La legge Rognoni-La Torre ha permesso di sottrarre alla criminalità organizzata in via temporanea o definitiva oltre 3,6 miliardi di euro di sequestri e quasi 700 milioni di euro di confische. Molte di queste risorse sono state utilizzate per attività sociali e reimmisse nell’economia legale. Ora si pensa però di rifomare la legge. A destare preoccupazione è in particolare l’affidamento dell’amministrazione dei beni in sequestro o confisca all’Agenzia del Demanio e la possibilità di revisione della decisione definitiva di confisca nel procedimento di prevenzione.

“La legge Rognoni – La Torre, che consente da oltre vent’anni di aggredire le ricchezze accumulate dalle mafie nel nostro paese, è in pericolo”. Così inizia un appello lanciato da “Libera“: vuole mettere in guardia dagli effetti che la proposta di riforma del Governo potrebbe avere nella lotta alla criminalità organizzata. (1)

Risorse confiscate e reimpiegate

Le modifiche proposte dal Governo, se approvate, stravolgerebbero i principi che fin qui sono stati alla base dell’attività di contrasto alla criminalità organizzata e renderebbero vano il lavoro intenso e i sacrifici di magistratura e forze di polizia. Inoltre, distruggerebbero l’impegno di tutte quelle associazioni, cooperative giovanili, onlus e altri enti che hanno trasformato in lavoro, nuova occupazione, attività di recupero e, soprattutto, in nuova economia sana, l’accumulo illecito di patrimoni.
Come si può vedere dalla tabella 1, l’ammontare complessivo dei patrimoni sottratti (in via temporanea o definitiva) alla criminalità organizzata è di oltre 3,6 miliardi di euro di sequestri e quasi 700 milioni di euro di confische. Mentre i primi vengono amministrati in attesa di giudizio, i secondi sono destinati ad attività sociali e alla reimmissione nell’economia legale.

Tabella 1

Valori del sequestri e delle confische dal 1992 a giugno 2005 (in milioni di euro correnti non rivalutati, con arrotondamenti)

ORGANIZZAZIONI

Sequestri

Confische

cosa nostra

869

109

Camorra

2,138

425

Ndrangheta

154

31

crim.org. pugliese

127

55

Altre

316

80

Totale

3,608

698

Fonte: Rielaborazione su dati Dia.

Per dare una idea del rilievo che queste cifre assumono nelle Regioni in cui la criminalità organizzata è pervasiva, riportiamo nel grafico 1 l’ammontare dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali rispetto al Pil regionale. La dimensione dei patrimoni di “cosa nostra” in Sicilia e della camorra in Campania arriva negli ultimi anni fino allo 0,3 per cento del Pil regionale.

Inoltre, come si può vedere dal grafico 2, il rapporto fra patrimoni confiscati (e quindi certamente usciti in via definitiva dal circuito criminale) e investimenti nelle Regioni interessate non è trascurabile: ha raggiunto punte dell’1 per cento in Campania, e, con il crescere delle confische, nel 2004 si è collocato intorno allo 0,2-0,3 per cento nelle zone dove agiscono camorra e cosa nostra. . È chiaro quindi, che con il sequestro e la confisca, le organizzazioni criminali vengono private delle “risorse” necessarie a consolidarsi o espandersi. Ma dall’altro lato, l’economia legale e “socialmente utile” viene sostenuta e rafforzata. Il doppio effetto sostiene così dall’interno le economie di Regioni mediamente povere, proprio in anni in cui i trasferimenti dalle aree più ricche del paese sono andati riducendosi e gli investimenti sono stati stagnanti.

Grafico 1

Sequestri e confische per organizzazione criminale sul Pil delle Regioni di prevalente appartenenza dal 1998 al 2004 (in percentuale)

Fonte: Elaborazione su dati Istat, Svimez, Dia.

Grafico 2

Rapporto fra confische per organizzazione criminale e investimenti fissi lordi nelle regioni di prevalente appartenenza dal 1998 al 2004 (in percentuale)
Fonte: Elaborazione su dati Istat, Svimez, Dia.

Le modifiche proposte

La proposta del Governo contiene due modifiche di fondamentale importanza.
La prima riguarda i principi e i criteri direttivi in materia di custodia e gestione dei beni sequestrati o confiscati alle organizzazioni criminali, come previsto dalle lettere a) e b) dell’articolo 2 del disegno di legge di riforma. (2)
La seconda modifica riguarda la “revisione” della confisca, come precisato dalla lettera m) dell’articolo 3. (3)
Sul primo punto, l’aspetto che desta maggiori perplessità riguarda l’affidamento dell’amministrazione dei beni in sequestro o confisca all’Agenzia del Demanio. Con l’attuale legge, la custodia e la gestione è affidata ad amministratori giudiziari a cura dello stesso Tribunale che ha decretato il sequestro. Spesso i beni sequestrati riguardano complessi aziendali di grandi dimensioni per la cui amministrazione occorrono competenze e conoscenze specifiche e gli amministratori provvedono ad amministrare i beni con la cultura specifica del tecnico della gestione. L’amministratore giudiziario, benché autonomo nell’espletamento della propria attività, agisce sotto il diretto controllo del giudice delegato al quale rende conto sia mediante le frequenti periodiche relazioni sullo stato e sull’evoluzione dell’amministrazione, sia mediante un continuo rapporto dialettico verbale. Ciò anche perché l’attività dell’amministratore giudiziario è limitata agli atti ordinari. Gli atti straordinari sono infatti rigorosamente sottoposti a provvedimenti autorizzativi del giudice delegato. La stretta connessione fra le due figure nel procedimento di prevenzione fornisce a entrambe la necessaria simmetria di conoscenza delle problematiche aziendali o comunque pertinenti ai beni sequestrati. Peraltro, poiché l’applicazione della misura patrimoniale non è inquadrabile né fra le norme del diritto processuale penale né fra quelle del diritto processuale civile ed è regolata solamente da leggi speciali, la conoscenza dei fatti di gestione riferiti dall’amministratore giudiziario, appare di fondamentale importanza anche per la decisione di merito concernente la misura dell’eventuale confisca.
Il sistema di amministrazione “modificato” nella proposta del Governo è l’esatto contrario della semplificazione delle procedure. Non v’è dubbio che un’amministrazione verticistica condotta da pubblici dipendenti burocratizzi inevitabilmente i sistemi di gestione dei beni – in particolare per quanto attiene alle aziende in sequestro – procurando così nocumento all’integrità delle stesse, ai portatori di interessi e all’economia in senso lato.
Inoltre, si deve considerare l’attuale inefficienza delle Agenzie del Demanio: per carenza di organici, per la complessità della materia, per la non competenza specifica dello staff, non hanno potuto o saputo affrontare fino ad ora le emergenze inerenti la gestione dei beni in confisca. Non è difficile immaginare cosa accadrebbe nel caso in cui le Agenzie dovessero occuparsi anche della gestione dei beni in sequestro.
Il secondo aspetto di preoccupazione riguarda la possibilità di revisione della decisione definitiva di confisca nel procedimento di prevenzione su richiesta di chiunque sia titolare di un interesse giuridicamente riconosciuto. (4) Oggi non previsto, il procedimento di revisione è sottoposto ai tre gradi di giudizio come un normalissimo processo penale: dunque la definitività, in presenza di ricorso in Corte di Appello e alla Suprema Corte avverso al decreto di primo grado emanato dal Tribunale, si acquisirà solamente a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione.
Nella proposta di modifica, non può non preoccupare la precarietà del concetto di definitività della decisione: se non viene previsto alcun limite temporale per l’attivazione della procedura di revisione, una decisione non potrà mai considerarsi definitiva, soprattutto se la procedura potrà essere avviata da chiunque sia titolare di un interesse giuridicamente riconosciuto, cioè da chiunque abbia avuto parte nel procedimento di prevenzione nei tre gradi di giudizio e, probabilmente, anche da nuovi soggetti.
Fra i principi posti come condizione per l’attivazione del procedimento di revisione è contemplato quello secondo cui i fatti posti a fondamento del provvedimento (di confisca) non possano conciliarsi con quelli stabiliti in una sentenza penale revocabile. L’introduzione di questo principio stravolgerebbe sostanzialmente tutta l’architettura giuridica che finora ha sorretto il procedimento di prevenzione, il quale non si fonda su ipotesi di reato, bensì sulla presenza di sufficienti indizi per i quali si ha motivo di ritenere che beni o compendi aziendali siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego; e per la dimostrazione della legittima provenienza di detti beni è prevista perfino l’inversione dell’onere della prova.
Appare spontaneo porsi una domanda: poiché i boss criminali privilegiano il salvataggio dei loro patrimoni accumulati illecitamente rispetto alle condanne penali – in quanto il patrimonio conferisce loro potere economico e maggiore possibilità di infiltrazione nell’economia sana – a chi potrà giovare la tanto sostenuta riforma se non a essi medesimi?
L’effetto di tale riforma sarebbe inevitabilmente quello di favorire le cosche appartenenti alla criminalità organizzata. Vogliono davvero il Governo e il Parlamento italiani essere considerati dall’opinione pubblica nazionale e internazionale come istituzioni criminogene?

* Elio Collovà è amministratore giudiziario e consulente della Procura di Palermo.

(1) Libera è un’associazione che promuove il coordinamento della società civile contro le mafie, www.libera.it. La riforma proposta dal Governo è contenuta nel disegno di legge 5362 in materia di gestione e destinazione delle attività e dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali.
(2) Così recitano: “a) la custodia, l’amministrazione, la gestione, la destinazione dei beni sequestrati o confiscati alle organizzazioni criminali sono affidate all’Agenzia del Demanio che, per il perseguimento dei suoi obiettivi, si avvale di una struttura appositamente dedicata, articolata a livello centrale e periferico;b) l’azione dell’Agenzia del Demanio si conforma a criteri di efficienza, economicità ed efficacia ed al perseguimento delle finalità pubbliche; la gestione delle attività e dei beni è ispirata a criteri di imprenditorialità e tende, ove possibile, all’incremento della loro redditività. […]”
(3) Eccone il testo: “m) previsione della procedura di revisione della decisione definitiva della confisca nel procedimento di prevenzione, ad istanza di chiunque sia titolare di un interesse giuridicamente riconosciuto, secondo i seguenti principi: 1. ammissibilità in ogni tempo della revisione del provvedimento definitivo di confisca […]”.
(4) È importante notare che il procedimento di prevenzione si svolge in maniera diversa dal processo penale. Nel processo penale, sarà il pubblico ministero a dover dimostrare le proprie accuse producendo le prove in corso di dibattimento. Il processo di prevenzione che, non è sottoposto alle norme del codice di procedura penale bensì a leggi speciali (L. 575/65 e successive modificazioni ed integrazioni), prevede che debba essere il “proposto” ( per l’applicazione della misura patrimoniale) a dare dimostrazione della liceità dell’accumulo dei patrimoni in sequestro. Ciò perché il procedimento di prevenzione si fonda su indizi inerenti la sproporzione fra i patrimoni accumulati e l’effettiva potenzialità reddituale del “proposto”.

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