In Italia il part-time è ancora poco diffuso. I molti interventi susseguitisi negli ultimi anni per favorirne l’adozione hanno ridotto le rigidità normative e contrattuali che lo rendevano costoso per le imprese. Per i lavoratori i rischi restano maggiori dei benefici. Andrebbero invece facilitati i passaggi da full-time a part-time e viceversa, l’utilizzo di congedi parentali e formativi flessibili, l’investimento formativo e la progressione professionale. Così non sarebbe più solo una scelta obbligata per donne costrette a conciliare impegni familiari e di lavoro.

In molti paesi europei il part-time ha giocato un ruolo importante nell’aumento della partecipazione al lavoro e dell’occupazione dei giovani (per conciliare studio e lavoro), degli anziani e dei disabili (per facilitare la permanenza nel lavoro) e, soprattutto, delle donne (per conciliare la maternità e i carichi familiari al rientro sul mercato del lavoro). In Italia, invece, il ricorso al lavoro part-time è ancora poco diffuso: solo del 8,5 per cento degli occupati lavora part-time rispetto al 18,1 per cento della media europea.

Per soddisfare gli ambiziosi obiettivi fissati dalla Strategia europea per l’occupazione (Seo) secondo il processo di Lisbona, e raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione vicino al 70 per cento, l’Italia dovrebbe nei prossimi anni creare più di tre milioni di posti di lavoro (netti) anche attraverso una maggiore diffusione del part-time.
Le politiche di promozione del lavoro part-time assumono quindi un’importanza strategica.

Ridotte le rigidità normative

Solitamente si attribuisce la scarsa presenza di occupati part-time alle rigidità normative e contrattuali. La riforma del mercato del lavoro (legge 30/2003) e le più recenti modifiche introdotte dal Governo (decreto legislativo n. 276/2003) hanno però notevolmente ridotto tali rigidità e modificato le convenienze economiche dell’utilizzo del part-time, soprattutto per le imprese.
Ormai le tipologie previste dalla legge sono molto articolate e consentono sia di far fronte alle varie esigenze produttive sia di coordinare il lavoro di più individui su uno stesso posto di lavoro.
Se è certamente presto per giudicare gli esiti degli interventi più recenti, rimane il fatto che anche le riforme varate in passato non hanno prodotto i risultati attesi.
Poiché i fattori che impediscono al part-time di diventare uno strumento di crescita occupazionale sembrano operare sia dal lato dell’offerta che della domanda di lavoro, è necessario prevedere interventi che tengano conto anche delle esigenze dell’offerta e considerare il part-time come uno strumento di politica attiva del lavoro dai molteplici ruoli.

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Part-time e offerta di lavoro

Per i lavoratori, le convenienze economiche del part-time sono date dalla possibilità di conciliare le esigenze di vita con quelle di lavoro. I costi sono dati dal basso reddito, il minor investimento in formazione sul lavoro, le ridotte possibilità di carriera e, non ultime, le limitate opportunità di mobilità esterna e di lavoro.
Il part-time dovrebbe poter essere una libera scelta di tutti in alcune fasi del ciclo di vita, anche grazie all’aumento del reddito pro-capite (o familiare) che le società mature nei paesi industrializzati hanno conseguito negli ultimi decenni.
Tuttavia, si tratta spesso di una scelta obbligata, soprattutto nel caso delle donne: per la scarsa offerta di servizi di assistenza e di cura e una divisione del lavoro all’interno della famiglia che le vede tuttora dedicarsi principalmente alle attività familiari.

La “scelta” del part-time, inoltre, non è priva di rischi. Avere un lavoro part-time in Italia sembra modificare in modo permanente le condizioni di lavoro: il ritorno al tempo pieno è molto difficile e chi opta per questa formula ha in genere minori opportunità formative e di carriera (interna ed esterna) rispetto a chi lavora a tempo pieno.
La necessità di un reddito da lavoro adeguato, che consenta anche di pagare i costi dell’assistenza, spiega, d’altro canto, la larga incidenza del part-time “involontario” in Italia rispetto ad altri paesi europei, soprattutto tra gli individui e le unità familiari a basso reddito o in cui uno dei componenti sia disoccupato.
Le norme recenti hanno contribuito a ridurre i costi del part-time per le imprese, ma li hanno accresciuti per i lavoratori: la deregolazione nella definizione degli orari rende meno prevedibile l’orario di lavoro e più difficile conciliare le esigenze del tempo di “non lavoro” con quelle del “lavoro”. E se deve rappresentare un’opportunità per chi, dovendo conciliare il lavoro con altre attività e incombenze, non può impegnarsi a tempo pieno, le nuove norme rischiano di rendere più difficile la partecipazione al lavoro e la scelta del part-time.

Part-time e domanda di lavoro

Molti contesti produttivi e di erogazione di servizi possono utilizzare in modo efficiente il lavoro part-time. Forme di incentivazione ad hoc hanno reso meno gravosi gli oneri sul costo relativo del lavoro part-time, rendendolo in alcuni casi più conveniente, anche grazie alla maggiore produttività rispetto al lavoro a tempo pieno. Questa convenienza può però essere ridotta dalle esigenze organizzative e gestionali che il lavoro part-time comporta, soprattutto nella piccola impresa, che rappresenta larga parte del sistema produttivo italiano. Un ulteriore problema può essere dato dalla scarsa informazione sulle opportunità offerte dalle normative vigenti.

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Quali politiche per il part-time?

Negli ultimi decenni sono stati numerosi gli interventi diretti a favorire la diffusione del part-time in Italia, soprattutto riducendone i costi per le imprese. Tuttavia, se tra le cause principali dello scarso successo del part-time in Italia vi è anche la sua ridotta diffusione che genera alcune esternalità negative, che ne limitano ulteriormente la convenienza e le potenzialità di sviluppo, quanto fatto finora potrebbe non essere sufficiente ad attivare quel circolo virtuoso che renda il lavoro part-time una prospettiva occupazionale significativa.

Per aumentare i benefici e ridurre i costi del part-time, per le imprese e per i lavoratori, sarebbe quindi necessario prevedere anche azioni che favoriscano un uso flessibile degli orari di lavoro in relazione alle diverse esigenze che emergono nel corso della vita lavorativa di ciascun individuo. Ad esempio facilitando i passaggi da full-time a part-time e viceversa, favorendo l’utilizzo di congedi parentali e formativi flessibili, facilitando l’investimento formativo e la progressione professionale.
Si potrebbero inoltre considerare interventi a sostegno della creazione di posti di lavoro part-time mirati a fasce specifiche di individui (donne e uomini con carichi famigliari, disabili, anziani, giovani in obbligo formativo) e alle piccole imprese (anche attraverso l’offerta di assistenza all’introduzione del part-time nel contesto organizzativo e l’informazione sulle opportunità normative).
La sfida di un tasso di occupazione comparabile con quello dei principali paesi europei che promuova e favorisca una maggiore inclusione degli individui e del capitale umano nel mercato del lavoro e la creazione di posti di lavoro di qualità, si vince anche così.

 

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