquisite.
Il differenziale retributivo in Italia
Il divario retributivo tra lavoratori a bassa competenza e la media degli occupati è meno marcato in Italia rispetto alla media Ocse (figura 3). Ciò, però, è dovuto non a politiche particolarmente illuminate, ma principalmente, a un livello retributivo mediano inferiore alla media Ocse di 3,4 dollari orari lordi.
Figura 3 – Retribuzione oraria lorda mediana degli gli occupati (totali e low performer) nei domini di competenza
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Degna di nota è la situazione del Sud e delle Isole dove le retribuzioni, oltre a essere complessivamente inferiori a quelle medie del paese, sono sostanzialmente uguali per tutti indipendentemente dal livello di competenze. Questa dinamica dei rendimenti dell’istruzione non solo penalizza i più qualificati, ma riduce significativamente l’incentivo a investire in formazione e competenze, contribuendo alla mancanza di stimoli per la creazione di capitale sociale e alla persistenza di un contesto meno dinamico e innovativo.
Le sfide irrisolte e le priorità di oggi
Dieci anni fa, il Rapporto De Mauro sui dati Piaac del 2014 tracciava un quadro chiaro delle sfide che il sistema educativo e formativo italiano doveva affrontare. Tra le priorità evidenziate vi erano l’urgenza di promuovere il lifelong learning per lavoratori adulti, Neet, disoccupati e fasce vulnerabili, e la necessità di un’integrazione tra istruzione e lavoro attraverso un sistema nazionale di certificazione delle competenze, che valorizzasse anche quelle acquisite in contesti informali. Si raccomandava infine di ridurre i divari territoriali attraverso progetti pilota mirati nelle regioni più svantaggiate.
Oggi, i risultati del secondo ciclo Piaac confermano che quelle sfide non solo sono rimaste irrisolte, ma in alcuni casi si sono aggravate. Senza interventi strutturali, il miglioramento generazionale segnalato da Piaac rischia di andare perduto. È necessario un rilancio deciso delle politiche educative e formative:
– puntando su percorsi scolastici che sviluppino competenze spendibili nel mercato del lavoro, soprattutto nelle discipline Stem;
– incrementando il numero di diplomati che proseguono gli studi terziari;
– rafforzando un sistema di apprendimento continuo che sostenga i lavoratori adulti, in particolare il corpo insegnante che ha il compito di preparare gli studenti a fronteggiare le rapide trasformazioni del mercato del lavoro.
La necessità di consolidare l’istruzione tecnica e professionale, proponendo percorsi pratici come tirocini e moduli brevi per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro era stata sottolineata nel 2014 e rimane valida oggi. Un passo avanti in questa direzione potrebbe arrivare dalla recente riforma dell’istruzione tecnica con il modello “4+2”.
Purtroppo, come accade per molte altre iniziative, la sperimentazione sembra mancare di un sistema di valutazione rigoroso che ne misuri l’efficacia. È invece la condizione necessaria per comprendere quali politiche pubbliche e quali interventi siano in grado di contribuire a ridurre le disuguaglianze e a migliorare le competenze, per uscire da una stagnazione che rischia di tradursi in un ulteriore svantaggio competitivo per il paese, incapace di creare capitale umano adeguato rispondere alle sfide di un mercato del lavoro sempre più dinamico e globale.
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Savino
Tutta gente che “lavora” e “produce”. Tutta gente che è nata imparata, che è nata con gli skills incorporati, mentre si buttano nel cestino i curricula dei nostri ragazzi, che – si dice- “dovrebbero farsi le ossa”, mentre è un eufemismo dire che facciamo acqua da tutte le parti.
Enrico
I dati Piaac dimostrano impietosamente da anni che la domanda di competenze in Italia è debole. Questo è il risultato di un circolo vizioso in cui le imprese non domandano competenze avanzate; l’investimento in formazione (individuale e delle imprese) ha un rendimento basso; le imprese non hanno risorse umane per innovare; il paese regredisce economicamente e culturalmente. E il governo si preoccupa della Bibbia, delle saghe nordiche, dei popoli italici e del latino.
L22
Ecco i risultati a lungo termine dei contratti a termine, delle privatizzazioni, dell’immigrazione di massa dal terzo mondo e del basso numero di occupati nel settore pubblico.
Fabrizio
L’Italia ha un problema. Le aziende non formano perché sono troppo piccole e/o gli imprenditori sono troppo avidi per investire in formazione/innovazione. Le priorità sono di abbattere la burocrazia per attrarre grandi aziende, che mediamente offrono più remunerazione, formazione ed innovazione. Le altre saranno costrette ad adeguarsi o escono dal mercato del lavoro.
Kim ALLAMANDOLA
Onestamente il problema principale è che i più non riescono a comprendere che l’IT non è la scienza del computer ma quella dell’informazione, come l’astronomia è scienza degli astri non dei telescopi e che come l’astronomo ha da saper usare un telescopio così l’umano medio ha bisogno di saper usare un computer, USARE non esserne braccio clicchettante passivo. Questo essenzialmente inibisce l’evoluzione.
Mi serve chessò una CIE e ho ad es. un passaporto, beh, il passaporto è documento elettronico, dovrei poter legger lui con un lettore USB desktop, autenticato con forza adeguata sul sistema del Comune prenotare la nuova CIE acquisendo le foto da cam o da macchinetta terza fornendo un codice a lettura automatica (es. la macchinetta stampa sul retro un Qr, questo si legge dal desktop con uno scanner piano A4 normale e zbarimg o zbarcam via webcam, software libero 100%) e si riceve per posta. Avutolo per posta lo si attiva autenticandosi con documento elettronico valido + quello nuovo. Fine. Ciò tecnicamente è possibile su scala dai primi anni 2000 almeno, ma non si fa tutt’ora perché i più manco immaginano che sia possibilissimo. Dovrebbe esser NORMALE aver OpenBank aperta a tutti ed avere il proprio gestore di finanza personale che munge le transazioni dalla banca, le committa ovvero ordina operazioni firmate digitalmente in locale e riceve localmente ricevuta XML/JSON firmata LOCALE e via di questo passo.
Ciò implica un guadagno di efficienza di un ordine di grandezza ALMENO. Questo da solo permette di costruire una nuova società in cui ad es. aprire p.iva è mezz’ora su un sito pubblico, si ha chessò 2 anni di tempo per generare qualche incasso, 5 per il break even, sino a 5 in perdita o si liquida dopo per fallimento FINE. OpenFisca offre quel che serve senz’altro e via dicendo.
Questo darebbe il dinamismo che la nostra economia NON HA, perché permetterebbe davvero d’aver PMI che crescono e crollano ovunque. Aprirebbe al telelavoro, quindi alla deurbanizzazione negata con ogni mezzo da tutti per due classi di motivi entrambe a detrimento dell’evoluzione, e con lei realizzare il new deal che è necessario quanto IMPOSSIBILE nelle urbi dense a dispetto dei sogni senza competenze dietro di molti.
Suggerirei di ripassare https://www.cronologia.it/storia/tabello/tabe1530.htm pensando a quale sia l’effetto sulla società di una simile politica sempreverde, perché l’intelligenza si moltiplica con uso e confronto e si PERDE altrimenti.
fred3000
Non conosco questo metodo di valutazione né saprei che punteggio avrei ottenuto.
Ma, con un’auto critica, ammetto di avere scarse competenze spendibili.
OK, conosco 2 lingue straniere, so usare banalmente Office, SAP e Salesforce, so eseguire i compiti a me assegnati, ma se guardo la maggior parte delle offerte di lavoro, mi dico “io non sono capace di farlo”, quindi non so nemmeno se questo punteggio riflette realmente le capacità ricercate o desiderabili nel mondo del lavoro.
Matilde
Quelli di cui non si parla sono gli “adulti” (necessariamente adulti) che hanno competenze in un settore specifico (per esempio le traduzioni editoriali…), competenze formate negli anni e con gli anni, e che si ritrovano a contrastare la concorrenza di sbarbatelli appena usciti da corsi e istituti di formazione e convinti, sempre per esempio, di poter tradurre qualsiasi cosa, con l’ovvio aiuto dei traduttori automatici, tanto… “basta che si capisce”!! Questo spinge i committenti ad abbassare sempre di più i compensi, tanto qualcuno lo trovano sempre, e la qualità del lavoro non va più di moda… Una tendenza pericolosa, accentuatasi dalla pandemia in poi, che sta spingendo l’editoria verso una china sempre più ripida e impoverendo un settore che invece dovrebbe essere cruciale, perché senza traduttori (umani) ogni forma di sviluppo è necessariamente monca…
Giuseppe Spazzafumo
Resto sempre perplesso di fronte alle graduatorie internazionali. Ci piazzano sempre nelle retrovie, però quando gli italiani vanno all’estero riescono sempre ad emergere. Ai ragazzi che mi chiedono se è meglio studiare in Italia o all’estero, raccomando sempre di restare qua fino al termine degli studi, secondari o universitari che siano, per poi, se hanno voglia di crescere ancora, andare all’estero per il dottorato.
Ho avuto più volte a che fare con studenti di scuola anglosassone, sia delle superiori che universitari. Ed è meglio lasciar perdere.
Davide Viero
Incongruenze:
l’articolo parte denunciando la scarsità di strumenti culturali rilevati dalla misurazione e finisce promuovendo i soliti refrain sulle competenze spendibili nel mondo del lavoro. Non colgo il collegamento tra la cultura e le competenze tecniche a partire da queste ultime. Chi ha cultura si fa velocemente le competenze tecniche ma, al contrario, chi ha solo competenze tecniche non ha cultura ed è perciò “capitale umano” facilmente sfruttabile. Usare le carenze culturali rilevate per promuovere l’ideologia delle competenze, che con la cultura nulla hanno a che fare, è operazione ideologica se non malafede. D’altra parte l’autore non è personaggio neutro.
Lorenzo Luisi
Osservazione per gli autori.
Il sito dell’OCSE prevede che il report (rilasciato con licenza CC 4.0) sia correttamente citato come di seguito:
[Cite this content as:
Close
OECD (2024), Do Adults Have the Skills They Need to Thrive in a Changing World?:
Survey of Adult Skills 2023, OECD Skills Studies, OECD Publishing, Paris,
https://doi.org/10.1787/b263dc5d-en.%5D
Massimiliano
Leggendo l’articolo sono sorti alcuni pensieri come se fossero un riflesso automatico.
Primo pensiero: si ripresenta nuovamente il divario Nord-Sud nelle competenze, con il secondo che deve rincorrere il primo. Come possono essere meno competenti avendo gli studenti una votazione media più elevata?
Secondo: “abbiamo meno accesso all’istruzione terziaria” qual’è la causa? Se fossero i costi mi aspetterei un numero inferiore di beni di consumo di pregio. Sempre che non si preferisca l’auto o la vacanza chic al futuro dei figli. Il numero chiuso? Sono convinto da sempre che anche nell’università dovrebbe valere la legge della “selezione naturale della specie”. Chi è bravo emerge in classi da 50 come da 150. Chi era in università con me ed aveva le capacità, è arrivato alla fine anche se oltre ai banchi erano occupate le scale e qualcuno si sedeva ai piedi della cattedra. Gli altri, come il sottoscritto, si sono resi conto di non aver abbastanza capacità ed hanno cambiato strada.
Terzo: com’è possibile avere le competenze di questa ricerca se fin dalla prima elementare si insegna ricercando un nozionismo mnemonico, a scapito dell’insegnamento ragionato? E’ valutato maggiormente ricordare le date di un avvenimento, piuttosto che la relazione fra quell’avvenimento e quelli successivi.
Daniele Fano
Importante l’annotazionel “il fatto che in Italia i giovanissimi ancora in età scolare o universitaria superino i giovani adulti, che teoricamente dovrebbero essere più maturi nelle competenze necessarie per la vita adulta, evidenzia un paradosso legato a scelte educative e professionali poco efficaci nel consolidare e valorizzare le competenze acquisite”.
In effetti le conoscenze e le competenze si acquisiscono ma possono anche decadere nel tempo se non utilizzate, migliorate, integrate, Su questo il nostro sistema del lavoro non appare efficace e siamo tra gli ultimi in classifica per la formazione continua.
Piermenti
In Italia non servono le competenze per emergere, bensì la raccomandazione