Il piano Milei ha permesso di domare l’inflazione attraverso misure drastiche, che per il momento non hanno fatto perdere consensi al presidente. Mentre si riaffacciano le pressioni sul cambio, risanare e riformare il sistema economico resta una sfida.
Come procede il piano Milei
Un anno fa, avevamo descritto come, in Argentina, il cosiddetto piano Milei fosse riuscito, contro molte previsioni, a riportare rapidamente sotto controllo un’inflazione elevatissima grazie a due pilastri: sul fronte della domanda, un pesante aggiustamento fiscale; sul fronte dell’offerta, liberalizzazioni e altre riforme economiche. Ne sottolineavamo allora il successo macroeconomico e il consenso crescente tra gli argentini, ma anche le forti tensioni sociali, la fragilità cronica del paese e l’incertezza politica che avrebbero potuto metterlo alla prova.
A dodici mesi di distanza, vale la pena tornare su quel tema per chiedersi dove sia arrivata oggi l’economia argentina e a che punto sia il piano di Milei: l’inflazione resta sotto controllo, pur rimanendo alta per i nostri standard, la povertà — inizialmente in aumento — è tornata ai livelli più bassi dal 2018, ma permangono problematiche importanti sul fronte del cambio, delle riserve e della crescita. E, più in generale, resta aperta la sfida di risanare e riformare un sistema economico fragile e ingessato, che fatica a liberare il potenziale produttivo del paese e a incanalarsi su un sentiero di crescita e stabilità. Andiamo con ordine.
Il controllo dell’inflazione
Dopo il picco post-elezione, l’inflazione si è stabilizzata su ritmi mensili tra l’1,5 per cento (maggio) e il 2,1 per cento (settembre), ben lontani dai livelli di fine 2023. Su base annua, è al 31,8 per cento a settembre 2025, molto più bassa di un anno fa quando era sopra il 200 per cento, ancora alta per gli standard Ocse, ma in linea con i livelli argentini pre-Covid. Stessa cosa per l’inflazione di fondo che oscilla attorno al 2 per cento mensile (2,2 per cento a maggio, 1,9 per cento a settembre). Anche le aspettative, cioè uno dei motori dell’inflazione, si sono ridotte: a dodici mesi la mediana Rem (Relevamiento de Expectativas de Mercado) della banca centrale è al 21,9 per cento.
La figura 1 mostra l’evoluzione dei principali indici di inflazione. Averla abbassata è stato cruciale per il recupero del potere d’acquisto dei lavoratori. Ad agosto i salari reali sono cresciuti dell’1,26 per cento su base mensile, il sedicesimo mese di espansione negli ultimi diciassette. Addirittura, secondo il “Milei Reform Watch” dell’Università Francisco Marroquin, il recupero ha interessato sia il settore formale che quello informale, che avrebbe già recuperato il livello di potere d’acquisto del 2023.
Senza ombra di dubbio, questo è il risultato maggiore che Javier Milei può rivendicare, dopo che il governo precedente aveva lasciato un’inflazione annua a tre cifre che stava erodendo pesantemente il potere d’acquisto dei salari, soprattutto nel vasto settore informale, privo di tutele e con retribuzioni strutturalmente più basse, che ha subito le perdite più forti nel 2023-2024. In sintesi: il costo della disinflazione è stato relativamente contenuto, il recupero del potere d’acquisto è in atto e l’inflazione è tornata sui livelli pre-crisi (che in ogni caso sono elevati).
Attività economica e mercato del lavoro
Gli indicatori Eph (Encuesta Permanente de Hogares) segnalano un tasso di disoccupazione del 7,6 per cento nel secondo trimestre 2025 (da 7,9 per cento nel primo), con tasso di attività del 48 per cento e tasso di occupazione del 44,5 per cento. La crescita dell’occupazione formale ha rallentato nella seconda parte dell’anno, mentre è aumentata l’informalità, che ha contenuto il tasso di disoccupazione sebbene a scapito della qualità del lavoro. La figura 2 mostra l’andamento del prodotto interno lordo (Pil) dal 2005 a oggi.
Povertà e indigenza
Dopo l’impennata del 2024 — quando la povertà aveva raggiunto il 52,9 per cento e l’indigenza il 18,1 per cento (dati Indec, primo semestre 2024) — nel 2025 si registra un miglioramento marcato: la povertà scende al 31,6 per cento nel primo semestre 2025, il livello più basso dal 2018, con l’indigenza stimata attorno al 7–8 per cento. La tendenza è coerente con la disinflazione e con un parziale recupero dei salari reali, ma il quadro sociale resta fragile, esposto a rischi su cambio, prezzi regolati e qualità dell’occupazione, soprattutto nel vasto settore informale.
Crisi valutaria e nodi cambio peso-dollaro
Negli ultimi mesi il cambio è tornato il tallone d’Achille: per frenare la caduta del peso la banca centrale argentina ha bruciato dollari in quantità, arrivando il 19 settembre alla più grande vendita giornaliera in quasi sei anni (678 milioni di dollari) e oltre 1 miliardo in tre sedute, con riserve nette limitate e crescente pressione anche sul mercato informale.
Il cambio è determinante per l’inflazione e, con riserve scarse, l’Argentina è costretta a mantenere tassi di interesse elevati, misura che favorisce la disinflazione ma soffoca il credito e gli investimenti, rallentando la ripresa. In questo contesto, il “salvataggio” di Donald Trump – un accordo di swap da 20 miliardi di dollari con il Tesoro Usa (con ipotesi di ulteriori fondi fino a 40 miliardi di dollari via canali pubblici e privati) e acquisti diretti di pesos da parte di Washington – è stato cruciale per evitare una crisi di liquidità nell’immediato e ha dato un sollievo temporaneo ai mercati. Negli Stati Uniti non sono mancate le critiche politiche sull’accordo, che non è stato ben accolto neanche in Argentina: sondaggi di metà ottobre indicavano che una percentuale tra il 55 e il 60 per cento degli argentini respingeva l’assistenza finanziaria statunitense. Resta però il punto di fondo: senza ricostruire le riserve e rendere il regime di cambio più credibile, ogni ondata di tensione riapre il fronte valutario e frena l’aggiustamento “ordinato” dell’economia. La figura 3 mostra l’andamento del tasso multilaterale reale di cambio.
Prospettive politiche e conseguenze su inflazione e crescita
La vittoria elettorale del 26 ottobre rafforza in modo significativo la posizione di Milei nel Congresso e aumenta la probabilità di approvare il suo pacchetto di riforme. Se questo migliorerà la credibilità del percorso di aggiustamento — ancorando ulteriormente le aspettative — è plausibile che l’inflazione prosegua sul sentiero di discesa graduale. Sul fronte reale, se le riforme produrranno effetti espansivi (più investimenti, maggiore produttività, riapertura del credito), la crescita potrà consolidarsi e confermare le speranze degli argentini. Anche se è possibile che il terzo trimestre di quest’anno segni una battuta d’arresto, dati gli alti tassi d’interesse, e possa far entrare il paese in una recessione tecnica. È comunque essenziale la qualità dell’attuazione e la capacità di costruire maggioranze stabili su singole misure.
Rimane poi aperta la questione se il peso sia oggi sopravvalutato. Per Paul Krugman e altri osservatori, l’intervento statunitense ha effetti perlopiù temporanei, rinviando il momento in cui, esaurite le riserve, l’Argentina dovrà svalutare, con ripercussioni su inflazione e credibilità del piano. Spingendo oltre questa diagnosi, Barry Eichengreen trae la conseguenza operativa immediata: non limitarsi a difendere un assetto semi-rigido, ma consentire una svalutazione ordinata (≈20 per cento) e poi lasciar fluttuare di più il peso, così da rafforzare competitività ed export, attirare capitali e restituire alla banca centrale un mandato anti-inflazione credibile e indipendente. Altri economisti condividono l’idea che, se la maggiore forza politica di Milei nel Congresso sarà percepita come segnale di stabilità e di coerenza fiscale, il passaggio verso un cambio più flessibile potrà avvenire senza scosse, e persino rafforzare la fiducia nei mercati.
Consenso e limiti della “terapia d’urto”
I risultati elettorali suggeriscono che tra gli argentini si stia consolidando un consenso sulla necessità di rompere con spesa in disavanzo e moneta facile e di ricostruire l’economia su basi solide, pur accettando sacrifici nel breve periodo. Ma si tratta di un mandato condizionato: la disponibilità ad accettare costi transitori non è illimitata e dipenderà dalla credibilità dei tempi, dalla percezione di equità degli oneri e dal consolidare i risultati su salari reali e occupazione.
In conclusione, a quasi due anni dall’avvio del piano Milei, l’Argentina ha compiuto passi importanti nel domare l’inflazione e nel ripristinare una certa fiducia nella politica economica. Ma la stabilità vera resta lontana: la ripresa è fragile, la povertà in calo ma ancora elevata e la coesione sociale messa alla prova da politiche dure seppur necessarie.
Un rapporto della Banca Mondiale (ottobre 2024) mette al primo posto tra le cause della povertà in Argentina l’inflazione e gli squilibri fiscali, ma segnala anche che una quota rilevante — e persistente da decenni — ha radici strutturali: bassa istruzione, scarse competenze, bassa produttività e alta informalità, vere e proprie ‘trappole’ per milioni di persone. Un dato emblematico: la quota di poveri non scende sotto il 25 per cento da quaranta anni, riflesso di politiche incapaci di costruire capitale umano e opportunità, un atto d’accusa verso generazioni di classi dirigenti, in primo luogo quelle che a parole dicevano di voler tutelare i meno abbienti. La sfida ora è trasformare l’austerità in crescita e la disciplina in sviluppo duraturo. Il piccolo-grande miracolo di Milei è, per il momento, essere riuscito a far digerire la medicina amara sopravvivendo politicamente.
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Laurea al DES in Bocconi e PhD in Economics alla University of Chicago, Mario Macis e’ Professore di Economia alla Johns Hopkins University, Carey Business School. E’ anche Research Associate al National Bureau of Economic Research (NBER) e all’ Institute of Labor Economics (IZA). Il Prof. Macis è un economista applicato con interessi di ricerca in economia della salute, del lavoro, dello sviluppo, e in market design. Ha pubblicato su importanti riviste accademiche, tra cui American Economic Review, Journal of Labor Economics, Journal of Health Economics, Journal of Development Economics, Management Science e Science. I suoi studi sono stati finanziati da agenzie pubbliche e private, tra cui NSF, NIH e Gates Foundation. Il Prof. Macis e’ stato consulente della Banca Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’, dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, del Development Programme delle Nazioni Unite, e del National Marrow Donor Program degli Stati Uniti. Nel 2020-2022 e’ stato membro di una commissione della National Academies of Sciences, Engineering and Medicine incaricata di formulare raccomandazioni al Congresso degli Stati Uniti per un sistema di approvvigionamento e allocazione degli organi per trapianto più equo ed efficiente.
Riccardo Trezzi ha fondato UnderlyingInflation.com, una società di consulenza macroeconomica. E' stato economista alla Federal Reserve di Washington DC e alla Banca Centrale Europea (BCE) a Francoforte. Insegna un corso di macroeconomia all'Università di Pavia. Ha ottenuto il PhD in Economics dall'Università di Cambridge, in Inghilterra.
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