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IL POSTO PUBBLICO? SI EREDITA

A parità di istruzione, genere, età, stato civile, area geografica e altri parametri, la probabilità di entrare nella pubblica amministrazione aumenta del 44 per cento per gli individui il cui padre lavora nel settore pubblico. Ma il nepotismo non è solo fonte di iniquità, ha anche costi rilevanti per le organizzazioni pubbliche, costrette a impiegare lavoratori meno competenti. E’ essenziale un meccanismo che premi o penalizzi economicamente i responsabili delle selezioni sulla base della qualità delle scelte effettuate.

 

I posti di lavoro nel settore pubblico sono particolarmente ambiti in Italia sia per un significativo premio salariale che pagano rispetto ai lavori nel settore privato, a parità di caratteristiche individuali, sia per la sicurezza dell’occupazione e le migliori condizioni di lavoro che garantiscono.

DI PADRE IN FIGLIO

Sulla base di tali considerazioni, è ragionevole pensare che molti pubblici dipendenti provino a usare la loro posizione, le informazioni privilegiate di cui dispongono e il network di relazioni sociali formate sul posto di lavoro per favorire – al di là dei loro meriti, attraverso raccomandazioni o richieste di favori – l’accesso al settore pubblico dei propri figli.
Suscitano periodicamente scalpore i casi di docenti universitari che favoriscono i propri figli nell’accesso alla carriera accademica, i politici che assicurano lauti incarichi ai familiari o le assunzioni clientelari alla Rai. (1) Ma probabilmente il fenomeno è più esteso di quanto si riesca a percepire e riguarda numerosi comparti della pubblica amministrazione.
In un recente lavoro, utilizzando dati individuali tratti dall’Indagine sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia dal 1998 al 2004, cerchiamo di stimare la probabilità di ottenere un posto di lavoro pubblico, tenendo conto di una serie di caratteristiche individuali e delle condizioni dei mercati del lavoro locali, allo scopo di verificare se i figli dei dipendenti pubblici godono di un vantaggio nell’ottenere un’occupazione pubblica rispetto agli individui il cui padre non è dipendente pubblico. (2)
I risultati mostrano che la probabilità di entrare nella pubblica amministrazione aumenta di un considerevole 44 per cento per gli individui il cui padre lavora nel settore pubblico, a parità di istruzione, genere, età, stato civile, area geografica e così via. Nel campione considerato la probabilità di lavorare nel settore pubblico è di circa il 24 per cento. Se il padre è dipendente pubblico tale probabilità sale al 35 per cento, ceteris paribus. E aumenta ancora se anche la madre lavora nel settore pubblico, anche se l’effetto è meno forte.
In generale, la probabilità di lavorare nel settore pubblico dipende fortemente dagli anni di istruzione, sia per il tipo di lavoro svolto, sia perché un alto livello di istruzione consente di primeggiare nei concorsi pubblici. Il legame positivo emerge in tutte le aree geografiche, anche se con intensità diversa: per ogni anno aggiuntivo di istruzione la probabilità di diventare dipendente pubblico aumenta di 2,7 punti percentuali al Nord, di 3,2 al Centro e di 4,4 al Sud.
Il vantaggio goduto in qualità di figlio di dipendente pubblico corrisponde a circa tre anni di istruzione: così, per esempio, un diplomato il cui padre lavora nel settore pubblico ha le stesse chances di ottenere un posto pubblico di un giovane in possesso della laurea triennale, ma il cui padre lavora nel settore privato.

LA RESPONSABILITÀ DEI DIRIGENTI

Ovviamente, la maggiore probabilità di accesso goduta dai figli dei dipendenti pubblici potrebbe dipendere da preferenze o attitudini verso il tipo di lavoro comuni a padri e figli, dalla trasmissione di capitale umano di padre in figlio piuttosto che da pratiche nepotistiche e favoritismi. Una parte della correlazione tra tipo di professione dei padri e dei figli è sicuramente da imputare a questi fattori. Tuttavia, una serie di altri risultati empirici rafforzano l’ipotesi che una parte consistente della maggiore probabilità di ottenere un posto pubblico per i figli dei dipendenti pubblici sia legato al nepotismo.
Innanzitutto, mentre l’influenza del padre dipendente pubblico risulta piccola per i soggetti che si diplomano o si laureano con i migliori voti, il vantaggio risulta molto elevato per gli individui che ottengono voti bassi, cosicché il figlio di un dipendente pubblico non ha conseguenze negative da esiti scolastici mediocri mentre gli altri subiscono un notevole decremento della probabilità di accesso alla pubblica amministrazione. La probabile spiegazione è che i genitori dei figli meno bravi si prodigano di più per favorire la loro assunzione nella Pa, dal momento che le loro opportunità alternative nel settore privato sarebbero relativamente meno buone.

In secondo luogo, la probabilità di accesso alla Pa varia poco a seconda del settore di lavoro dei genitori per i soggetti che lavorano in un posto diverso dal luogo di nascita; “l’effetto padre” è invece più forte per coloro che non si spostano. Tale evidenza indica presumibilmente che “raccomandazioni” e “favoritismi” hanno efficacia solo all’interno del network sociale di appartenenza. Ancora, “l’effetto padre” è molto più accentuato nelle regioni del Mezzogiorno, affette da un maggiore grado di “familismo amorale”.
Infine, la probabilità di trasmissione del posto di lavoro da padre in figlio riscontrata nel settore pubblico è stata confrontata con la probabilità di trasmissione del posto di lavoro per gli imprenditori, liberi professionisti e altri lavoratori autonomi. Per tali categorie, è plausibile pensare che avvenga trasmissione di capitale fisico, capitale umano e “reputazione familiare” che favoriscono il passaggio di professione all’interno della famiglia. Nonostante ciò, la probabilità di trasmissione per i dipendenti pubblici risulta addirittura più elevata di imprenditori e lavoratori autonomi.
Il nepotismo rappresenta un fallimento della meritocrazia: oltre a essere fonte di iniquità, produce rilevanti costi per le organizzazioni pubbliche, costrette a impiegare lavoratori meno competenti ma “connessi”, e disincentiva i migliori a investire risorse per l’accesso a tali occupazioni.
Una delle principali cause di questo fenomeno va rintracciata negli schemi retributivi adottati nel pubblico impiego, in particolare nel fatto che generalmente i dirigenti o responsabili non sopportano economicamente le conseguenze delle scelte effettuate nelle selezioni pubbliche: se si assume il figlio incompetente del proprio collega si ottengono favori/tangenti/riconoscenza/lealtà da parte di quest’ultimo, ma praticamente nessuna penalizzazione in termini di minore remunerazione, nonostante l’organizzazione registri performance peggiori come conseguenza delle cattive selezioni. D’altra parte, la scarsa presenza di meccanismi retributivi incentivanti non penalizza nemmeno il “raccomandato” anche se svolgerà male il suo lavoro.
La riforma della pubblica amministrazione verso una più diffusa adozione di remunerazioni legate alla performance potrebbe contribuire al miglioramento della selezione della forza lavoro, ma è essenziale un meccanismo che premi o penalizzi economicamente i responsabili delle selezioni in relazione alla qualità delle scelte effettuate.

(1) Si veda in proposito il libro diRoberto Perotti, L’università truccata, Einaudi, 2008 e l’articolo di Gian Antonio Stella, “E la Regione riassume i parenti dei politici”, Corriere della Sera, del 9-4-2009.
(2)Vincenzo Scoppa, “Intergenerational Transfers of Public Sector Jobs: A Shred of Evidence on Nepotism”, Public Choice, 2009, in corso di pubblicazione.

Foto: dal film "La Famiglia" di Ettore Scola, 1986.

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23 commenti

  1. lolle

    I dirigenti e responsabili della PA dovrebbero essere retribuiti solo al raggiungimento degli obiettivi. Questo li spingerebbe a far sempre meglio, invece, viene pagata profumatamente anche l’inefficienza e così, la macchina della PA non funzionerà mai!

  2. M.

    Mettere tutto il pubblico in un’unica categoria mi sembra un po’ una forzatura. Davvero un padre geometra del catasto può favorire la carriera come professore di greco? Qual è la probabilità che un soggetto con un genitore nel provato lavori nel privato?

  3. filippo

    Invece per il privato è tutto diverso! Nomi sempre nuovi invadono il mercato dell’industria italiana. Mi chiedo se la Marcegaglia è presidente degli industriali perchè è brava? E la Guidi? Pure lei è una brava imprenditrice che si è fatta da sola!

  4. Giulio

    Che, soprattutto nelle piccole amministrazioni comunali, vi sia quasi una successione dinastica, è sotto gli occhi di tutti. Ovviamente nessun appartenente alla privilegiata categoria degli "statali" lo ammetterebbe mai, troppo occupato a difendere i propri privilegi (uno tra i tanti: la pratica impossibilità, a differenza degli altri comuni mortali, a essere licenziato). Sembrerebbe tuttavia che il fenomeno coinvolga anche PA non locali, come ad es. le università che, sempre stranamente, ospitano diverse generazioni di professori provenienti dalla medesima famiglia, con il pretesto che l’interesse per la docenza si sia trasmesso di padre in figlio. In realtà a essersi trasmesso di padre in figlio è piuttosto l’interesse per un posto di lavoro praticamente "inattaccabile" (e ottimamente retribuito).

  5. DVD

    L’italiano in genere si stupisce quando dall’estero ci vengono mosse accuse feroci, e ora con il parlamento europeo anche "bacchettate" tremende. Ma di cosa ci dobbiamo stupire, mi chiedo io! Quanto ancora occorre perchè ci rendiamo conto che se la corruzione nella P.a. è così alta come dice la Corte dei Conti e se parimenti l’evasione è così alta come dice sempre la Corte (si badi bene, due fenomi apparentemente slegati tra loro ma per me indissolubilmente legati invece), ciò è dovuto in gran parte al fatto che la P.a. (organizzazione importantissima per ogni paese moderno) è vista, anche politicamente, come "parcheggio permanente" per gente che altrimenti non avrebbe alcuna possibilità o poche di lavoro, e non come invece dovrebbe essere, ossia risorsa e simbolo di moralità del paese, così capace di richiamare a se il meglio del paese. Se però sono loro stessi (P.a.) al loro interno che, provenendo per lo più da tre o quattro regioni, si autoregolano e autoreferenziano, dove volete che andiamo? Rimaniamo allora sull’attuale scontro ideologico tra giustizialisti (il più delle volte falsi e ipocriti) e i c.d. garantisti (non ho mai capito del tutto cosa voglia dire). Mah!

  6. Fabrizio Francescone

    Ritengo che l’analisi esposta parta dal presupposto di voler dimostrare qualcosa e poi cerchi le motivazioni da qualche parte. Mi sembra un’analisi piuttosto superficiale. Non fa grosse distinzioni nell’ambito della P.A. mettendo quindi sullo stesso piano Ministeri, Agenzie Fiscali, Enti Pubblici Economici e – soprattutto – Enti Locali. Ricordo che al di là di qualunque insinuazione ancora oggi – come da costituzione – il lavoro pubblico si ottiene tramite concorso, diversamente dalle professioni – dove c’è il maggior grado di nepotismo a scanso della professionaità e delle meritocrazia – delle banche e delle aziende private.

  7. Vince

    Interessante analisi, ma fuorviante. Il posto pubblico, in realtà, si compra. E’ la capacità di comprare che spiega l’occupazione pubblica, non la presenza di parenti lavoratori nella PA. Ovvio è che un dipendente pubblico possiede una ‘capacità acquisitiva’ maggiore di un privato, fatta di scambi di favori, corruzione, ecc… La stessa capacità la possono avere le associazioni come la massoneria, sette pseudoreligiose, e via dicendo, che si avvalgono di reti, spesso non parentali, nella PA. Ma è questa capacità di comprare che spiega davvero il fenomeno. Ciò vale d’appertutto, compreso ciò che passa attraverso le Università ("tu mi fai/non mi fai entrare questo, e io ti do quest’altro") o scuole di specializzazione in settori pubblici. In Italia chi seleziona nella PA non possiede lo spirito di servizio nei confronti del paese, ma si sente in mano un potere da cui ricavarne un personale vantaggio o altrui (a volte proprio per pagare un debito contratto in precedenza).

  8. rosario nicoletti

    Io credo che sia più corretto dire che in Italia qualsiasi lavoro si eredita. Un 44% di probabilità in più mi sembra veramente poca cosa. Alla RAI moltissimi nomi di giornalisti ricorrono continuamente. Nelle banche vale la stessa regola: viene talvolta "concordato" il pensionamento con l’assunzione. Per non parlare delle professioni, dove "lo studio" viene sistematicamente ereditato. Persino nella politica vale l’ereditarietà. Non credo che nel resto del mondo avvenga la stessa cosa.

  9. Francesco

    Due considerazioni: secondo me, le stesse considerazioni valgono per l’industria privata, purtroppo. Il nepotismo, familismo etc…vigono anche lì, anzi forse ancor più diffusamente. Sopratutto nella famosa "piccola e media impresa". Poi, non solo la dirigenza non paga le conseguenze delle scelte, ma pagherebbe se non assumesse i raccomandati. Tutto il contrario di quel che dovrebbe accadere.

  10. Marco Bocola

    Anche ammettendo le zoppicanti ipotesi di fondo dell’analisi (quali sarebbero i "costi rilevanti" causati dal personale con voto di laurea più basso?), mi sembra comunque umano e lecito, anche per un comune impiegato, cercare di trasmettere qualcosa ai propri figli. Certo, l’ideale sarebbe trasmettere una "professione", anziché un "posto". Perché quindi non concetrarsi sul contenuto del lavoro degli impiegati pubblici, anziché farsi abbagliare dalla retorica sulla meritocrazia?

  11. AMSICORA

    Fabrizio Francescone sostiene che "il lavoro pubblico si ottiene tramite concorso" ("Facce ride!", come suol dirsi a Roma) Evidentemente ignora che una buona parte dei dipendenti pubblici, in spregio all’articolo 97 della Costituzione (brandita come corpo contundente da scagliare contro i nemici politici, e, per questo, sempre meno letta e studiata) ha ottenuto il "posto a vita" non con un concorso vero (ossia con vincitori non predeterminati!) ma con sanatorie che hanno stabilizzato via via i precari (assunti senza concorso vero, poiché, per l’appunto, temporanei) Inoltre c’è una fondamentale differenza tra il nepotismo nel settore privato e quello nel settore pubblico: il primo lo pagano i diretti interessati (e nulla quaestio) mentre il secondo siamo costretti a pagarlo noi contribuenti (e sono affari nostri, per dirla con un eufemismo).

  12. Francesco

    "Retorica sulla meritocrazia"? Ecco un esempio di come in Italia si buttano le cose in caciara per far rimanere tutto come prima. Lo so che qualcuno si stufa di sentir ripetere le stesse cose giuste, le stesse verità, ma finché la situazione non cambia, è giusto ripeterle. In Italia nessuno viene a lavorare, a parte raccoglitori di pomodori, colf, badanti, manodopera a basso costo, ladri e delinquenti vari. Chi cerca un’opportunità a livello un pò più alto non viene da noi, ma rimane dov’è oppure va in qualunque altro Paese europeo o americano (e forse pure asiatico). Ed il motivo principale è proprio l’assenza di meritocrazia, il familismo amorale che ammorbano l’Italia. Sarà retorica, ma è la descrizione di una realtà.

  13. Giorgo Penna

    Non credo debbano essere solo i dipendenti pubblici, quelli veri che hanno vinto un concorso pubblico, a dover essere criticati. In primis, i dirigenti a mio avviso sono troppo pagati per quella che è la loro attività, per il modo in cui vengono assunti/nominati e per il modo assolutamente arbitrario con il quale gestiscono il personale. Inoltre, anche i vertici delle singole amministrazioni non sono immuni da critiche. Ad esempio, una importante regione italiana nel corso degli ultimi 5 anni ha assunto circa 1.500 persone attraverso una società in house a totale partecipazione regionale. Il Presidente di questa società, mangia soldi, è un membro dell’esecutivo di un partito moralizzatore e populista. Gente che non ha mai presentato un curriculum o fatto un colloquio nella propria vita, sarà sicuramente stabilizzata nel futuro. Credo che la situazione appena descritta possa essere ripetuta per tutte le regioni e le amminitrazioni statali. Purtroppo però queste notizie non vengono portate a conoscenza dei cittadini, di conseguenza il dipendente pubblico rimane sempre un facile bersaglio.

  14. alessandro

    Il problema delle assunzioni nella PA è legato al conflitto d’interessi di chi decide quale persona assumere. Procedere secondo meritocrazia ed equità significa basarsi su un metodo volto a individuare la persona che meglio risponde ai requisiti ideali richiesti che sono predefiniti e che orientano il decisore verso l’identificazione della persona "oggettivamente" più adatta. Ma tutti sappiamo che il potere dipende dalla capacità di scegliere secondo le proprie visioni e i propri interessi e non secondo oggettività. Pertanto, siccome più equità significa meno potere per il decisore, questo non ha nessun incentivo (se non morale) a fare scelte meritocratiche. Cercare un decisore indipendente è una contraddizione in termini poichè dove c’è una decisione c’è l’incentivo ad esercitare un potere soggettivo (crediamo veramente che ai concorsi universitari i commissari siano indipendenti perchè appartenenti ad università diverse da quella che bandisce il concorso?!). Credo proprio che l’unica strada, per quanto difficile, sia quella di ingegnarsi a trovare il modo di agganciare la performance di chi è assunto a quella di chi formalmente lo assume.

  15. mauro

    Forse vado controcorrente, ma è la mia personale esperienza. I concorsi pubblici si possono vincere per merito anche a scapito dei figli dei dipendenti pubblici. Dopo la laurea ho intrapreso la strada dei concorsi pubblici, senza disdegnare anche quelli per semplici diplomati e alla fine ecco i risultati: ho cambiato tre amministrazioni pubbliche (ministero, ente locale e organo costituzionale) e negli anni ho dovuto rifiutare diverse opportunità di lavoro (corte dei conti, insegnamento) perché reputate di minor valore rispetto a quelle che in quel momento svolgevo. Per l’esperienza accumulata ritengo che per superare un concorso pubblico occorra in ordine di importanza: non credere ai luoghi comuni (tipo lo vincono solo i raccomandati), studiare, organizzarsi (sapere ad esempio da chi è composta la commissione e non per trovare la raccomandazione ma semplicemente capire le materie in cui sono ferrati i commissari), effettuare un feedback di ogni concorso e capire dove si è sbagliato e apportare le dovute correzioni e non mi dilungo ulteriormente. Mi preme solo dire che se le cose sono affrontate con serietà, scrupolo e tenacia non c’è nepotismo che tenga. Il sistema si può cambiare.

  16. marcello battini

    C’è una teoria economica tradizionale (J.S.Mills) che, a proposito dell’homo economicus, parla di ofelimità (piacere). Anche la Costituzione USA afferma il diritto di ogni cittadino a perseguire il raggiungimento della felicità personale. Domando: " Coloro che si procurano un lavoro, tramite l’aiuto familiare (per lo più, in aree professionali delimitate, a causa del limitato potere reale del genitore) realizzano il loro progetto di vita, oppure s’adattano a quello che il destino gli offre? Nel primo caso saranno felici e produttivi (utili agli altri). Nella seconda ipotesi saranno infelici, inadatti e dannosi agli altri. Più numerosi sono i primi, più la società sarà piacevole. Avverrà il contrario se saranno più numerosi gli scontenti. In definitiva, è sempre una questione di libertà di scegliere e realizzare il proprio progetto di vita.

  17. Mauro Ranelli

    Il nepotismo in Italia è la regola. Non ammette distinzioni, nel pubblico come nel privato. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Ma, rimanendo al settore pubblico, l’accesso al lavoro per il tramite dei concorsi, è divenuto un vero e proprio optional. Da tempo, ormai, le selezioni sono aggirate da chiamate dirette, spesso senza alcuna diffusa informazione tale da garantire almeno una partecipazione allargata dei pretendenti al famigerato posto fisso. E se tale "innovazione" allo stesso dettato costituzionale (per l’accesso al pubblico impiego è obbligatorio il concorso pubblico) è stato fortemente voluto dagli attori politici, merita di essere stigmatizzata la normalizzazione dei dirigenti pubblici che hanno messo da parte le proprie responsabilità di garanti del buon andamento della P.A. per abdicare al mero mantenimento del proprio ruolo. E’ questo il vero costo per la collettività: aumento degli addetti senza filtro nell’accesso e implementazione di dirigenti svuotati di responsabilità.

  18. Stefano Zapperi

    Un vecchio testo degli anni 50 raccontava come usare le statistiche per dimostrare qualsiasi assurdità, come ad esempio il fatto che il corporativismo nepotistico italiano valga per più per i dipendenti pubblici che per i professionisti. In questo articolo si mostra che in un dato campione i dipendenti pubblici sono il 24%. In un campione in cui si considerano invece i figli di dipendenti pubblici, la percentuale sale al 35%. Scritto così il dato sarebbe poco eclatante, ma se si scrive che la probabilità aumenta del 44 per cento, usando quindi la probabilità relativa si ottiene tutt’altro effetto. Contrariamente a quanto suggerito dall’articolo, la statistica in questione non ci dice che la probabilità di entrare nella pubblica amministrazione, e cioé la probabilità di vincere un concorso pubblico, sia più alta per i figli di dipendenti pubblici. Ci dice solo che c’è una correlazione tra il lavoro del padre e quello del figlio. I dati sull’analoga correlazione nel settore privato non sono riportati in dettaglio. La differenza è veramente significativa? Difficile crederlo. Se si vuole combattere il nepotismo bisognerebbe farlo con argomenti più seri.

  19. robertobis

    Da quando è che esiste sta cosa? Già nel fascismo funzionava così praticamente per legge e comunque in un paese dove il mercato è inquinato da quattro regioni in mano alla criminalità non è che si può pretendere che le famiglie non tentino di difendersi come possono…

  20. Giuseppe P.

    Ma di che ci stupiamo? E’ la società italiana ad essere bloccata! Così come il figlio dell’avvocato molto probabilmente farà l’avvocato, il figlio del meccanico farà il meccanico, il figlio del commerciante farà il commerciante, così nel settore pubblico: il figlio del medico farà il medico, il figlio dell’ambasciatore farà l’ambasciatore, il figlio del poliziotto entrerà in polizia, il figlio del prof. universitario farà il prof. universitario e il figlio dell’usciere farà l’usciere! E ci voleva uno studio per arrivare a questa conclusione? Ma lo sanno tutti! Guardate "Un borghese piccolo piccolo" di Mario Monicelli, con Alberto Sordi, triste affresco della società italiana.

  21. Alessio Scognamiglio

    Questo articolo non ci dice nulla di nuovo, sempre se le analisi siano corrette: in Italia è forte l’immobilismo sociale. Per cui andrebbe verificato in che misura "l’ereditarità del lavoro" è minore nei dipendenti privati/liberi professionisti, comparazione che non viene offerta. Tuttavia non vanno tralasciate altre possibili spiegazioni che non l’unica del "nepotismo" che si caldeggia nell’articolo. Non va dimenticato che il lavoro nella PA è considerato un lavoro "sicuro", seppur mediamente non molto remunerativo. Quindi in una famiglia in cui entrambi i genitori sono dipendenti della PA è facile intuire come i genitori stessi o i figli ritengano il lavoro pubblico come un ottimo impiego. Il fatto che al sud il fenomeno sia maggiore potrebbe spiegarsi col fatto che li’ ci sono più impiegati pubblici che altrove e che comunque vi sono meno alternative lavorative nel settore privato. Anche il fenomeno per cui nel luogo di nascita l’effetto padre sia maggiore puo’ essere spiegato dal fatto che notoriamente le remunerazioni nel settore pubblico a parità di mansioni sono eguali in tutta italia, ragion per cui non è economicamente vantaggioso cercare un impiego nella PA fuorisede.

  22. AMSICORA

    Vorrei ricordare che c’è una fondamentale differenza fra nepotismo privato e nepotismo pubblico. Il primo lo pagano solo gli "utilizzatori finali" del raccomandato (se un imprenditore o un professionista decide di assumere nella propria impresa o nel proprio studio il figlio scemo, nulla quaestio, sono affari suoi, per usare un eufemismo) mentre il secondo siamo costretti a pagarlo tutti noi contribuenti attraverso l’esazione fiscale. Per dirla con un fortunoso e sfortunato imprenditore non si può "fare i nepotisti col portafoglio degli altri".

  23. luca borile

    Ma la premessa di fondo che deve far sorridere sarebbe qualla che prima di inserire quel bel rapporto privato-pubblico su voto laurea dovrebbe inserire la differenza tra voto di laurea tra università del nord e del sud a parità di facoltà, potrebbe essere utile a chiarire l’inutilità di giudicare il valore di una persona solo dal punteggio di laurea o da un master o dottorato, spendendo due euro forse meglio preso all’estero che fa tanto in. Grazie e buon lavoro.

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