Invalsi 2025: il grido d’allarme risulta ancora più forte

I dati Invalsi confermano le debolezze storiche del sistema scolastico, aggiungendone di nuove, specie nella scuola primaria. Se si fa fatica a garantire livelli accettabili di competenze di base a tutti gli studenti, anche le eccellenze diminuiscono.

Cosa non va nella scuola primaria

Il Rapporto Invalsi 2025 dipinge un quadro allarmante per la scuola italiana. A cinque anni dalla pandemia, dopo una parvenza di ripresa lo scorso anno, si confermano con chiarezza alcune debolezze storiche, preesistenti al Covid-19. Ne emergono però anche di nuove, soprattutto nella scuola primaria. Si tratta di una incapacità strutturale del nostro sistema scolastico, che fatica non solo a garantire livelli accettabili di competenze di base a tutti gli studenti, ma ancor meno riesce a coltivare quelle competenze più elevate che dovrebbero essere il motore del progresso di un paese avanzato.

Già dal secondo anno di primaria si aprono le prime crepe: in italiano ben il 34 per cento degli studenti si colloca al di sotto dell’apprendimento minimo, definito dallo stesso Invalsi sulla base delle Indicazioni nazionali per i diversi cicli scolastici, mentre, sul fronte opposto, solo il 21 per cento raggiunge le fasce più alte registrando un preoccupante calo di ben 8 punti rispetto al 2019.

Questi bambini, non dimentichiamolo, hanno trascorso gli anni cruciali della scuola dell’infanzia in piena pandemia, ed è plausibile ipotizzare che la distanza forzata dalle scuole abbia inciso profondamente sulle opportunità educative e relazionali dei più piccoli. Per molti, in particolare per chi proviene da contesti socio-economici fragili, dove gli stimoli linguistici e culturali spesso scarseggiano, la scuola dell’infanzia dovrebbe essere un passaggio vitale per lo sviluppo di competenze accademiche e sociali. Lo suggeriscono anche i risultati degli studenti di origine straniera che registrano punteggi significativamente inferiori rispetto ai coetanei italiani, con un gap che si allarga rispetto all’anno scolastico precedente.

Al quinto anno di scuola primaria, la situazione non è, però, più rosea: in italiano il 27 per cento e in matematica oltre il 40 per cento degli studenti non raggiunge il livello base, con una crescente concentrazione nella fascia più bassa e una netta riduzione dei livelli alti.

Alla fine della terza media il quadro è, se possibile, ancora più critico: il 41 per cento degli studenti si trova sotto il livello base in italiano e il 44 per cento in matematica. I dati rivelano un declino costante degli studenti che raggiungono livelli adeguati di apprendimento: è di 7 punti percentuali in sette anni (dal 2018). Preoccupa, in particolare, la perdita di studenti nelle fasce alte di competenza, che sempre più rappresentano un’élite ristretta. Parallelamente, c’è una crescita allarmante degli studenti “fragili” ossia di ragazze e ragazzi che formalmente arrivano a superare l’esame, ma privi dei livelli minimi di competenza per affrontare il ciclo successivo sia in italiano, sia in matematica. Negli otto anni del primo ciclo la scuola non riesce a porsi come elemento di riequilibrio sociale, anzi cristallizza o persino amplifica le disuguaglianze esistenti. L’effetto è la cronicizzazione di una fragilità che, in molte scuole e territori, vede la maggioranza degli studenti muoversi costantemente sottosoglia, senza che si attivino strategie efficaci di recupero.

Leggi anche:  Il percorso universitario? Una questione di famiglia

Le difficoltà del secondo ciclo

Nel secondo ciclo, le difficoltà si acuiscono fino a diventare veri e propri crolli. In seconda superiore, sia in Italiano che in Matematica si registra un calo dell’8 per cento rispetto al 2019 degli studenti che raggiungono i traguardi previsti dai Quadri nazionali di riferimento.

Figura 1 – Studenti e studentesse che raggiungono i traguardi previsti in matematica in II secondaria di secondo grado, in Italia e per macroarea geografica. Valori percentuali, serie storica.

Fonte: Invalsi (2018-2025)

L’analisi dell’Invalsi per area geografica rivela un dato inedito: Nord-Ovest e Nord-Est perdono rispettivamente 9 e 13 punti in italiano e 11 e 16 in matematica. Il Sud, forse anche perché parte da livelli inferiori, “tiene” relativamente meglio, ma la riduzione del divario Nord-Sud frutto di un peggioramento delle aree settentrionali, che avevano tradizionalmente un buon andamento, non può e non deve essere considerata un progresso.

I dati degli studenti che sono arrivati al termine degli studi e affrontano l’esame di maturità sono ancora più allarmanti: sia in italiano che in matematica si registra una diminuzione di 12 punti percentuali rispetto al 2019 di coloro che raggiungono i traguardi minimi sufficienti di apprendimento e con un tasso di dispersione implicita (studenti con livelli inadeguati in tutte e quattro le discipline testate) che cresce dopo l’apparente rallentamento dello scorso anno. Anche in questo caso si tratta di una coorte segnata in modo profondo dal Covid: questi studenti hanno frequentato gli anni cruciali tra la fine delle medie e l’inizio delle superiori in piena pandemia, tra chiusure forzate e prolungate, turni e didattica a distanza. Durante gli anni successivi i ritardi non sono mai stati adeguatamente recuperati. 

Buone notizie sulle competenze digitali

L’unica nota positiva in questo scenario è emersa dalla prova sperimentale sulle competenze digitali al grado 10, somministrata per la prima volta nel 2025. La rilevazione ha misurato le competenze in cinque aree chiave: alfabetizzazione su informazioni e dati, comunicazione e collaborazione, creazione di contenuti digitali, sicurezza digitale e risoluzione di problemi. Oltre l’80 per cento degli studenti raggiunge almeno un livello intermedio in tutte le aree testate, e oltre il 90 per cento dimostra buone competenze nella comunicazione digitale. Tuttavia, è necessaria un po’ di cautela, dato che è il primo anno che la prova viene somministrata e le differenze tra indirizzi scolastici, aree geografiche e background familiare rimangono significative. Soprattutto, si tratta di competenze spesso sviluppate autonomamente (piattaforme social, gaming con build challenge e giochi di ruolo e creativi come Minecraft o Toca per i più piccoli), al di fuori del contesto scolastico.

Leggi anche:  Nel rapporto Ocse lo stato di salute del sistema educativo italiano

Non è tutta colpa del Covid

Attribuire la responsabilità dei risultati esclusivamente alla pandemia sarebbe certamente rassicurante, ma profondamente fuorviante. Il Covid ha aggravato problemi preesistenti, ma è la scuola italiana a non essere riuscita a reagire né prima né dopo, a compensare le lacune e a costruire percorsi di recupero efficaci. Il dato più allarmante non è solo la caduta dei punteggi medi, ma la riduzione della quota di studenti nelle fasce alte di abilità. Un paese che non riesce più a produrre eccellenza diffusa, mentre lascia indietro una parte crescente della popolazione scolastica, è destinato a soffrire.

Il Rapporto Invalsi 2025 conferma poi la persistenza e, in parte, l’ampliamento dei divari territoriali e sociali. Le scuole del Mezzogiorno hanno percentuali più elevate di studenti sottosoglia, ma il deterioramento del Nord suggerisce una crisi ben più diffusa. All’origine dei divari vi sono fattori esogeni noti e complessi: il livello di istruzione dei genitori, le risorse culturali e l’accesso a opportunità extrascolastiche, che la scuola non riesce a compensare

In questo scenario, colpisce l’assenza di segnali positivi anche rispetto alle risorse straordinarie investite negli ultimi anni con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Uno degli obiettivi principali del Pnrr in ambito educativo era proprio quello di contrastare la dispersione scolastica, rafforzare le competenze di base e ridurre i divari territoriali. Tuttavia, i dati Invalsi 2025 non mostrano, almeno per ora, miglioramenti in queste direzioni. Ancora una volta, sembra prevalere una logica di interventi frammentati e di breve periodo, che faticano a produrre cambiamenti strutturali in un sistema che richiede coerenza, continuità e investimenti di lungo respiro per affrontare i suoi nodi tradizionali: un sistema che sia in grado di attrarre i migliori laureati nell’insegnamento, prevedendo retribuzioni e carriere adeguate; formazione iniziale e continua centrate sulla qualità didattica e sulla capacità di cogliere e stimolare le inclinazioni degli studenti, che accenda il loro interesse e la loro curiosità, anziché farli progredire sotto minacce di sanzioni e bocciature. 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'alternanza scuola-lavoro? A volte porta all'università

Precedente

Ogni madre è diversa. E la child penalty pure *

Successivo

Nove grafici sui trasporti in Italia

  1. Carl von Clausewitz nella sua celebre opera scriveva che non esiste una strategia “migliore” perché il mondo cambia, ne esiste una migliore oggi, i fondamentali sono gli stessi in ogni epoca, ma cambiando il mondo ciò che valeva ieri non vale oggi e ciò che vale oggi non varrà domani. Altro modo più dettagliato di dire panta rei. Per dirla altrimenti la scuola d’oggi non funziona perché si è fermata a ieri.

    Da un lato abbiamo testi sempre peggiori, conclusivi, prolissi, necessari per giustificare il prezzo di copertina e la nuova edizione ogni anno, ma improponibili sia per gli adulti che per i bambini, dall’altro abbiamo docenti che vivono nel passato, informatica? Ma se i più non san quotare una mail o manco cosa sia un file come possono insegnare tantopiù informatica? Oggi più del libro attira l’audiolibro e il video ben montato non perché “migliori” specialmente ma perché sono le stimolazioni comuni del periodo con cui i bambini apprendono e che li attirano. Oggi serve insegnare a DISEGNARE a mano libera per sviluppare la cinestesia della mano, ma non a scrivere a mano, serve scrivere a computer e scrivere davvero, ovvero sapendo impaginare documenti, conoscendo le regole di tipografia del periodo. Essendo il desktop lo strumento gnoseologico d’oggi come il libro quello di ieri, serve saperlo usare, non cliccare in giro su qualche WebUI e via dicendo. Prima di insegnare programmazione, quasi sempre con linguaggi obsoleti e pure deprecati, serve insegnare ad usare un computer davvero, a gestire la propria informazione digitale, a produrla, ad automatizzare banalmente con una shell e solo dopo arrivare a qualche linguaggio di programmazione. Ciò però non lo comprende chi per primo non sa ed il poco che sa l’ha appreso male.

    Se davvero qualche docente vuol cambiare in meglio la scuola a questo deve pensare, il governo vuole la scuola Baccelliana “non devono pensare altrimenti sono guai”, quindi certo non spingerà in direzioni utili.

  2. Dario

    È tutto voluto, altro che “disastro”. Il tempo cge si dedica allo studio è del tutto marginale rispetto a una pletora di iniziative e attività che, di didattico, hanno davvero poco o nulla: incontri con politici, uscite sul territorio a “intervistare” piante, pause didattiche, settimana corta, pseudoesperti innovatori della didattica sensoriale…tutto va bene, tranne che studiare. E questi sono i risultati.

  3. Stefy

    La pandemia c’entra solo in minima parte.
    L’ostacolo da affrontare è insegnare l’ Italiano ad alunni e genitori stranieri.
    La difficoltà maggiore si riscontra nell’esposizione delle materie di studio e nella comprensione dei problemi matematici.

  4. Pietro Della Casa

    Analisi sconsolante.
    Non si risolve il problema pagando di più gli insegnanti o facendo dei corsi di aggiornamento, e l’appello contro le bocciature, anzi contro “le minacce”, è addirittura surreale nella forma e nella sostanza.
    I miglioramenti reali si ottengono alzando l’asticella, mentre al contrario più si abbassano gli obiettivi minimi, più si abbassano i risultati ottenuti.

  5. lorenzo

    Chiedo agli autori un commento sul fatto che al Sud ci sono più studenti licenziati con il massimo dei voti rispetto al Nord. Grazie.

  6. Armando Pasquali

    Gli autori dell’articolo non indicano rimedi concreti e praticabili.
    Leggendo i commenti si nota che ognuno va in direzioni diverse.
    Come se ne esce?
    Semplicemente non se ne esce.
    Chi ha avuto personalmente un impatto con l’istituzione scolastica già a livello di scuola primaria resta allibito.
    Nessun intervento dall’alto può intervenire su questo degrado, perché di degrado si tratta.
    Gli insegnanti fingono di insegnare e i presidi (pardon, i dirigenti scolastici) fingono di dirigere.
    La scuola è, ormai da decenni, un bacino elettorale. Niente altro.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén