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Miti e realtà della scuola italiana

E’ tempo di rientro. Milioni di bambini e adolescenti tornano a scuola. Ma qual è la situazione dell’istruzione in Italia? Le statistiche internazionali dipingono un quadro deprimente: i risultati dei nostri studenti sono tra i peggiori in Europa. Eppure in teoria non mancano le risorse perche’ la spesa per studente e’ ai massimi mondiali. Forse il problema di fondo e’ che abbiamo un numero enorme di insegnanti ma non facciamo praticamente nulla per valutarli.

In molti paesi sviluppati, dagli Stati Uniti alla Germania, è in corso un dibattito profondo sul futuro della scuola. In Italia, invece, si parla molto di alcune vicende specifiche, come i buoni per la scuola privata decisi da alcune Regioni, ma manca un dibattito a tutto campo su come vogliamo che l’istruzione evolva nei prossimi decenni. Anche lavoce.info ne ha parlato poco, ad eccezione di alcuni interventi molto interessanti di Solomon Gursky e Daniele Checchi.

I miti da sfatare

In questo intervento vorrei fare un confronto, molto rozzo, tra la scuola italiana e quella di altri paesi sviluppati e non. Cominciamo sfatando alcuni miti:
Tutto sommato, la scuola italiana non è male. Un confronto internazionale tra sistemi scolastici è svolto dal Programme for International Student Assessment dell’Ocse. Invito i lettori de lavoce.info a consultare i rapporti del 2000 e del 2003, disponibili sul sito Pisa. Tali rapporti, basati su test svolti da 4.500/10mila quindicenni per paese, indicano senza ombra di dubbio che gli italiani hanno risultati peggiori dei loro coetanei degli altri paesi dell’Europa occidentale (con la possibile eccezione, ma solo in alcuni casi, della Grecia e del Portogallo). Questo vale per tutte e tre le aree considerate: scienze, lettura e matematica. I nostri risultati sono peggiori anche di quelli di paesi con un Pil pro capite più basso del nostro, come Spagna, Corea del Sud e molti paesi dell’Europa dell’Est. (1)
Il problema è che mancano le risorse. Al contrario, l’Italia è uno dei paesi al mondo con la spesa per studente più alta (vedi Tabella 1). Solo l’Austria, la Svizzera e gli Stati Uniti spendono di più. Spendiamo il 50 per cento in più della Germania, che ci batte sistematicamente in tutte le materie. (2)

Tabella 1

Spesa cumulativa per studente (dai 6 ai 15 anni)

in dollari PPP adjusted

Australia

58 480

Austria

77 255

Belgio

63 571

Canada

59 810

R. Ceca

26 000

Danimarca

72 934

Finlandia

54 373

Francia

62 731

Germania

49 145

Grecia

32 990

Ungheria

25 631

Islanda

65 977

Irlanda

41 845

Italia

75 693

Giappone

60 004

Corea

41 802

Messico

15 312

Olanda

55 416

Norvegia

74 040

Polonia

23 387

Portogallo

48 811

Slovacchia

14 874

Spagna

46 774

Svezia

60 130

Svizzera

79 691

Stati Uniti

79 716

Il problema è la Moratti. Al di là dell’opinione che si può avere sull’operato di Letizia Moratti (la mia è molto negativa), la situazione era più o meno la stessa nel rapporto Pisa 2000.

I fatti

E adesso passiamo ai tre fatti.
In Italia ci sono tanti insegnanti. Secondo dati Ocse 2002, il numero di studenti per insegnante in Italia è ai minimi mondiali. La Tabella 2 riporta i dati per le quattro maggiori nazioni europee. Questo spiega perché in Italia la spesa per studente è così alta.

Tabella 2

 

Germania

Francia

GB

Italia

Primaria

18,9

19,4

19,9

10,6

Secondaria inferiore

15,7

13,7

17,6

9,9

Secondaria superiore

13,7

10,6

12,5

10,3

Manca un meccanismo di valutazione esterna degli studenti. Le commissioni esaminatrici ai vari livelli sono composte unicamente o in maggioranza da membri interni. Questa situazione è stata peggiorata dal ministro attuale, ma esisteva già prima. Nella maggior parte degli altri paesi europei esistono meccanismi di valutazione esterni, che cercano di offrire un giudizio imparziale e standardizzato. (3)
Manca un meccanismo di valutazione esterna degli insegnanti e delle scuole. La valutazione esterna degli studenti non serve solo per valutare gli studenti, ma permette anche di formare un’opinione, seppure imperfetta, sulla qualità dei singoli insegnanti e delle singole scuole. In Italia, ciò è impossibile. L’esperienza di altri paesi – soprattutto della Gran Bretagna e degli Stati Uniti – dimostra che quando ci si rende conto che un sistema scolastico non funziona non esistono soluzioni facili, e soprattutto non esistono soluzioni rapide. I sistemi di valutazione presentano problemi enormi e in alcuni casi possono essere controproducenti. (4)
Altre opzioni, come l’autonomia scolastica, gli incentivi per gli insegnanti o la libertà di scelta della scuola da parte dei genitori, sono controverse. Non esiste consenso su quale sia il sistema ideale. Però non possiamo continuare a nascondere la testa sotto la sabbia. La scuola italiana è in crisi. E non possiamo dire che non ci sono i soldi o che è tutta colpa di questo Governo. I mali della nostra scuola hanno radici profonde. È ora di aprire un dibattito a tutto campo, senza escludere a priori alcuna alternativa.

(1) Il rapporto Pisa mostra come, a parità di scuola, i risultati del singolo studente dipendano dalla situazione socio-economica della sua famiglia. Quindi gli studenti italiani potrebbero andare peggio di quelli tedeschi perché in media le famiglie italiane sono meno ricche ed istruite di quelle tedesche. Però, questo ragionamento non spiega perché gli studenti italiani vadano peggio di tutta una serie di paesi con condizioni socio-economiche meno avanzate. Su lavoce.info Salvatore Modica nell’articolo “L’educazione di Zu’ Vice’” ha messo in evidenza un’importante differenza tra i risultati dei ragazzi del Nord e di quelli del Sud. Sarebbe interessante capire quanta parte di questo divario è dovuta all’eterogeneità delle condizioni socio-economiche piuttosto che a differenze nel sistema scolastico.

(2) Non è neanche vero che gli insegnanti italiani siano necessariamente sottopagati. È vero che alcuni paesi, come la Germania e la Svizzera offrono stipendi nettamente più alti. Però i dati Ocse (2002) mostrano che un insegnante di secondaria superiore italiano di prima nomina guadagna come il suo collega francese o inglese (circa 25mila dollari all’anno).

(3) Anche negli Stati Uniti manca, per tradizione, un sistema nazionale di valutazione. Per un’analisi del costo di introdurre tale sistema si veda Caroline Hoxby, The cost of accountability.

(4) Si veda ad esempio il lavoro di Jacob e Levitt, Catching Cheating Teachers: The Results of an Unusual Experiment in Implementing Theory.

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12 commenti

  1. Daniele De Pieri

    Dice l’autore:
    “Non è neanche vero che gli insegnanti italiani siano necessariamente sottopagati. È vero che alcuni paesi, come la Germania e la Svizzera offrono stipendi nettamente più alti. Però i dati Ocse (2002) mostrano che un insegnante di secondaria superiore italiano di prima nomina guadagna come il suo collega francese o inglese (circa 25mila dollari all’anno)”.

    Sì, ma rimangono quelli anche dopo 10, 20, 30 anni di lavoro. E’ giusto?

  2. antonio gasperi

    1) la spesa per l’istruzione è alta soprattutto perchè ci sono molti insegnanti?
    anche a giudicare dalla tabella, mi pare che in confronto agli altri paesi ci siano troppi maesti ed insegnanti delle medie inferiori, mentre per le superiori siamo nella media. Bisognerebbe capire perchè: avanzo alcune ipotesi
    a) alle elementari (ora si chiamano primarie) la struttura per moduli (3 maestri per 2 classi) ha però mantenuto standard qualitativi buoni anche in rapporto agli altri paesi
    b) alle medie inferiori ci sono più discipline che nell’analogo segmento scolastico degli altri paesi e quindi molti docenti che coprono anche attività pomeridiane
    c) alle medie superiori, nonostante la parcellizzazione disciplinare, i docenti sono nella media europea: tuttavia è in questo segmento scolstico che si registrano le peggiori performance comparate.
    2) a proposito delle brutte figure nell’indagine OCSE-Pisa, pareri autorevoli ritengono che la modalità utilizzata di rilevazione delle competenze abbia finito per sfavorire gli studenti italiani abituati da decenni ad essere preparati sulle conoscenze piuttosto che sulle abilità
    3) a proposito di valutazione interna, l’autore dell’articolo dovrebbe sapere che il livello di preparazione degli studenti è crollato proprio da quando è stato smantellato il sistema di valutazione basato su esami di riparazione (dal 1994) ed esami di maturità con commissione esterna (dal 1998-2001)
    4) quanto a valutazione esterna, pienamente d’accordo sulla necessità di trovare modalità efficaci, ma non guardiamo soltanto ai paesi anglosassoni dove la scuola notoriamente non gode di ottima salute…

  3. Renato Brazioli

    Un commento, forse minore.
    Credo che il paragone vada fatto tenendo conto anche del potere d’acquisto. Il che vuol dire che se un nostro insegnante prende uno stipendio equivalente a quello di un collega inglese, probabilmente (ma non ho dati oggettivi sotto mano), è pagato decisamente di più da noi. E avrei dei dubbi anche per la Francia.

    Forse la mia affermazione è semplicistica, ma credo che una “correzione” in tal senso vada comunque considerata.

  4. rosario nicoletti

    Quando si parla di scuola vengono trascurati fatti importanti. Nei primi anni ’60 la percentuale dei “promossi” (tra giugno ed ottobre) era di circa il 75% nelle scuole (ritenute “migliori”, ad esempio licei classici) e del 60% circa in altre (ad esempio istituti tecnici per geometri). Queste cifre riguardano gli esami finali (maturità o diplomi), e sono rilevabili dai dati ISTAT. Le stesse o analoghe percentuali (sono aboliti gli esami di”riparazione”) sorpassano oggi il 98%, con una lieva tendenza alla diminuzione, per tutti i tipi di scuola. Questo semplice fatto (qualsiasi siano le cause) ha reso FACOLTATIVO lo studio; fatto che non mi sembra irrilevante quando si parla di efficienza della scuola.
    Per quanto concerne il numero degli insegnanti, va citato il fatto che i disabili sono presenti nelle classi normali e dispongono spesso di un “insegnante di sostegno” interamente dedicato.
    L’alto numero degli insegnanti – in relazione a quello di altri paesi – trova così (almeno in parte)giustificazione.

  5. Enrico Parisini

    La valutazione generale data è distante dalla esperienza personale nella quale diversi casi di cattivi studenti in italia si è trasformata in ottimi studenti quando passati alla scuola estera.
    Credo che il problema “scuola” sia generale e molto legato ai cambiamenti imposti dal nostro tempo. Il difetto che trovo più grande nella scuola Italiana è relativo alla organizzazione scolastica che per la sua sclerosi corporativa rende difficile l’opera degli innnovatori e di coloro che tanto dedicano a questo istituto. I docenti devono essere giudicati esternamente come i discenti e ci devono essere delle gladuatorie di merito. Siamo più avanti nel concetto di scuola che abilita alla conoscenza, ma questo vantaggio viene perso per l’ncapacità di lavorare per obiettivi, di lavorare in gruppo, di organizzare il lavoro. Oramai è più importante sapere imparare velocemente le cose che sapere delle cose.

  6. andrea de martini

    Vorrei esprimere sinteticamente, da insegnante, un disagio e una sottolineatura. Il disagio è dovuto alla diffusa e assoluta incapacità da parte dei Media di distinguere nella scuola italiana ciò che va da ciò che non va. E’ un vizio nazionale (vale anche per la Sanità, ad esempio) che costantemente ci porta ad avere della realtà un quadro distorto.
    Si parla di sfascio e di carenze della scuola pubblica ma non si dice mai, per esempio, che il Liceo italiano è ai vertici mondiali per la qualità dell’insegnamento (come attestato dai risultati di Pisa e come messo in rilievo anche dal vostro sito, uno dei pochi che quando tratta un argomento la fa distinguendo). Un auspicio, quindi: parliamo anche delle cose positive.
    La sottolineatura: la scuola è lo specchio della società. Non è possibile immaginare una scuola separata dal contesto in cui, come istituzione, vive e opera. E allora mi sia consentito di dire che le richieste che ci giungono dalla società (leggi: famiglie) e dai suoi legittimi rappresentanti (leggi:politici) sono quantomeno contrastanti: da un lato si chiede per gli studenti una preparazione solida, seria e feconda, che può essere ottenuta solo con l’impegno e la fatica; dall’altro si nega e non si accettano proprio l’impegno e la fatica: la scuola deve sì preparare, ma deve essere facile, non troppo impegnativa e soprattutto deve garantire il successo finale. L’intervento dei legislatori, in questi anni, è andato costantemente in questa direzione (dall’abolizione degli esami di riparazione alla commissione interna degli esami di maturità è stato un crescendo), tanto che studiare, in certi casi, è divenuto un optional.
    Chiudo dicendo che, naturalmente, non è solo questione di selezione e serietà: si dovrebbe e si deve anche parlare d’altro. Ma certo questa incapacità di offrire ai nostri figli una prospettiva in cui la fatica e l’impegno siano una componente fondamentale è una spia importante del modo in cui intendiamo l’educazione e la scuola.

  7. Giovanni Garangi

    MECCANISMI DI VALUTAZIONE ESTERNA CI SONO GIÀ (almeno per alcune materie), e sono del tutto INDIPENDENTI, molto EFFICIENTI e relativamente ECONOMICI. Ad esempio, per la lingua INGLESE e per INFORMATICA (due delle tanto sbandierate “tre i”), basterebbe ABOLIRLE DAL NOVERO DELLE PROVE D’ESAME (tanto, con il 96,5% di promossi, ormai sono solo una anacronistica e costosa sceneggiata) e di imporre al loro posto di presentare come requisito necessario per essere ammessi all’esame di maturità un First Certificate (o un TOEFL) recente almeno B in tre delle quattro competenze (reading/writing/listening/speaking) e un ECDL (European Computer Driving Licence) con pari valutazione.
    Così, se ad esempio si dovesse riscontrare che in una determinata classe di una determinata scuola 1/3 degli studenti dovessero venire bocciati, si inizierebbe a valutare se non potrebbe essere forse il caso di RIMUOVERE PER COMPROVATA INCAPACITÀ GLI INSEGNANTI delle materie i cui studenti hanno avuto una performance così insoddisfacente.
    Qui, però, sorgerebbe ovviamente l’I.F.T.F. — cioè l’Insormontabile Fattore “Tengo Famiglia”…

  8. Preside Salvatore Indelicato

    Le diagnosi circa i mali che affliggono la scuola sono ben note; le terapie per curare i mali trovano irriducibili oppositori palesi ed occulti.
    Per riequilibrare per esempio l’indicatore studenti/docenti basterebbe aumentare contrattualmente il numero delle ore frontali di insegnamento da 18 a 24 per ottenere un significativo riequilibrio. Perché non si fa? Per l’opposizione feroce dei sindacati corporativi della scuola; e allora bisognerebbe ricorrere a modifiche parlamentari (vedi stato giuridico dei docenti); e qui la politica si avvita su se stessa per le spinte corporative interne alle stesse maggioranze governative.
    Per innalzare la qualità della didattica bisognerebbe valutare i docenti e inserire meccanismi premianti di carriera e di stipendio. Anche qui feroce opposizione dei garantisti che preferiscono l’appiattimento salariale pur di non parlare di merito e di carriera. Così ci teniamo in media quel 10% di docenti incapaci per ogni scuola che appannano l’immagine di quel 30% di docenti altamente professionali, che reggono il sistema percependo lo stesso stipendio degli incapaci. E perché? Perché c’è il pericolo di dare maggior potere ai presidi e di aziendalizzare la scuola.
    Il reclutamento del resto avviene per graduatorie anonime e appiattenti senza dare potere all’autonomie delle scuole nello scegliersi (con regole definite) i docenti migliori.
    Tutti plaudono all’autonomia delle scuole salvo poi a impedirne l’esplicitazione!
    L’ultimo contratto approvato in questi giorni non parla di carriera , di merito e di valutazione del lavoro professionale dei docenti. E ci mancherebbe!
    Su questo versante si badi bene ci hanno provato sia Berlinguer sia la Moratti. Non è un problema di sinistra o di destra ma del vogliamo bene tutto italiano. A danno degli utenti.
    Ma perché mai poi gli utenti dovrebbero sopportare ancora questo andazzo?

  9. Maurizio V.

    Ho letto le premesse metodologiche della ricerca PISA e ho anche guardato le domande di matematica (sono un matematico). E’ piuttosto evidente che si e’ fatta una scelta molto mirata nei temi da affrontare: molta statistica, interpretazioni di grafici ecc. Ovviamente si puo’ ritenere che questa sia la matematica che i “cittadini consapevoli” (“bella” espressione socio-pedagogica presnte nel rapporto) dovrebbero conoscere ma di certo non e’ quella su cui e’ centrata la preparazione degli studenti in Italia. Per dirla in altro modo: credo di essere portato per la materia (ho anche un Ph.D. conseguito in una universita’ USA) ma sono certo che a 15 anni, pur essendo uno di quelli ritenuti “bravi” in matematica, avrei avuto problemi a rispondere a molte domande del test PISA. Insomma c’e’ una pregiudiziale secondo me ideologica che non condivido dietro a questo test. Non che la scuola italiana sia esente da gravi problemi, ovviamente, ma questa storia del rapporto PISA non mi aveva mai convinto e ora capisco perche’… Cmq e’ un discorso troppo lungo per essere fatto in questo spazio. Cordiali saluti. Maurizio V.

  10. michele

    Ogni volta che si fa una analisi comparativa ci si imbatte in questa domanda. Pisa – come altri momenti/strumenti di valutazione comparata – è in grado solo di rispondere che, alla fine, qualcuno risulta meglio preparato rispetto agli standard proposti da Pisa stesso. Non mi pare ne interessante nè opportuno, detto questo, che ci si intrattenga più a lungo nella discussione se questi standard siano adeguati (a che, please?) o come li si possa far meglio rispettare.
    Il problema degli standard, dei criteri e degli strumenti e procedure di valutazione delle capacità e competenze e conoscenze degli allievi è una cosa, altra cosa è chiedersi se e come e quanto queste capacità concorrano nella realtà – non nei sogni o nelle illusioni futuribili – a determinare il successo di un modello paese e degli individui che ci vivono.
    Già sugli standard si sono arenati o schiantati molti dei modelli scolastici anglosassoni, figuriamoci che potrebbe accadere in italia se si facesse più attenzione al quesito che ho proposto. Difatti – com’è noto – siamo di fronte a un sistema economico asfittico, a una disoccupazione intellettuale storica e pesante, a una altrettanto pesante sconnessione tra ipotesi (incerte) di bisogni professionali e caratteristiche della forza lavoro.
    Il tutto “condito” da una mobilità sociale che, senza nemmeno tenere in considerazione la scuola, è quella di un tardigrado del paleozoico.
    C’entra la scuola con tutto questo? E’ probabile, ma c’entrano talmente tante altri fattori che discuterne a partire dalla scuola mi sembra ozioso e porta – infatti – a ripetere le stesse analisi, a trarre le medesime conclusioni, a corroborare infine l’immagine di una struttura nella quale, prima che i fenomeni stessi, la loro persistenza nei dibattiti e nella cultura va ben aldilà dell’accettabile.
    Si pensi all’orientamento, oggi talmente affollato di esperti da disorientare. E però si continua…

  11. Corrado Lemme

    La funzione della Scuola, a mio parere, è quella di: a)-tramandare alle nuove generazioni le conoscenze acquisite;
    b)-promuovere, attraverso gli argomenti dei programmi, lo sviluppo delle capacità intellettive dei giovani e, principalmente, oltre che della capacità mnemonica, della capacità di analisi, di logica, di sintesi, di critica e, quindi, di creatività.
    c)-concorrere, insieme alla famiglia ed alla società, all’educazione consapevole dei giovani, cioè all’acquisizione consapevole dei valori positivi con capacità di individuazione, analisi e critica dei “valori” nelle varie branche della vita sociale.
    Questo, sempre a mio parere, è ignorato dalla scuola italiana e gli insegnanti non sono preparati ad assolvere tale compito.
    La scuola e gli insegnanti italiani, nella più benevola delle ipotesi, attuano malamente il solo sviluppo della capacità di mnemonica attraverso il nozionismo, inteso come mezzo e come fine della scuola stessa.
    Gli insegnanti (e gli studenti) italiani sono convinti che conoscere più o meno bene i fatti, le regole, le opinioni (cioè “ciò che dice il libro”) sia il fine della Scuola ignorando, in tal modo, l’essenza del progresso (cammino in avanti), cioè di ciò che ha caratterizzato l’uomo rispetto a tutti gli altri esseri viventi, che, pure, erano e sono dotati di capacità fisiche migliori (l’uomo, per esempio, ha surclassato il leone che, notoriamente, è dotato di maggiori e migliori potenzialità di vita e di affermazione.
    In sintesi, compito della Scuola in uno stato retto da veri Governanti e non da “cialtroni buoni solo a rincorrere aurifere poltrone possibilmente anche tangentifere”, dovrebbe essere la valorizzazione e lo sviluppo di quelle capacità che naturalmente hanno permesso all’Uomo di superare tutti gli altri animali, anche quelli meglio dotati.
    Il discorso sarebbe lungo e rischierebbe di suscitare solo l’ira collettiva dei “somari” convinti che “l’aria fritta” e la “nozioncina” sono la funzione della ……

  12. Corrado Lemme

    E’ vero, ma anche la professionalità dei docenti (si fa per dire) è alquanto bassa! Per esempio
    il collega che si lamenta degli stipendi bassi….scrive qual è con l’apostrofo, cioè come se si trattasse di elisione e non di …troncamento!
    O, forse, parlo arabo?

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