Quale è stato l’impatto dei buoni scuola introdotti in Lombardia nei primi anni di applicazione ? I dati suggeriscono che il numero degli iscritti nelle scuole private sia diminuito nonostante una riduzione del prezzo netto pagato dalle famiglie. Questo significa che per ogni euro speso dalla Amministrazione Regionale, solo 17 centesimi sono finiti alle scuole private, mentre il restante è consistito in una redistribuzione a beneficio delle famiglie.  Più ricche.

La regione Lombardia è stata una delle prime regioni italiane a varare una misura di sostegno al diritto alla studio, consistente in un sussidio parziale alla famiglie utilizzatrici delle scuole private . Ma a vantaggio di chi? Grazie al generoso contributo della Fondazione Cariplo, e alla disponibilità dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia, abbiamo potuto analizzare alcuni dati relativi agli utilizzatori del buono scuola (ftp://ftp.iza.org/dps/dp1475.pdf).

I buoni scuola, come ogni altro sussidio, producono un divario tra il prezzo pagato dall’utilizzatore finale ed il prezzo riscosso dal fornitore. Questo produce un vantaggio sia per gli utilizzatori che per i fornitori: i primi ottengono il servizio desiderato ad un prezzo inferiore,mentre  i secondi incassano un ricavo superiore a quanto ottenibile in assenza del sussidio. A parità di altre condizioni, un buono dovrebbe produrre un aumento delle quantità consumate, in questo caso del numero di iscritti alle scuole private. Questa sembrerebbe essere la principale motivazione che ha spinto il governo regionale a promuovere il buono scuola, nel tentativo di ridurre il deflusso di iscrizioni registrato dalle scuole private alla fine degli anni ’90. Da notare che questa motivazione prescinde totalmente da una valutazione sulla qualità dell’istruzione fornita dalle scuole private.

Compiere una valutazione dell’impatto del sussidio concesso a chi frequenta le scuole private non è semplice, in quanto manca a tutt’oggi una anagrafe completa sia di tali scuole sia dei loro utilizzatori. I dati disponibili presso l’Amministrazione Regionale si riferiscono soltanto a chi ha fatto domanda per il buono scuola e che, così facendo, dichiara anche quanto paga di retta scolastica. A partire dall’informazione sulle rette mediamente pagate nelle scuola private, siamo andati a cercare negli archivi del Ministero dell’Istruzione le informazioni relative al numero di iscritti totali registrati in ciascuna scuola per il periodo di applicazione del buono scuola, ottenendo per questa via i dati relativi al numero di studenti iscritti. Dalla tabella seguente, relativa ai primi due anni di applicazione del buono, si nota come il numero degli iscritti sia diminuito nonostante una riduzione del prezzo netto pagato dalle famiglie ed un aumento degli organici degli insegnanti abilitati nelle scuole private. Questo potrebbe riflettere una riduzione del potere d’acquisto delle famiglie o variazioni di altri fattori che influenzano la domanda di istruzione privata.

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Variazioni percentuali – scuole private secondarie del secondo ciclo –

Lombardia 2002/01-2001/00 – dati riferiti a 214 scuole secondarie

 

iscritti

rette al netto dell’inflazione

rette al netto di inflazione e buono scuola

redditi delle famiglie

insegnanti abilitati nelle scuole private

scuole private secondarie

     

licei confessionali

2.27

0.58

-0.18

-2.15

0.29

licei non confessionali

-4.33

1.58

0.77

-5.33

0.02

istituti tecnici confessionali

-2.03

1.61

-1.53

2.54

-0.02

istituti tecnici non confessionali

-5.17

2.33

-0.18

4.04

0.33

Totale

-1.79

1.41

-0.48

-0.45

0.17

I nostri calcoli indicano che l’offerta di istruzione privata in Lombardia è molto più sensibile alla variazione delle rette di quanto non sia la domanda di istruzione. Questo significa che l’introduzione del buono scuola tende più ad aumentare l’offerta di posti disponibili nelle scuole private che a spingere le famiglie a scegliere di mandare i loro figli nelle stesse. Per questo motivo sono le famiglie che si avvantaggiano maggiormente dell’esistenza del sussidio.

Per essere più precisi, le nostre stime indicano che il 17% del sussidio è stato incamerato delle scuole, mentre il restante 83% è stato incassato dalle famiglie. Questo significa che per ogni euro speso dalla Amministrazione Regionale, solo 17 centesimi si sono tradotti in finanziamento alle scuole private, mentre il restante è consistito in una redistribuzione a beneficio delle famiglie. Poiché queste ultime sono in media più ricche, questa redistribuzione ha avuto natura regressiva. Questo è quanto accaduto nell’immediato: nel lungo periodo le nostre stime suggerirebbero effetti più consistenti, in quanto la riduzione delle rette scolastiche attuata grazie al buono scuola (pari al 25% del prezzo originario) dovrebbe produrre un aumento delle iscrizioni nell’ordine del 10%, contribuendo per questa via alle casse delle scuole private, ma pur sempre in misura contenuta. 

In sintesi, se l’obiettivo principale del buono scuola era quello di sostenere il settore privato nella fornitura di istruzione, lo strumento si è rivelato poco efficace. Nel primo anno di introduzione del buono solo il 38% degli iscritti ha fatto uso di questa misura, mentre tale percentuale è salita al 61% nel secondo anno. Il buono scuola è poco selettivo (ne beneficiano tutte le famiglie al di sotto di massimali di reddito molto elevati) e poco incisivo (l’abbattimento del 25% del costo può essere insufficiente per famiglie a reddito molto basso – fatto questo che ha condotto alla modifica nel secondo anno, con l’introduzione di una aliquota di sussidio pari al 50% per le famiglie a reddito più basso). Si è così compiuta un’operazione redistributiva all’inverso, regalando soldi del contribuente alle famiglie con redditi medio-alti, senza fornire sostegno effettivo alle scuole private. Se non fosse stato per il divieto costituzionale di sostenere l’istruzione privata con soldi pubblici, una politica più efficace (e meno costosa per l’erario) sarebbe stata quella di trasferire questi fondi direttamente alle scuole private. Ma questo avrebbe richiesto di valutarne l’effettiva qualità, in termini di preparazione offerta e di servizi erogati. Su cui è legittimo nutrire molti dubbi anche alla luce dell’indagine Pisa.

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