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Una faticosa riforma fiscale non aumenta i salari reali

I governi degli ultimi anni hanno cercato di ridurre il cuneo fiscale e aumentare i salari netti dei lavoratori dipendenti con riforme che hanno pesato non poco sul bilancio pubblico. I risultati ci sono stati. Poi, è arrivata la fiammata dell’inflazione.

Gli interventi sul cuneo fiscale

La “questione salariale” italiana – sintetizzata nel basso livello medio delle retribuzioni e aggravata dalla quota di quelle radicalmente insufficienti – è un problema riconosciuto e nelle ultime due legislature i governi succedutisi hanno perseguito l’obiettivo di aumentare il salario netto a parità di retribuzione lorda, riducendo a tal fine il cuneo fiscale.


Per l’arco temporale 2021-2024 la rilevanza di questo disegno per i livelli di reddito più bassi è stata analiticamente documentata nell’ultimo Rapporto Inps.


A rafforzare la direzione di intervento è intervenuta anche la legge di bilancio 2025. Ha riportato in ambito Irpef – come logico e auspicabile – le riduzioni del cuneo fiscale in precedenza riconosciute come decontribuzioni; ha stabilizzato le modifiche alle aliquote Irpef già varate in precedenza e ha rivisto o integrato le altre voci (detrazioni per lavoro dipendente, trattamento integrativo, detrazione aggiuntiva, integrazione aggiuntiva) che incidono sul passaggio dalla retribuzione lorda al salario netto. Come già ampiamente commentato, con riferimento all’insieme complessivo dei redditi, persistono rischi di complicazioni e di effetti distorsivi (o non voluti). In particolare, la semplificazione resta una chimera.


Ma tralasciando la discussione sulle singole componenti del cuneo fiscale e concentrandoci sul risultato finale, il complesso cumularsi e sostituirsi dei cambiamenti degli ultimi anni su aliquote, bonus, detrazioni, di quanto ha modificato la curva del cuneo fiscale? Di quanto è cresciuto il salario netto a parità di salario lordo?

Cosa è cambiato nel periodo 2019-2025

Cerchiamo la risposta confrontando le curve del cuneo fiscale negli anni 2019-2025 (grafico 1) in corrispondenza dei livelli mensili di retribuzione da 500 euro a 7.700 euro. L’incidenza del cuneo (imposte nette più contributi) è calcolata sui corrispondenti totali annui, considerando tredici mensilità: si va, quindi, da una Ral (retribuzione annua lorda) di 6.500 euro, per le retribuzioni mensili di 500 euro, a una di 100.100 euro per le retribuzioni mensili di 7.700 euro. Nel grafico non è evidenziata la curva per il 2020, anno “speciale” per le note ragioni e quindi ignorabile. E non si tiene conto delle addizionali regionali e comunali, data anche la loro stabilità nel tempo e la grande variabilità territoriale. La curva descrive, in definitiva, per i dipendenti full year, come si è andato modificando per ciascun livello salariale il carico fiscale e contributivo, in assenza di “alterazioni” derivanti da ragioni non salariali (altre fonti di reddito o spese particolari – come i mutui – che danno diritto a detrazioni aggiuntive).


Negli anni in esame la curva del cuneo fiscale è progressivamente slittata verso il basso, con continui movimenti in tale direzione, anche se non sempre ben disegnati lungo tutta la distribuzione, come si desume dai cambi di pendenza (che lasciano intravvedere dei salti nelle aliquote marginali).

Grafico 1 – Lavoro dipendente: cuneo fiscale per livelli di retribuzione mensile annualizzata, 2019-2025

Alla fine per il 2025 la curva del cuneo fiscale risulta, ridotta in misura consistente, rispetto al 2019, soprattutto per le fasce più basse di reddito: attorno ai 7-9 punti fino a 1.500 euro mensili. La misura risulta via via decrescente quanto più si sale nella scala dei salari: circa 6-8 punti fino a 38mila euro; 2-4 punti fino a 55mila; max 1 o 2 punti sopra.

Grafico 2 – Variazione dei salari netti a parità di salario lordo: confronto 2025-2019 (in valori assoluti e in %) e confronto 2022-2019 (in %)

In valori assoluti (grafico 2) l’effetto più consistente ha interessato le retribuzioni lorde tra 2mila e 3mila euro mensili: il beneficio massimo – pari a un aumento annuo del salario netto di 2.600 euro – è andato alle retribuzioni lorde attorno ai 2.300 euro mensili (circa 30mila euro annui). L’incremento risulta via via decrescente – pur senza una lineare continuità – per le retribuzioni più alte, fissandosi alfine a 530 euro annui per le retribuzioni over 6mila euro mensili.


Lo stato ha quindi consentito, in misura variabile per i diversi livelli di reddito, un significativo incremento dei salari netti a parità di retribuzione lorda.

Quanto pesa la fiammata dell’inflazione

Ma gli anni considerati sono stati contraddistinti da una fortissima fiammata inflazionistica, quantificabile attorno al 19 per cento tra 2019 e 2025 (accettando per l’anno in corso una previsione di inflazione contenuta, pari all’1,5 per cento).


Sempre nel medesimo grafico 2 è evidenziata la crescita percentuale dei salari netti in costanza di retribuzione lorda sia per l’intero periodo 2025-2019 sia per il sotto-periodo 2019-2022, differenziando in tal modo quanto deciso rispettivamente dai governi delle due legislature che si sono succedute. I maggiori incrementi di salario netto – tra il 10 e il 12 per cento – sono stati appannaggio delle retribuzioni lorde mensili attorno ai 2.000-2.500 euro; per i redditi più alti l’aumento scende all’1 per cento ed è attribuibile all’azione dell’ultimo governo.


Se confrontato con l’inflazione l’ammorbidimento del cuneo fiscale, pur rilevante per le fasce di reddito più basse, risulta comunque insufficiente ad assicurare la costanza del potere d’acquisto, vale a dire l’invariabilità del salario reale netto.


Le riforme fiscali, in sostanza, pur così faticose per il bilancio pubblico, hanno solo parzialmente restituito ciò che l’inflazione ha tolto al potere d’acquisto dei salari.


Il grafico 3 evidenzia la curva del cuneo fiscale che sarebbe stata necessaria, a retribuzione lorda costante, per mantenere stabile il potere d’acquisto dei salari netti: la sua distanza dalla curva effettiva 2025 – post riforme – è assai significativa anche per i livelli di reddito più interessati dalle riforme. La differenza è dovuta al cosiddetto fiscal drag: l’aliquota media è superiore a quella che si dovrebbe avere se si tenesse conto della perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione (come discusso qui e qui).

Grafico 3 – Lavoro dipendente, confronto tra 2019 e 2025 per livelli di salario netto fissi in termini reali (= rivalutazione del 19%) e cuneo fiscale necessario a tal scopo

Ci chiediamo infine se, nel caso di ipotetici incrementi della retribuzione lorda in linea con l’inflazione (quindi pari al +19 per cento), il cuneo fiscale diventa più severo (effetto fiscal drag). A tal fine nel grafico 4 confrontiamo la curva del cuneo fiscale 2019 con quella ottenuta a regole 2025 per i medesimi livelli di reddito lordo rivalutati del 19 per cento.

Grafico 4 – Lavoro dipendente, cuneo fiscale: confronto tra 2019 e 2025 per livelli di salario fissi in termini reali (= rivalutazione del 19%). Base 2019

Nel 2025 il cuneo fiscale per i livelli retributivi del 2019 rivalutati del 19 per cento risulta comunque leggermente ridotto fino a circa 3mila euro lordi; sopra tale livello si apre una modesta forbice. Per la stragrande maggioranza dei salari, quindi, incrementi del salario lordo in linea con l’inflazione non comporterebbero lo slittamento verso livelli più elevati di carico fiscale e contributivo: seppur in misura ridotta, beneficerebbero ancora del ridisegno della curva, ottenendo in tal modo qualche incremento in termini reali (ad esempio l’incremento del 19 per cento di una retribuzione lorda di 30mila euro nel 2019 darebbe luogo a una crescita salariale, in termini reali, attorno al 6 Per cento). Ma quanti salari lordi hanno conosciuto – o conoscono – una dinamica in linea con l’inflazione?

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  1. Savino

    Fatto sta che hanno tolto 100 Euro al mese ai lavoratori poveri ed hanno aumentato le accise sulla benzina o i tabacchi come gli altri Governi.
    L’impennata inflazionistica è stata negata ed il passaggio repentino al mercato libero energetico (quando i clienti non erano pronti, altra batosta per il consumatore) è stato svenduto da Fitto per ottenere prima una rata del PNRR, ed ora Giorgetti è in fase di ripensamento. Come governa questa classe dirigente (tutti compresi) penso sia capace ognuno di noi, tanto con l’aumento di tasse e i tagli lineari, sulla pelle della povere gente, si raggiunge qualsiasi obiettivo.

  2. Mahmoud

    Nessuno ovviamente crede che a regime una persona adulta in Italia guadagni meno di 8mila euro come preso in considerazione da questa analisi, a meno che per proprie ragioni on voglia lavorare di più, ad esempio poichè già sono presenti altri più cospiqui redditi in famiglia.
    Questa tassazione è riferita di fatto a) a situazioni straordinarie come la perdita del lavoro a inizio anno o l’inizio di altro lavoro nell’ultima parte dell’anno solare b) a possibilità di evadere e dichiarare solo meno di euro 8mila lordi annui, vivendo grazie ad un indefinito reddito in nero.
    Le analisi sulla tassazione andrebbero sempre contestualizzate alla realtà, perchè sono gli onesti che pagano i servizi di questo Paese, non chi dichiara meno di 8mila euro lordi l’anno.

  3. Enrico

    Immaginiamo di azzerare irpef e contributi per i lavoratori dipendenti. Pensate che il loro potere d’acquisto reale aumenterebbe? Dovrebbero pagarsi di tasca loro sanità, scuola, pensioni e servizi pubblici che oggi sono finanziati da imposte e contributi…pagati quasi esclusivamente da dipendenti e pensionati. Quindi il taglio del cuneo serve solo a redistribuire il reddito tra i vari contribuenti, ma non lo aumenta di un cent. Invece il taglio dei servizi pubblici e delle pensioni collegato agli sgravi fiscali riduce il potere d’acquisto reale dei redditi.

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