Non sarà il turismo a salvare l’Italia

Lavoce in mezz’ora è il nuovo format di divulgazione de lavoce.info. Due volte al mese, in mezz’ora di chiacchierata, discutiamo di temi di attualità e di particolare rilevanza per il dibattito pubblico con esperti del settore. Con Riccardo Trezzi, professore all’università di Pavia e consulente per fondi di investimento, esaminiamo il fenomeno del turismo in Italia: dal suo valore aggiunto alla produttività, dai contratti collettivi ai salari reali.

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Niente baratti sul Dma*

  1. Savino

    Solo la trasformazione di materie prime in beni finiti genera PIL e benessere per davvero. Lo dice la storia della seconda metà del novecento. Gli apprendisti stregoni dell’economia, negli ultimi 20-30 anni, hanno fatto finire l’artigianato, la manifattura, l’industria. Per il profitto di Amazon e di poche altre multinazionali è finito il commercio al dettaglio. Dell’agricoltura ci siamo accorti solo con molto ritardo e ora stiamo improvvisando una valorizzazione delle eccellenze. Questo è successo anche in America e Trump se ne accorgerà che non è l’Europa o la Cina il suo nemico, ma questa dannata epoca, dove si vogliono fare solo i soldi facili producendo aria fritta. Ai giovani, in questo senso, non stiamo insegnando l’importanza della cultura del lavoro. Il turismo può lo stesso essere una percentuale dell’economia in Italia, ma quello culturale o paesaggistico, non quello della cattiva e cafona immagine del Twiga dell’indagata ministra Santanchè (e anche una ministra indagata è cattiva immagine e scarsa credibilità internazionale).

    • Enrico

      In effetti al posto del PIL i sovietici calcolavano il prodotto materiale lordo, che includeva solo miniere, agricoltura e industria. I servizi erano considerati una forma di redistribuzione del valore creato da questi settori. Forse esageravano, ma ora abbiamo incluso anche prostituzione e produzione e spaccio di droga.

  2. bob

    Turismo? Un signore spaparanzato al bar con un telefonino gestisce 10 appartamenti e fa concorrenza ad un Hotel che garantisce occupazione e formazione delle professioni. Questa breve sintesi è lo specchio della nostra “classe” politica”. Non una programmazione o un progetto di sviluppo come un Paese dovrebbe avere e neanche un favore ad una lobby, ma il favore di turno ai quattro amici degli amici per rassicurarsi il posto alla prossima legislatura.
    Una follia di un Paese che procede con i “rattoppi” con le chiacchiere e con la propaganda del ciarlatano

  3. Mario Muscatello

    Tutto vero.Rimane la consolazione che sia il turismo in generale e quello enogastronomico sono una risorsa ,anche se a produttività bassa o medio bassa,che non risentono la concorrenza internazionale .Per vedere certi luoghi o città d’arte o gustare certi prodotti ritengo che bisogna comunque venire in Italia . Sarà una rendita parassitaria ma è pur vero che è insostituibile e per i prossimi anni futuri rimarrà il petrolio italiano sempre chè venga tutelato il paesaggio e ci sia una politica intelligente e sostenibile per aumentare il valore di rtutto il settore. grazie

  4. Sam

    È vero che il turismo è un settore maturo, che genera lavori poco qualificati, a basso valore aggiunto, ecc.
    …MA la domanda da porsi è: PERCHÉ allora quelli che vi lavorano non si spostano nei settori più dinamici, che come mostrano la slide 14 e 15 offrono migliori retribuzioni?
    Evidentemente perché non hanno le competenze… vediamo l’esempio del Comasco: magari l’operaio tessile con la terza media che ha perso il lavoro quando ha chiuso il setificio dove lavorava adesso fa il cameriere in un ristorantino sul lago. Ok, ma che altro doveva fare? Andare a fare l’analista finanziario o il neurochirurgo o il programmatore? È bene che sia andato a fare il cameriere, se l’alternativa era stare disoccupato a chiedere sussidi.

  5. Nevio

    Punto di vista molto interessante. Eccessivo il peso che la politica da al turismo come “petrolio d’Italia” (una rappresentazione orrenda, direi) ma anche troppo facile ridurne il peso o amplificarne i danni. Il turismo (l’industria turistica nel suo complesso) sono un elemento importante senza bisogno di rappresentare % improbabili di PIL. In tutte i settori economici ci sono impatti che vanno valutati e gestiti con le regole. Per il turismo questo è difficile perché il settore è così frammentato (es: le regioni e non lo Stato hanno potestà normativa) da rendere molto difficile intervenire realmente su impatti e indirizzi. E questo vale anche per chi rappresenta i lavoratori. Nel video però mi sembra si dimentichino alcuni fatti che dovrebbero essere inseriti nella rappresentazione del settore: 1) la persistente ampia esistenza di sacche di “nero” (lavoro, ricettività, stipendi) che rende abbastanza labili le statistiche dell’Istat. 2) il peso in piccole strutture (non solo alberghi, anche servizi turistici) dell’aumento dei costi dell’energia, anche nella filiera dei fornitori, incredibilmente impattante in questi anni per imprese con marginalità molto basse e quindi sempre meno spazio per ricerca e sviluppo (o ristrutturazione). 3) l’esistenza di una forte stagionalità (non solo per il balneare) che non permette una maggiore professionalizzazione del personale e quindi l’inizio di un percorso logico di aumento salariale. Per questo ed altro fatico a partecipare alla gara tra chi “il turismo è il petrolio” e chi “il turismo ci porta dalla parte sbagliata dell’economia”. Il turismo è (dovrebbe essere) l’organizzazione industriale (mi si permetta il termine) di uno dei bisogni più forti dell’uomo: il viaggio, la conoscenza, il relax, la scoperta della bellezza. Come un grande impianto siderurgico o un data center iper-energivoro può distruggere il territorio anche un turismo non organizzato e non gestito può fare danni. Secondo me il punto è questo non nella classifica di chi fa meglio cosa.

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