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Neet, un problema da affrontare lontano dai luoghi comuni

Il numero dei Neet in Italia è tra i più alti d’Europa. La non partecipazione alle traiettorie ordinarie di studio, formazione, occupazione formale sembra un effetto della marginalità sistemica, più che di una predisposizione individuale. 

Troppi Neet in Italia

In Italia il tasso di Neet, ossia la quota di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano né sono inseriti in percorsi formativi, rimane tra i più alti in Europa. Il dato Istat per il 2023 lo fissa al 16,1 per cento a livello nazionale, ma con forti differenze tra i territori: nel Mezzogiorno le percentuali superano stabilmente il 25 per cento.

La persistenza di un fenomeno così ampio, in una fascia anagrafica cruciale per l’attivazione, l’investimento sociale e la sostenibilità del sistema previdenziale, impone un’analisi attenta, al fine di trovare soluzioni efficaci.

Diversi studi qualitativi evidenziano la correlazione tra dispersione scolastica e povertà educativa. Un fattore predittivo è l’essere figlio in nucleo monogenitoriale (con madri sole) che troppo frettolosamente viene associato a disagio personale e solo raramente al carico di cura dei fratelli. Appare singolare che la situazione di Neet incida più sulle giovani donne che sugli uomini, pur avendo, le prime, migliori risultati a scuola: la dispersione scolastica riguarda infatti di più i maschi e in misura minore le femmine. Il divario di genere potrebbe essere correlato alla tendenza delle giovani a uscire dal mercato del lavoro a causa della necessità di gestire carichi di cura familiari. Sempre il rapporto Action Aid nota come la percentuale di donne Neet aumenta nel caso delle giovani di origine straniera, arrivando a toccare il 73 per cento. Più in generale, tra i Neet c’è una sovra-rappresentazione di ragazzi e ragazze di cittadinanza non italiana.

Quanto conta il lavoro sommerso

In assenza di ricerche specifiche, per provare a indagare empiricamente questi fenomeni possiamo mettere in relazione le stime sui Neet con la diffusione del lavoro sommerso e i tassi di maternità precoce, che rappresentano approssimazioni, seppur parziali, di partecipazione alla produzione di reddito informale e al carico di cura.

Per esempio, l’analisi dei dati Istat per il 2022 (tasso di irregolarità per 100 occupati, ultimo dato disponibile su base regionale) mostra una correlazione estremamente elevata tra le due variabili. Le regioni con il più alto tasso di Neet sono anche quelle con il più alto tasso di lavoro sommerso, misurato come incidenza dell’occupazione non regolare sul totale degli occupati.

Il coefficiente di correlazione calcolato sulle venti regioni italiane è pari a 0,915, valore che suggerisce una relazione sistemica.

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Figura 1 – Relazione tra tasso di lavoro irregolare e tasso di Neet per regione (2022)

Fonte: elaborazione su dati Istat.

Una correlazione non indica causalità. La condizione di occupato o in attività formativa peraltro è dichiarata nella rilevazione sulle forze lavoro, per cui dovrebbe intercettare anche (almeno in parte) il lavoro irregolare, a meno che non si presuma che le persone, se occupate in modo informale, dichiarino sistematicamente il falso. Un fattore terzo potrebbe premiare il lavoro irregolare e nello stesso tempo disincentivare percorsi formali nei più giovani. Oppure potrebbe esserci una casualità inversa tra le due variabili: se l’unica possibilità di inserirsi al lavoro è nel sommerso, molti giovani potrebbero essere scoraggiati nel cercare lavoro. L’ipotesi però è plausibile solo se ammettessimo che una percentuale ampia di giovani non abbia la necessità di lavorare. È in fondo la tesi della “società signorile di massa” di Luca Ricolfi, ma non tiene in considerazione che proprio le regioni a maggiore incidenza di povertà sono quelle con maggior sommerso e maggior tasso di Neet. Peraltro, rimane comunque uno zoccolo duro di Neet: anche con un tasso di lavoro irregolare vicino allo zero, la percentuale di giovani senza lavoro e senza studi resta intorno al 10 per cento.

La relazione con la maternità precoce

Una seconda correlazione che vale la pena di indagare è tra Neet e tassi di fecondità femminile, limitandosi agli under 25.

Le anomalie sono rappresentate dalla Sardegna, con un tasso di fertilità basso e un alto tasso di Neet e all’inverso dalla provincia autonoma di Bolzano, con alto tasso di fertilità e un basso tasso di Neet. Negli altri casi, si registra una forte associazione positiva tra tasso di Neet e numero di nati vivi per mille donne nella fascia 18–24 anni quando le regioni hanno un tasso di Neet oltre il 10 per cento. In questo sottoinsieme di regioni, il coefficiente di correlazione tra tasso di Neet (15–24) e fecondità sotto i 25 anni risulta pari a 0,77, indicativo di una relazione lineare forte.

Figura 2

La maternità precoce può rappresentare un fattore rilevante di abbandono scolastico o inattività lavorativa, in particolare in contesti dove il supporto pubblico per la conciliazione è debole o assente, per apprendimento sociale rispetto al comportamento percepito delle madri o per tradizione culturale, anche a base etnica. Il fenomeno, associato ai carichi di cura per altri famigliari (fratelli minori o adulti non autosufficienti), in particolare in famiglie monogenitoriali dove la madre lavora, sembra promettente per dare una spiegazione al divario di genere. Anche qui è opportuno usare prudenza. In assenza di studi più approfonditi è possibile che una stessa causa, ad esempio condizioni di disagio o l’assenza dei genitori durante il giorno, siano causa di entrambi i fenomeni (Neet e maternità precoce). Né si può escludere che i due fenomeni si sommino nelle stesse persone. Sarebbe opportuno studiare quante giovani madri siano anche Neet.

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Pur nella semplicità dell’analisi, l’accostamento tra i due insiemi di dati suggerisce di abbandonare la rappresentazione semplicistica del Neet come soggetto passivo, disimpegnato o improduttivo. Tale narrazione sembra più una miopia dovuta a proiezione di classe, per cui i figli di benestanti che non hanno necessità di reddito si prendono “anni sabbatici” o si dedicano al volontariato culturale. La non partecipazione alle traiettorie ordinarie – studio, formazione, occupazione formale – è un effetto della marginalità sistemica, più che di una predisposizione individuale. 

Aumentare il tasso di attività dei più giovani non è solo una questione di equità e di valorizzazione del capitale umano, ma rappresenta anche una priorità economica e sociale: è infatti essenziale per dare una risposta al fenomeno dello scarcity (con grave danno e conseguente rallentamento della crescita) e per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale. Rafforzare l’occupazione dei più giovani significa ampliare la base contributiva, ridurre la dipendenza dai trasferimenti pubblici e promuovere un modello di sviluppo più inclusivo.

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  1. Beppe

    Buongiorno, ho letto con interesse l’articolo, avendo un caso di neet in famiglia. Confermo che mio figlio, che vive solo con la madre, rientra nella casistica di cui accennava l’autore. Vivendo al sud è difficile trovare un lavoro a tempo determinato che sia quanto meno regolarizzato e sino adesso ha trovato solo lavoro in nero, a conferma di quanto detto nell’articolo. Il vero problema, per quello che vivo e che vedo, è che gli studi dopo le medie non rilasciano alcun valido titolo che consentirebbe di entrare nel mondo del lavoro ad un’ età ragionevole di 19-20 anni. Così si continua a procrastinare all’Università, dove si resta per un periodo piu’ o meno lungo, disabituandosi alla realtà lavorativa e quella della vita più in generale, finendo per fare lavori che non hanno bisogno affatto di una laurea (me lo spiega cosa centrano col mestiere di farmacista che significa titolare di farmacia, tutti i numerosi giovani laureati in farmacia che di fatto sono dei commessi, il cui unico lavoro è quello di prendere un farmaco da uno scaffale e metterlo in vendita sul bancone? E potrei continuare con gli ingegneri assunti come operai etc.). Secondo me in Italia c’è un problema di programmazione negli studi sia da parte di chi ci governa e sia da parte di chi li intraprende. Vorrei fare poi un appunto sulla “maternità precoce”. Un donna che partorisce tra i 15 e i 20 anni sarà anche precoce. Capisco meno una donna che partorisce fra i 21 e i 24 anni. Anche questo è un argomento su cui si procrastina molto, sino ad arrivare ad età in cui avere un figlio, diventa un problema serio. Non sarà sbagliata la media europea?

  2. Antani

    L’Italia è un paese fallito

  3. bob

    l’ investimento in cultura e in istruzione dal potere politico è stato sempre visto come l’aglio per il vampiro.
    In Italia in cui convivono da secoli due poteri ( in pratica due Governi) genera terrore. Meglio stare alla larga.
    il paradosso è che in un Paese carico di Storia e di arte cultura e istruzione genererebbe un PIL ricco e di qualità.
    Invece il principio adottato ( chi ha memoria ricorda) è stato quello del “prenderti un pezzo di carta” propedeutico ad un concorso fuffa inutile.
    Idem con il nostro sviluppo industriale che avrebbe dovuto essere pieno di laboratori e di innovazione invece che di capannoni orridi.

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